il manifesto - 30 Marzo 2001

Il giorno di Esther

Dopo la storica seduta al Congresso gli zapatisti tornano a casa:

"non a mani vuote"

M.M.

Geniale. Marcos non finisce di stupire. Come scriveva ieri la Jornada, "ci sono assenze che trionfano e quella di Marcos ha trionfato". Tutti si aspettavano che nell'occasione storica in cui la tribuna del Congresso, finora solo aperta e concessa a presidenti o premier stranieri, fosse occupata dagli indios messicani - storicamente gli ultimi fra gli ultimi -, che Marcos, il leader metà politico e metà poeta, rinunciasse al "diritto di parola" a lasciasse le luci della ribalta agli indigeni. Un politico sopraffino come lui, un mago nell'arte di comunicare con il mondo esterno, non poteva lasciarsi sfuggire una tale occasione.

E non se l'è lasciata sfuggire. Prima la comandanta Esther - "Il mio nome è Esther, però questo non è importante adesso. Sono zapatista, ma neanche questo importa in questo momento. Sono indigena e sono donna e questo è l'unica che è importante ora... Questa tribuna è un simbolo ed è simbolico che sia io, una donna povera e zapatista, che per prima ha la parola" - poi altre tre comandanti, poi i rappresentanti del Congresso nazionale indigeno.

Lui, Marcos, non c'era. Né sulla tribuna, né nella prima fila riservata agli zapatisti e agli indigeni, né sulle tribune fra gli oltre 200 invitati. E' arrivato solo a cose fatte, quasi alla fine delle cinque ore della riunione all'interno, e si è fermato fuori dal palazzo di San Lazaro. "Domani", ossia oggi, "faremo i bagagli e ritorneremo al nostro posto", ha detto alla folla che lo acclamava e che ha ringraziato per lo straordinario appoggio riservato alla "carovana della dignità" arrivata a Città del Messico l'11 marzo scorso. "Ce ne andiamo ma non a mani vuote".

Esther l'aveva detto: "Il subcomandante insurgente Marcos è, appunto, un subcomandante. Noi siamo i comandantes, quelli che comandano in comune, quelli comandano obbedendo al nostro popolo".

Che le cose stiano proprio così, non importa. Marcos doveva farlo e, che lo abbia deciso lui o lo abbia deciso la comandancia generale dell'Ezln non importa.

Una impareggiabile lezione politica e di stile, oltre che di contenuto (i discorsi di Esther e degli altri fermi, orgogliosi, dialoganti, privi di arroganza). Che ha spiazzato i (numerosi) nemici interni del dialogo, a cominciare dai deputati del Pan, il partito del presidente Fox, ed esaltato la società civile messicana.

Il Partido de Accion Nacional, specie nel leader panista del senato, Diego Fernandez de Ceballos, aveva contrastato fino all'ultimo la "concessione" della tribuna dell'alta politica a dei ribelli "incappucciati" e per di più indigeni. Per questo si era anche scontrato con Fox e aveva dato disposizione ai suoi parlamentari di disertare l'incontro. In realtà 6 senatori del Pan e una ventina di deputati erano presenti. E, di fronte al trionfo decretato dal pubblico e, soprattutto, alla saggezza delle proposte zapatiste, hanno dovuto cambiare strategia sul momento. Il discorso previsto, che batteva sul tasto della "illegalità" della presenza zapatista, è stato "disarmato" dalle parole di Esther. Lo stesso Fernandez de Ceballos, il capofila dei duri, che non era presente alla seduta, ha parlato di "enorme gioia" di fronte al "tono civile" degli interventi. Un'ammissione a denti stretti, che non nasconde né l'inveterato "razzismo" di cui lo aveva accusato Marcos nei giorni scorsi, né una reale difficoltà.

Al contrario del Pan, deputati e senatori di Pri, Prd, Pt e Pvem (i verdi), erano massicciamente presenti e hanno più volte interrotto Esther con salve di applausi.

Se gli zapatisti, e Marcos, sono stati gli indiscussi trionfatori di una giornata storica per il Messico, va dato atto che anche il presidente Fox ha fatto il suo dovere. Non è riuscito a fare della marcia zapatista una marcia foxista, come ha tentato, ma ha mandato i "segnali" che l'Ez chiedeva (smantellamento delle basi e liberazione dei detenuti, pressione sul Congresso e soprattutto sul suo partito perché aprisse le porte) e ha evitato una rottura che avrebbe avuto effetti deleteri per il Messico e per lui come neo-presidente, il primo della nuova era post-Pri.

A pochi chilometri dal palazzo di San Lazaro, nel palazzo presidenziale di Los Pinos, Fox ha elogiato apertamente "l'umiltà e la grandezza" di Marcos e, commentando la disponibilità ribadita dagli zapatisti a dialogare con il governo, ha parlato di "un trionfo per il Messico e per tutti i messicani".

Come ha detto Esther, "al sup abbiamo dato il compito di condurci a questa tribuna" e lui l'ha fatto: "ora è la nostra ora". Ma soprattutto è l'ora dell'establishment messicano. Il rappresentante degli zapatisti per i colloqui di pace e la Ley Indigena, Fernando Yanez Munoz, ha già avuto un primo incontro di assaggio con il rappresentante di Fox, Luis Hector Alvarez. Ma la Ley indigena, per quanto importante, è solo un passo. Il primo di una lunga strada.


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