il manifesto - 27.02.2001

Zapatisti a Juchitan

Grandi accoglienze e minacce per Marcos

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS

Ieri la marcia zapatista verso città del Messico è arrivata a Juchitan mentre la gioia per questa grande iniziativa è insidiata dal moltiplicarsi delle minacce di morte dirette al subcomandante Marcos. Prima una lettera alla diocesi di San Cristóbal, poi un altra missiva lanciata ieri dentro il bus con i comandanti zapatisti.

Lo stato di Oaxaca, il primo attraversato dalla carovana dopo il Chiapas, è uno degli stati con maggiore popolazione indigena e, fra i 31 stati della Repubblica messicana, quello che presenta la più grande diversità ecologica e varietà di etnie, lingue e culture. La sua legislazione è una delle più avanzate in materia di diritti indigeni. Le comunità esercitano una certa autonomia ed eleggono da sempre le proprie autorità con un sistema tradizionale di elezioni assembleari, attualmente riconosciuto dalla Costituzione statale. E non è un caso: i mixtechi e gli zapotechi, eredi di antiche civiltà, sono noti ancora oggi per la fierezza del comportamento e la forza della loro cultura.

L'America centrale comincia, politicamente, con il Guatemala. Ma, secondo i geografi, la frontiera è l'istmo di Tehuantepec. Qui, l'Atlantico e il Pacifico sono separati da meno di 200 chilometri. E qui si è deciso di aprire un'alternativa al famoso canale, che ha recuperato la sovranità ed è ormai intasato dal traffico. Si chiama "progetto del corridoio transistmico" e prevede la costruzione di un ponte stradale e ferroviario fra i due oceani. Al trasporto continuo dei container si affiancherebbe un gigantesco oleodotto capace di travasare il greggio dalle petroliere ormeggiate sul Pacifico a quelle in attesa sull'Atlantico. I costi umani ed ecologici sarebbero enormi. Le prime ad accorgersene sono state le organizzazioni indigene - con la Cocei, Coalición obrera campesina y estudiantil del Istmo, in prima fila - che stanno reclamando maggiori informazioni sul progetto.

A Juchitán, cittadina zapoteca dell'istmo che ha ospitato domenica la carovana zapatista, è la donna che ha - ed esercita - il potere. E' lei che inalbera la bottiglia di birra, invitando le amiche a bere alla sua salute nella cerveceria. Lei che sfoggia nelle feste le collane di monete centenarios che le hanno regalato i suoi amanti. Lei che strapazza i passanti nelle manifestazioni in cui mette in fuga la polizia, gridando: "Viva mujer juchiteca!". E' sempre lei che dà la paghetta al marito pescatore. Che adora i figli effeminati "perché aiutano di più in casa e con i bambini". Che fischia per strada al maschio che le piace. Juchitán combattiva e orgogliosamente india. Una cittadina rivoluzionaria e matriarcale che ha affascinato - e adottato - due grandi fotografe: Tina Modotti ieri, Graciela Iturbide oggi.

"Juchitán de las mujeres" la chiama la scrittrice Elena Poniatowska, mahatma delle donne messicane, che scrive: "A Juchitán, Oaxaca, gli uomini non trovano dove mettersi se non nelle donne, i bambini si appendono ai loro petti e le iguane guardano il mondo dall'alto delle loro teste. A Juchitán, gli alberi hanno cuore, gli uomini il pisello dolce o salato secondo il gusto e le donne sono molto orgogliose di esserlo, perché portano la loro redenzione fra le gambe e danno a ciascuno la sua morte. 'La morte piccola' come si chiama l'atto amoroso. Juchitán non assomiglia a nessun altro posto. Ha il destino della sua sapienza indigena".


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