La Jornada – Martedì 24 aprile 2007
A rischio sei comunità indigene insediate nella riserva dei Montes Azules
Il discorso di Calderón spiana la strada al riordinamento senza negoziati
HERMANN BELLINGHAUSEN - Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis. 23 aprile - L'annunciato sgombero di sei comunità indigene, alcune insediate da oltre mezzo secolo in quelli che si conoscono come Montes Azules, riserva della biosfera nella selva Lacandona, concorda tecnicamente ed ideologicamente con la brillante teoria presidenziale espressa ieri nello stato del Messico, secondo cui la distruzione ambientale è causata dalla povertà. Ovvero, i poveri - ed in particolare gli indigeni - sono coloro che minacciano la natura. In ogni caso, sono quelli che si deve togliere di lì.

Omettendo l'ampiamente comprovata azione distruttrice delle grandi industrie petrolifere, costruttrici, farmaceutiche, bioenergetiche, turistiche o estrattrici di acqua e legno, favorite dal governo, il discorso ufficiale pone l'enfasi su un altro punto. Il 4 aprile, rappresentanti federali delle segreterie dell'Ambiente (Semarnat) e della Riforma Agraria (SRA) hanno annunciato, a Tuxtla Gutiérrez, che le comunità tzeltales della regione Candelaria (dopo la comunità zapatista Amador Hernández, nel municipio autonomo General Emiliano Zapata) dovrebbero essere forzosamente "ricollocate" prossimamente. Il governo statale si è unito all'annuncio.

Come aveva informato Angeles Mariscal [La Jornada del 4 aprile], da parte delle autorità federali è stata invocata la Legge di Equilibrio Ecologico e Protezione all'Ambiente per giustificare lo sgombero. Rafael Escobar Prieto, della SRA, ha dichiarato: "Non devono essere regolarizzati, non deve esserci negoziato e devono essere ricollocati. Si studia la possibilità di radunarli (sic!) e portarli in un altro posto. Sono completamente illegali lì, e non avranno mai certezza giuridica".

Da parte sua, il presidente Felipe Calderón, aderendo al suo discorso con riferimento al riscaldamento globale ed alle priorità conservazioniste, ieri ha dichiarato che non si fermerà il deterioramento ambientale se non si porrà fine alla povertà ed alla miseria di milioni di messicani. "Questa povertà fa sì che si consumino (sic!) le risorse naturali. Ma neanche possiamo frenare la miseria se distruggiamo l'ambiente: distruggere la natura è distruggere il capitale (sic!) naturale, il che fa sì che si impoveriscano la Terra e l'umanità".

La colpa, insomma, è sempre dei poveri. Né i funzionari in Chiapas né il presidente Calderón si arrischiano a menzionare le imprese né i megaprogetti (elettricità, dighe, autostrade, sfruttamento transnazionale delle risorse naturali) ai quali vogliono dare il via libera nei territori "riordinati", come i Montes Azules ed il fiume Usumacinta. Dal loro insediamento, nel sessennio scorso, i villaggi prefabbricati dove il governo ha ricollocato altre comunità della selva (Santa Martha - allusione alla segretaria di allora della SRA, Martha Cecilia Díaz Gordillo -, Nuevo Magdalena e Nuevos Montes Azules) sono risultati una frode ed un fallimento, soprattutto perché non si è provveduto a dare le terre promesse agli indigeni. Molti hanno abbandonato quei villaggi, oggi diventati quasi del tutto villaggi fantasma.

Escobar Prieto, interrogato dai giornalisti al riguardo, si è giustificato con irrefrenabile paternalismo: "La cosa importante è che non sono ritornati nella selva. Era stata data loro l'opportunità di scegliere dove stanziarsi, lì hanno costruito case, è stata data acqua potabile, fognature, impianti ad energia solare, scuole... per sei mesi sono stati dati loro mais e fagioli. Devono adattarsi alle nuove circostanze". Che cosa vogliono di più, insomma!

Nella riserva mexiquense di Santa Fe, il presidente Calderón ha detto: "Per decenni abbiamo imparato a distruggere l'ambiente ed abbiamo vissuto come se la nostra condotta non avesse conseguenze sul pianeta" e con questo comportamento "la specie umana ha messo a rischio altre specie ed ha messo in pericolo se stessa". Ma questo discorso spiana solo la strada al riordinamento forzato, senza negoziati. Si criminalizzano i popoli originari, senza citare le vere cause della distruzione ambientale e sociale.

Nei Montes Azules esiste un complesso conflitto che i governi che si sono succeduti hanno tentato di sedare sulla base della favolosa "proprietà" di centinaia di migliaia di ettari nelle mani del piccolo popolo lacandone e cosiddetta comunità lacandona, gruppi privilegiati a detrimento di choles, tzeltales, tzotziles e tojolabales che vivono anch'essi nell'area. Ma sono stati i nuovi governi federale panista e statale perredista quelli che hanno osato effettuare il "riordinamento territoriale" autoritario.

Secondo la Semarnat, questi villaggi indigeni violano la legge. Per il delegato statale, Javier Camarena, il fatto che alcune comunità vivano da più di 70 anni nella selva "non toglie l'importanza della conservazione e ripristino dei Montes Azules".

Diciamo che la povertà che si combatte è quella dei lacandoni, che beneficiano di tutti i programmi sociali esistenti, oltre ad "indennizzi" milionari per permettere i "ricollocamenti" in alcuni paraggi del loro latifondo legale.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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