La Jornada - 23 novembre 2001

Richiedono l'appoggio del governatore Salazar Mendiguchía

Profughi di Tila chiedono di fermare la violenza paramilitare

Recuperano le basi d'appoggio dell'EZLN uno spaccio comunitario

HERMANN BELLINGHAUSEN

Le famiglie sfollate a causa della violenza paramilitare nel municipio di Tila, spogliate delle loro case e delle terre dal 1996, hanno richiesto ieri al governatore di Chiapas, Pablo Salazar Mendiguchía, di "verificare le condizioni necessarie per fermare la violenza dei paramilitari che continuano a minacciare la popolazione, impedendole di ritornare a casa".

Poche ore dopo la liberazione in Tuxtla Gutiérrez di vari dei responsabili comprovati del massacro di Acteal, nel 1997, 64 famiglie della regione chol dello stato hanno denunciato che, per sette anni, "sono stati condannati a vivere nella miseria e fuori dai loro luoghi d'origine; le loro condizioni sono state ignorate dalle autorità statali e le promesse di risolvere il grave problema dei profughi continuano a rimanere delle promesse ad un anno da quando si è installato il presunto governo della speranza, di cui tanto parlava l'attuale governatore".

Intanto, il 18 novembre basi d'appoggio dell'EZLN di sette municipi autonomi hanno recuperato pacificamente lo spaccio comunitario che era stato attaccato e chiuso il 28 ottobre da membri dell'Organizzazione Regionale dei Produttori di Caffè di Ocosingo (Orcao) e da un gruppo di abitanti della comunità di Cuxuljá.

Le organizzazioni civili che hanno accompagnato durante queste settimane gli autonomi aggrediti hanno reso noto che, a partire da adesso, le basi d'appoggio dei municipi autonomi Ernesto Che Guevara, 17 de Noviembre, Primero de Enero, Olga Isabel, Vicente Guerrero, Lucio Cabañas e Miguel Hidalgo "manterranno un cordone di sicurezza, resistenza e difesa della loro autonomia per proteggere i loro municipi ed il centro di commercio" dove, come si ricorderà, fu distrutto un murales.

Si rifiutano appoggi

La Rete dei Difensori Comunitari per i Diritti Umani ha denunciato l'attuale situazione dei profughi della zona nord, che dal 1996 hanno sofferto aggressioni e minacce da parte dell'organizzazione paramilitare Paz y Justicia. Riferendosi a 64 famiglie in particolare, originarie di Miguel Alemán, Susuklumil, Masojá Grande, Agua Fría, Corosil Nuevo, Chulum Chico e Ojo de Agua, la rete afferma: "Questa popolazione vive dispersa in differenti comunità del municipio di Tila e soffre per la scarsità di alimenti, perché i contadini non hanno terra per lavorare; per sette anni sono sopravvissuti grazie alla terra prestata da altre comunità".

Inoltre, i figli di queste famiglie non possono andare a scuola. "Essendo profughi si negano loro gli appoggi del governo per il presunto sviluppo della popolazione emarginata", aggiunge la rete. Quelli che invece ricevono questo tipo di appoggio sono i militanti di partiti politici, come il PRD e il PRI, "dato che si esige che le persone siano iscritte per ricevere questi benefici".

Queste famiglie choles vivono ancora sotto la costante minaccia di Paz y Justicia, che impedisce loro di ritornare nelle loro terre e le mantiene virtualmente assediate nei loro rifugi. I paramilitari godono di totale impunità in Tila e in generale in tutta la zona nord; inoltre, per loro sì ci sono appoggi governativi.

In relazione al conflitto per lo spaccio comunitario Nuevo Amanecer del Arcoiris, membri di diversi organizzazioni civili di San Cristóbal de Las Casas hanno reso noto che "tra tensioni e voci", il giorno 21 si sono presentati in Cuxuljá e hanno potuto constatare che basi d'appoggio dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale proteggono e vigilano sul centro commerciale con un cordone umano.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas e la Commissione di Riconciliazione Comunitaria (Coreco), organizzazioni che hanno fatto da mediatrici durante il conflitto tra zapatisti e la Orcao, si sono recati sul luogo per parlare con entrambe le parti.

Le basi d'appoggio zapatiste hanno gradito la mediazione e hanno ringraziato la società civile per l'accompagnamento.

In un comunicato congiunto, la Rete dei Difensori Comunitari, Enlace Civil ed il Coordinamento Regionale de Los Altos della Società Civile in Resistenza, hanno dichiarato: "Come testimoni dello sviluppo di questo conflitto, manifestiamo contro al fatto che i governi statale e federale approfittino delle organizzazioni sociali per portare avanti i loro piani economici e politici, come il Piano Puebla Panama".


Governo statale, organizzazioni indigene e parlamentari dichiarano il loro disaccordo

La liberazione di sei implicati nel massacro di Acteal è un "messaggio di impunità"

Un altro ancora, condannato a 36 anni, potrebbe uscire per "ragioni umanitarie"

ANGELES MARISCAL, ELIO HENRIQUEZ E JUAN BALBOA - CORRISPONDENTI

Tuxtla Gutierrez, Chis., 22 novembre. Il governo del Chiapas, organizzazioni indigene e che difendono dei diritti umani, così come pure parlamentari del PRD e del PRI che compongono la Cocopa, hanno manifestato il loro disaccordo con la liberazione di sei presunti paramilitari accusati di aver partecipato al massacro di 45 indigeni in Acteal il 22 dicembre del 1997.

