La Jornada 26 aprile 2001

Francisco Lopez Barcenas

I passeggi della riforma

(Los paseos de la reforma)

Dopo cinque mesi di negoziato sugli accordi di San Andrés sui diritti e la cultura indigena, dieci proposte di riforma costituzionale nella ricerca della sua miglior interpretazione e le prime 27 osservazioni del governo federale all'iniziativa della Cocopa, che poi si ridussero a quattro; dopo, anche, l'assassinio di decine di membri di comunità indigene del Chiapas, centinaia di assemblee comunitarie organizzate dagli stessi popoli indigeni, una consulta nazionale organizzata dal Senato della Repubblica e da Gobernacion (ministero degli interni), un'altra lanciata dall'EZLN ed organizzata dalla società civile, l'uscita di 1.111 zapatisti, la grande marcia indigena dell'EZLN e il CNI fino ad arrivare alle tribune della Camera dei Deputati per esporre direttamente la necessità di riformare la nostra Costituzione per riconoscere i popoli indigeni del Messico ed i loro diritti; dopo tutto ciò, ed oltre, oggi esiste nel Senato un progetto in materia indigena che potrebbe convertirsi nella riforma così sperata.

Purtroppo, si tratta di un progetto inaccettabile per i popoli indigeni perché non risponde alle loro necessità e non contribuirà a raggiungere la pace degna in Chiapas, che è l'altro dei propositi della riforma.

Tre, perlomeno, sono le ragioni che danno fondamento a quest'affermazione: la remissione alle legislature statali di quanto dovrebbe stabilirsi come garanzia costituzionale, l'assenza di riconoscimento dei territori indigeni e dell'uso collettivo delle risorse esistenti in essi, infine la limitazione dell'esercizio dell'autonomia all'ambito municipale.

Per il primo caso, i paragrafi quarto e quinto della proposta di modifica all'articolo 2 stabiliscono che il riconoscimento dei popoli e delle comunità indigene si farà nelle Costituzioni e leggi delle entità federative e che queste stabiliranno le caratteristiche della libera determinazione ed autonomia che meglio esprimano le situazioni e le aspirazioni dei popoli indigeni. Nel primo caso si cade nello stesso errore della riforma del 1992 lanciata da Salinas de Gortari, la quale riconobbe l'esistenza dei popoli indigeni, ma affidò il riconoscimento dei loro diritti ad una legge secondaria che non venne mai elaborata e, quindi, non ci fu riconoscimento dei diritti; nel secondo, si presenta la libera determinazione e l'autonomia come due diritti diversi, quando il secondo è una modalità del primo e gli stati non possono fissare le caratteristiche di questo diritto, bensì unicamente la sua portata.

Nel caso dei territori indigeni e dell'accesso collettivo alle risorse naturali in essi esistenti, il testo approvato raccoglie la proposta che a suo tempo presentò Ernesto Zedillo. In essa si legge che come parte della loro autonomia i popoli indigeni hanno diritto ad "accedere, con rispetto alle modalità della proprietà stabilite nella Costituzione e le leggi in materia, così come dei diritti acquisiti da terzi o dai membri della comunità all'uso e sfruttamento preferenziale dei luoghi che abitano ed occupano le comunità, salvo quelli il cui dominio esclusivo corrisponde alla nazione". Con questa redazione si pretende riconoscere quanto già riconosciuto, che è, a sua volta, ciò che non permette agli indigeni di esercitare i loro diritti.

Cosa faranno gli huicholes che peregrinano dallo stato di Jalisco fino a Real de Catorce per raccogliere peyote per le loro cerimonie sacre e che sono molestati dai proprietari privati ed ejidali che considerano ciò come un'invasione delle loro terre? Cosa faranno i seri rispetto a terzi che da anni invadono le loro terre e per questo hanno acquisito diritti? E negli ejidos del sud del Distretto Federale, che ogni giorno che passa vedono come dei terzi estranei invadono il loro territorio?

Non fa neppure capolino il contenuto del Trattato 169 della OIL, il quale stabilisce che i popoli indigeni hanno il diritto che sia loro riconosciuta la proprietà e il possesso delle risorse naturali, così come il loro diritto ad utilizzarle, amministrarle e conservarle, e quando queste appartengano alla nazione accordare forme di consultazione per il loro sfruttamento, i benefici che otterranno i popoli indigeni e la forma di prevenire danni o di ripararli.

Per ultimo, nel lasciare fuori la modifica dell'articolo 115 costituzionale si limita il possibile esercizio dell'autonomia all'ambito municipale impedendo così che si ridefiniscano i municipi, oltre a sopprimere il carattere di soggetti di diritto pubblico, per quello di interesse pubblico, cambiamento che sembra non sostanziale, ma che è di fondo: un'entità di diritto pubblico è parte della struttura organizzativa dello stato, invece una di interesse pubblico è ciò che esso deve proteggere. Con queste disposizioni, il popolo mixteco, che consta di 179 municipi, 156 in Oaxaca, 13 in Guerrero e dieci in Puebla, avrà 179 possibili forme di esercizio dell'autonomia e può accadere che, come ogni stato legifererà "le caratteristiche dell'autonomia", ad alcuni si riconosceranno diritti e ad altri no, ma in nessun caso le comunità che formano parte di essi potranno agire da se stesse.

Come nel 1824 o 1857, i legislatori si rifiutano di guardare la realtà pluriculturale del paese e centrano la loro attenzione nella struttura della norma costituzionale e nei miti, come uguaglianza ed integrità nazionale. Come se non succedesse nulla nella società. Speriamo che rettifichino. In altro modo, tra pochi anni potremmo vivere convulsioni sociali come quella che ora si cerca di risolvere, e la riforma costituzionale in materia di diritti indigeni continuerà a passeggiare senza riuscire ad occupare il luogo che le corrisponde nel nostro ordine giuridico.


(tradotto dal Consolato Ribelle del Messico - Brescia)



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