La Jornada, 23/12/01

MINACCE CONTRO DIFENSORI INDIGENI DEI DIRITTI UMANI

HERMANN BELLINGHAUSEN

Le ripetute minacce in Chiapas contro membri della Rete dei Difensori Comunitari dei Diritti Umani, si sono fatte molto preoccupanti negli ultimi giorni. In particolare, quelle indirizzate contro Ramon Penate Diaz, difensore comunitario che lavora nella zona nord dello stato, nei territori del municipio di Tila, dove già sei anni fa l'organizzazione Paz y Justicia ha imposto la legge della violenza paramilitare, con la complicità (per lo meno) della forza pubblica federale e statale.

La nuova serie di violenze è iniziata da parte di militanti del PRD, come è successo di frequente negli ultimi mesi dell'anno che si sta concludendo. E tutto questo senza che i paramilitari priisti siano stati disarmati, né tanto meno puniti, salvo la passeggera incarcerazione di Samuel Sanchez ed altri leader di una fazione, i cui membri continuano a far capo al progetto originale di Sviluppo, Pace e Giustizia, solo che ora i membri sono, oltre che priisti, anche perredisti e perfino panisti.

In una lettera alla stampa, la rete dichiara: "Vogliamo denunciare ed esprimere la nostra profonda preoccupazione per le aggressioni e le minacce contro Ramon Penate Diaz. Questa rete è uno strumento di autodifesa legale dei popoli indigeni che raggruppa più di 20 difensori di sette regioni del Chiapas. In poco più di tre anni, il suo lavoro a favore degli indigeni ha fatto sì che nelle comunità sia nata una nuova cultura rispetto ai diritti umani. Lavorano sul posto, in regioni in cui la violenza, soprattutto quella paramilitare, minaccia di continuo le comunità in resistenza e gli insediamenti dei rifugiati zapatisti".

Ramón Peñate Díaz, quale membro della rete, "ha denunciato in diverse occasioni le violazioni dei diritti individuali e collettivi" nella sua regione. Vive nella comunità Emiliano Zapata, municipio di Tila. L'8 dicembre scorso hanno incendiato la sua casa e mercoledì 19 ha ricevuto minacce da Candelario Díaz Díaz e dal commissariato ejidale Fidencio Díaz Méndez (padre e figlio, militanti del PRD).

Secondo quanto dichiarato dalla rete, la vita di Ramon è in pericolo, perché hanno già avvertito di poter incendiare la sua casa quando vogliono e che lui, suo fratello Benito e Marciano Gaspar Gonzalez, devono stare attenti perché prima o poi gli spareranno. Hanno minacciato di entrare in casa sua e di rompere la sua telecamera ed il computer che sta utilizzando per denunciare le violazioni dei diritti umani e che: "fermeremo la carovana e romperemo tutto, per dimostrare loro quello che possiamo fare", un chiaro riferimento al Comitato d'Appoggio alla Zona Nord, che accompagna e porta solidarietà alle comunità sfollate dai paramilitari in questa zona.

DOPPIA FACCIA DELLE AUTORITÀ

Per dimostrare la doppia faccia e la distanza che intercorre tra le buone intenzioni dichiarate ed i fatti reali, la rete dei difensori scrive: "Mentre la Segreteria di Governo intrattiene dialoghi con organizzazioni non governative dei diritti umani per definire meccanismi di protezione dei difensori di questi diritti, e mentre i giorni 9 e 10 dicembre si celebrava presso le Nazioni Unite la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e la Dichiarazione su Diritti e Doveri degli Individui, i Gruppi e le Istituzioni di Promozione e Protezione dei Diritti Umani e Le Libertà Fondamentali Universalmente Riconosciute, i difensori corrono un grave pericolo.

Ci paiono particolarmente gravi i rischi a cui debbono esporsi gli attivisti indigeni a causa dell'isolamento nel quale realizzano il loro lavoro, ma ancora più grave è la mancanza di attenzione da parte dei governi statale e federale, poiché pubblicamente sono state sollecitate misure cautelative per proteggere la vita e l'integrità fisica di Ramón Peñate Díaz, difensore indigeno dei diritti umani".

Per ultimo, la rete, che ha sede a San Cristóbal de Las Casas, ma che opera in molte regioni dei nativi del Chiapas, ha segnalato a La Jornada perché difensori come Ramon Penate corrono un pericolo maggiore: poiché realizzano il loro lavoro all'interno delle proprie comunità, ed è proprio da qui che arrivano le minacce, il pericolo al quale si espongono è continuo e non è come i centri per i diritti umani che organizzano viaggi di osservazione ma poi ritornano in città.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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