L'autonomia rafforza la democrazia

Risposte di Adelfo Regino Montes, membro del Congresso Nazionale Indigeno, alle domande dei deputati


Signori e signore, legislatori e legislatrici:

Col vostro permesso, con il permesso dei nostri fratelli e sorelle dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e con il permesso dei miei fratelli e sorelle del Congresso Nazionale Indigeno presenti in questo emiciclo, faccio uso della parola per rispondere alle domande che, rispettosamente, sono state formulate dai diversi partiti politici rappresentati in questo Congresso dell'Unione.

Dopo la firma degli accordi di San Andrés fra il governo federale e l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, tutti abbiamo avuto la speranza che i nostri diritti venissero riconosciuti in modo degno e giusto. Tutti abbiamo visto con enorme speranza la proposta della Cocopa, elaborata il 29 novembre del 1996. Tutti avevamo nel nostro cuore e nella nostra mente che in quell'inverno del 1996, alla fine avremmo visto riconosciuti i diritti indigeni nella Costituzione.

È stata grande la nostra tristezza quando nei primi giorni del primo mese del 1997, noi popoli indigeni del paese abbiamo ottenuto una risposta negativa dal governo di allora, la risposta negativa in relazione all'iniziativa di riforme costituzionali formulate dalla Commissione di Concordia e Pacificazione.

Mai davanti a noi e davanti all'opinione pubblica si è detta una parola di fondo. Si sono sempre usate come pretesti delle questioni di carattere tecnico. Si è detto che l'iniziativa della Cocopa aveva problemi di tecnica giuridica. Non ci è mai stato detto il vero motivo per cui si rifiutava la proposta della Cocopa.

Noi vogliamo dire davanti a voi, davanti al paese e davanti al mondo, che il riconoscimento dei diritti indigeni, che il riconoscimento dei diritti dei nostri popoli è una questione di umanità, è una questione di cuore e di pensiero.

Per questo, con tutto il rispetto, ricorriamo al cuore, al sentimento e al pensiero nobile di ciascuno di voi. Per questo, con tutto il fervore e con tutta la speranza vi diciamo di ascoltarci, di ascoltare la parola antica, la parola autentica, la parola nobile dei nostri popoli.

Noi indigeni non chiediamo favori, non vogliamo privilegi. Noi indigeni non vogliamo, né desideriamo separarci da questo paese o essere al di sopra delle sue leggi. L'unica cosa che chiediamo è che si riconosca ciò che già di per sé è un fatto nelle nostre comunità. Se ognuno di voi ha avuto l'opportunità di visitare una comunità indigena, si potrà rendere conto del modo in cui ci organizziamo, come ci capiamo, come risolviamo i nostri problemi.

Questa forma di organizzarci, questo modo di capirci, questo modo di risolvere i nostri conflitti è ciò che abbiamo chiamato in questa tribuna: sistema normativo indigeno.

Quello che vogliamo è che queste norme, è che queste tradizioni siano riconosciute, che si riconoscano nella Costituzione, che si riconoscano nelle leggi. Che si riconosca una realtà di fatto e che alla fine si realizzi quello che alcuni chiamano "pluralismo giuridico". Che le norme convivano nonostante siano differenti, che le norme convivano e si alimentino le une con le altre, che le norme convivano perché essendo di più ed essendo differenti potremo risolvere meglio ciascuna delle sfide che dobbiamo affrontare nelle nostre comunità, nei nostri municipi, nelle nostre regioni. Per questo diciamo che devono essere riconosciute le norme, le tradizioni dei nostri popoli.

E dobbiamo dire molto chiaramente che queste norme, che queste tradizioni, stanno pure cambiando e si stanno pure adeguando al passo coi tempi. Nessuna norma, nessuna tradizione in questo mondo rimane così per sempre, rimane sempre statica, no, le norme cambiano, le norme si trasformano e anche le norme indigene si stanno trasformando giorno dopo giorno.