La difesa d'ufficio ha informato che "per questioni umanitarie" ha sollecitato ed ottenuto pure la liberazione dell'indigeno Gregorio Vázquez, detenuto per il massacro di Acteal, dato che ha un cancro ai reni e si trova in fase terminale.

Vázquez, condannato a 36 anni per omicidio e lesioni, così come per porto d'armi da fuoco di uso esclusivo dell'Esercito, sarà riportato in breve dai suoi familiari, a Chenalhó, dove è originario. Con la sua uscita saranno sette gli indigeni di Acteal liberati negli ultimi giorni.

Rispetto ai primi sei, il segretario generale del Governo dello stato, Emilio Zebadúa, ha assicurato che l'assoluzione danneggia gravemente il processo di riconciliazione e giustizia che porta avanti il governo chiapaneco. Durante un giro di lavoro per Chenalhó ha detto che la decisione del giudice Felipe Quinto Consuelo turba il processo di ritorno dei profughi ai loro luoghi d'origine, che si è cominciato a realizzare con successo negli ultimi due mesi, però soprattutto danneggia la riconciliazione che sta cercando il cammino per la pace in Chiapas.

Possibile appello della PGR

Ha affermato che confida che la PGR si appelli contro l'assoluzione ed ha informato che il governo statale seguirà attentamente i successivi sviluppi del processo degli implicati nel massacro.

Lo scorso 16 novembre, c'è stata la sentenza per 34 indigeni tzotziles che sono stati condannati a 36 anni di carcere per omicidio, lesioni e porto illegale d'armi di uso esclusivo dell'Esercito. L'esonero è stato dovuto al fatto che per gli implicati non sono stati trovati elementi sufficienti per essere condannati insieme alle altre 82 persone già recluse nel carcere di Cerro Hueco.

Da parte sua, l'organizzazione civile Las Abejas, alla quale appartenevano i morti, ha detto che l'assoluzione dei sei tzotziles da parte del giudice è un atto di "ingiustizia che può provocare altri massacri per il messaggio di impunità che sta mandando".

In un documento letto nella comunità di Acteal, dove centinaia di persone hanno ricordato i 45 tzotziles assassinati nella ricorrenza di 47 mesi, oggi, dal fatto sanguinoso, il raggruppamento ha dichiarato il suo disaccordo per la decisione del giudice, dato che "pare che cerchi pretesti, inganni, minacce e voci per mettere paura alla nostra gente".

Secondo un comunicato del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, l'assoluzione dei sei presunti paramilitari "genera un clima d'impunità e d'insicurezza per le famiglie di Las Abejas" che da poco sono tornate nelle loro comunità d'origine nel municipio di Chenalhó. "Quelle persone vedono nella liberazione dei paramilitari un rischio alla loro integrità fisica, così come un messaggio d'impunità".

Intanto, Santiago Lorenzo Jiménez, uno dei dirigenti della Coalizione delle Organizzazioni Autonome di Ocosingo, ha detto che la liberazione dei sei indigeni "genererà un clima di sfiducia nelle comunità".

La Rete dei Difensori Comunitari per i Diritti Umani ha denunciato che continuano le minacce dei gruppi armati contro le comunità delle zone basse di Tila, ed ha richiesto al governo dello stato di "fermare la violenza dei paramilitari" e di generare le condizioni per il ritorno di circa 64 famiglie choles sfollate a causa della violenza.

L'organizzazione, composta da difensori indigeni, ha dichiarato che queste famiglie soffrono per la persecuzione di gruppi armati e vivono rifugiate in altre comunità. Le famiglie esigono dal governo statale le condizioni per poter tornare nelle loro terre nelle comunità di Ojo de Agua, Susuklumil, Corosil Nuevo, Miguel Alemán, Agua Fría, Masojá Grande e Chulum Chico, da dove hanno dovuto sfollare.

Cordone umano

Decine di zapatisti provenienti da sette municipi autonomi hanno formato un cordone umano vicino alle terre di Cushuljá, nel municipio autonomo Ernesto Che Guevara, per evitare che organizzazioni sociali affini al governo del Chiapas se ne impadroniscano.

Le autorità autonome hanno richiesto al governo dello stato il suo intervento per evitare uno scontro, dato che insistono che dirigenti dell'Unione Nazionale delle Organizzazioni Regionali Contadine Autonome (Unorca), dell'Organizzazione Regionale dei Produttori di Caffè di Ocosingo (Orcao), dell'ARIC-Indipendente e della COAO stanno provocando basi dell'EZLN.

Gli zapatisti precisano che Porfirio Encino, segretario per gli Affari Indigeni, e Juan Vázquez, rappresentante del governo nella selva, tra gli altri, fino a poco fa principali dirigenti d'opposizione al PRI, hanno delle differenze con gli zapatisti. Al rispetto, l'UNORCA ha chiesto di mandare avanti un accordo pacifico con le basi dell'EZLN per evitare la violenza, benché ha detto che si tratti di conflitti isolati...

CON INFORMAZIONI DI VICTOR BALLINAS


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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