In base a queste norme vogliamo costruire la nostra autonomia, in base a queste norme stiamo costruendo la nostra autonomia, un'autonomia che parte dalla comunità, perché è nella comunità dove noi viviamo giorno dopo giorno, dove noi lavoriamo, dove noi sogniamo, dove noi ci parliamo e ci salutiamo, dove abbiamo le nostre autorità, dove prendiamo le nostre decisioni; lì è dove si deve riconoscere prima di tutto l'autonomia, e riconoscere questo, fratelli e sorelle, non è altro che riconoscere la realtà, non è altro che riconoscere qualcosa che già esiste.

Io credo sinceramente che le leggi debbano riconoscere le realtà. A che servono le leggi se sono fuori dalla realtà? A che servono le leggi quando non si occupano dei nostri problemi, quando non prestano attenzione alle nostre speranze? Per questo stiamo parlando, per questo il grido dei nostri popoli è: che la legge riconosca una realtà.

Quando parliamo di autonomia parliamo anche di rafforzamento dei municipi esistenti nei nostri popoli. I municipi sono qualcosa che abbracciarono i nostri predecessori, sono una cosa che fecero loro i nostri predecessori, diedero loro un volto proprio, donarono loro un cuore proprio, anche per questo vogliamo che questa realtà si riconosca.

Sono molti i municipi indigeni che esistono in questo paese, sono molti i municipi che esistono nelle nostre regioni indigene. Questi municipi devono rafforzarsi, lì si deve riconoscere il nostro modo di governarci, il nostro modo di eleggere le autorità, che sono modi democratici, che sono modi partecipativi, che sono modalità che in nessun modo danneggiano la democrazia che tutti vogliamo. Per questo diciamo che l'autonomia, lungi dal danneggiare il municipio, lo rafforza, lo fa più forte, lo rende più solido. Questo è ciò che chiediamo e per questo sosteniamo l'iniziativa della Cocopa e gli accordi di San Andrés.

L'autonomia che chiediamo dev'essere un'autonomia a livello di un intero popolo indigeno, così come ce lo stanno dimostrando i nostri fratelli wirraricàs, così come ce lo stanno dimostrando i nostri fratelli raràmuris nel nord del paese, così come ce lo stanno dimostrando i nostri fratelli mixes in Oaxaca, così come ce lo stanno dimostrando molti popoli indigeni che vogliono tornare a essere uno solo, perché questo è il nostro sogno. Se siamo un popolo con una medesima cultura, perché non fare in modo che questi stessi nostri popoli condividano anche con noi i problemi e così condividiamo le speranze?

Questo significa attentatare alla sovranità, all'integrità di questo paese? Noi diciamo di no e diciamo che, al contrario, l'autonomia rafforzerà il federalismo di cui tanto si è parlato in questa tribuna e che, a volte, esiste solo nei discorsi. L'autonomia rafforzerà l'unità nazionale perché, come ci hanno detto i nostri fratelli zapatisti, l'unità è quello che c'è stato, per questo in Messico abbiamo sofferto, per questo in Messico c'è disuguaglianza, per questo in Messico c'è povertà. Con l'autonomia, noi pensiamo, si può rendere più forte l'unità, si può realizzare l'unità dei messicani, con l'autonomia vogliamo anche rafforzare la democrazia.

Molti di voi hanno detto che la democrazia è il potere del popolo, è il potere della gente; molti di voi hanno detto che la democrazia è lì nelle città, nei quartieri, nelle comunità, negli ejidos. Perché allora non accettarlo quando si tratta dei nostri popoli? Perché non accettare che l'autonomia è pure un modo per far diventare realtà la democrazia in questo paese? che la democrazia non è solo andare a votare, che la democrazia non è solo dire una parola, che la democrazia è pure decidere dal basso, che la democrazia è pure l'autonomia che stiamo domandando noi popoli indigeni.

L'autonomia, l'abbiamo già detto, non pensiamo di esercitarla per aria, senza uno spazio fisico, uno spazio fisico che, di per sé, già abbiamo; le nostre comunità, i nostri ejidos, hanno una sostanza materiale e fisica, questo si può constatare attraverso le risoluzioni presidenziali o attraverso i titoli di proprietà emessi di recente dalle autorità agrarie, però vogliamo che le nostre terre e le nostre risorse naturali siano impiegate a nostro beneficio.

Già basta col saccheggio nei nostri villaggi del petrolio, della luce elettrica, del legname, mentre nei nostri villaggi non ci sono strade, nei nostri villaggi non c'è luce elettrica e non ci sono sedie perché i nostri bambini e bambine si possano sedere per studiare.

Come è possibile questo che noi indigeni messicani siamo i padroni originari di queste terre e di questi territori, di queste ricchezze naturali e culturali e nello stesso tempo viviamo nella povertà, come è possibile questo.

Questo è quello che vogliamo ribaltare. Noi indigeni non stiamo dicendo: "vogliamo impadronirci del petrolio, vogliamo impadronirci del sottosuolo, vogliamo impadronirci delle risorse che appartengono a questo paese". Noi siamo coscienti di questo, del fatto che sono risorse che appartengono al paese e devono essere veramente sfruttate a beneficio di tutto il paese e non solo di pochi, come è successo negli ultimi anni.

Siamo consapevoli di questo. Ciò che diciamo è che i benefici in primo luogo siano per noi, che venga data in questo senso una compensazione ai nostri popoli, perché abbiamo bisogno di risorse per crescere, per svilupparci, per fiorire, per questo non ha nessun significato, nessun fondamento quando ci si accusa di volere preferenze e privilegi, di volerci separare da questo paese, di voler balcanizzare questo paese.

Quando pensiamo all'autonomia, all'autonomia indigena, e quando pensiamo alla ricostituzione dei nostri popoli, non stiamo solo pensando a quelli di noi che stiamo in montagna, a quelli di noi che stiamo nelle selve, a quelli di noi che stiamo nei boschi, a quelli di noi che stiamo nelle nostre regioni, ma stiamo pure pensando ai nostri fratelli che sono emigrati.

Ora l'emigrazione nei popoli indigeni sta crescendo, perché il prezzo del nostro caffè è a terra, perché il prezzo del nostro mais è a terra e questo voi lo sapete. Quando noi indigeni non abbiamo da mangiare nelle nostre comunità, nei nostri municipi, nelle nostre regioni, allora dobbiamo emigrare allora dobbiamo versare una lacrima perché lasciamo la nostra donna e i nostri bambini; allora dobbiamo partire con tutta la nostalgia nel nostro cuore e andare nelle città come servi di casa e andare nelle città come muratori e passare la frontiera di questo paese rischiando la nostra vita, però non lo facciamo perché lo vogliamo, non lo facciamo perché vogliamo viaggiare, perché vogliamo andare in vacanza, ma perché abbiamo una necessità reale, perché non vogliamo che i nostri bambini e le nostre bambine muoiano di fame, perché non vogliamo che le nostre donne vivano nella permanente disperazione della povertà quando non c'è un centesimo per mangiare, quando non c'è un centesimo per mandare i figli a scuola.

Poiché non vogliamo questo, per questo noi indigeni emigriamo. Però che cosa troviamo nelle città e nelle città, dobbiamo dirlo con molta sincerità, troviamo discriminazione, troviamo esclusione; nelle strade ci guardano male, al lavoro ci guardano male, perché siamo (come hanno detto i nostri fratelli zapatisti?) del colore della terra e troviamo anche, in molti casi, le porte chiuse nelle città, così come si pretendeva di chiudere questo Parlamento ai nostri fratelli zapatisti e ai popoli indigeni del paese. Questo ha un nome e, anche se ci ferisce, questo si chiama discriminazione, questo si chiama razzismo. Chiunque dica che non c'è discriminazione in questo paese e che non c'è il razzismo, che ce lo provi. È per questo che vogliamo una società pluriculturale, è per questo che sogniamo una società pluriculturale, è per questo abbiamo fatto nostra questa domanda dei nostri fratelli zapatisti, che vogliamo un paese dove ci sia posto per tutti i messicani che esistono, dove ci sia posto per tutti i diversi, come noi, che esistiamo su queste terre.

Vogliamo, insomma, un paese multiculturale, per questo vogliamo che nell'educazione che ricevono i nostri bambini e le nostre bambine, non si parli solo degli indios che ci furono un tempo, degli indios di Teotihuacan, degli indios di Montealbán, degli indios olmecas, che non si parli solo di quegli indigeni morti, ma che si parli degli indigeni vivi di oggi, che si parli dei nostri popoli, del fatto che quei popoli non sono morti, non sono finiti, che quei popoli vivono oggi. Lì dall'educazione deve partire la pluriculturalità, lì dall'educazione dei nostri bambini e delle nostre bambine, dei nostri ragazzi, dei nostri studenti, con i nostri insegnanti, dobbiamo iniziare a costruire questa cosa che chiamiamo pluriculturalità. Da lì dobbiamo combattere la discriminazione e il razzismo, perché lì è dove si stanno formando i nuovi cittadini e le nuove cittadine.

Abbiamo anche bisogno che ci si curi del problema dell'emigrazione, abbiamo anche bisogno che ci si occupi dei problemi di sviluppo che vivono i nostri popoli e le nostre comunità, vogliamo anche che si stabiliscano programmi specifici per noi, indigeni emigranti, per i nostri fratelli che han dovuto lasciare le comunità per cercare la speranza, se poi c'è in altri luoghi.

E pure, noi popoli indigeni, per parlare di rispetto all'altro, stiamo anche pianificando la riconciliazione e l'autonomia che è anche un modo per riconciliarci. Perché dico così? Perché con l'autonomia riconosciuta costituzionalmente, noi come comunità possiamo tornare a incontrarci, possiamo tornare ad allacciare rapporti fra di noi: ci hanno diviso in molti modi, ci hanno diviso attraverso i conflitti agrari, ci hanno diviso attraverso i partiti, ci hanno diviso in molteplici modi, di questo voi siete testimoni.

Noi indigeni non vogliamo più divisione, non vogliamo più scontro, vogliamo l'unità, siamo ansiosi di avere unità, perché alla fine siamo fratelli, perché alla fine siamo sorelle. L'autonomia è un modo per riconciliarci, è una modalità che permetterà che con più forza nelle comunità risolviamo i conflitti agrari, che risolviamo i conflitti per i confini della terra. L'autonomia permetterà questo. L'autonomia permetterà che all'interno ci armonizziamo, che all'interno comprendiamo anche la diversità e a partire dalla diversità conviviamo e a partire dalla diversità ci armonizziamo per vedere in cima a tutto gli interessi della nostra comunità, gli interessi del nostro municipio, gli interessi della nostra regione.

Questo è il messaggio che in fondo stanno trasmettendo i nostri popoli. Questo è il messaggio su cui stanno anche insistendo i nostri fratelli zapatisti. Questo è il messaggio dei popoli.

Quando si parla di pace e perché si vuole la riconciliazione e noi, i popoli indigeni, abbiamo questa vocazione di pace, abbiamo questa vocazione di armonia, abbiamo questa vocazione di rispetto, quando pure ci rispettino.

Fratelli e sorelle: le domande e le proposte dei nostri popoli sono domande per la vita, non sono altro; è perché vogliamo vivere, è perché vogliamo continuare ad esistere, è perché non vogliamo morire, è perché vogliamo fermare ciò che qui, in questa tribuna, alcuni hanno chiamato etnocidio.

Noi popoli vogliamo vivere e vogliamo vivere con la nostra lingua, vogliamo vivere con i nostri vestiti, vogliamo vivere con il nostro colore, vogliamo vivere con la nostra cosmovisione, vogliamo vivere così come siamo e queste stesse cose vogliamo lasciarle ai nostri figli, alle nostre figlie, alle future generazioni. E questa vita e questa cultura che hanno ricchezza, che hanno un bel colore, vogliamo anche condividerle con voi, vogliamo anche condividerle con il Messico e con il mondo.

L'iniziativa della Cocopa ha qui le sue radici, ha qui la sua ragione d'essere. L'iniziativa della Cocopa è una iniziativa per la vita, è un'iniziativa per la dignità, è un'iniziativa per la libertà dei nostri popoli.

Molte grazie


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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