LA JORNADA (supplemento Masiosare) - DOMENICA 18 FEBBRAIO 2001

Miseria, militarizzazione e resistenza

Il sud che vedranno gli zapatisti

Polemica fin da quando è stata annunciata, la marcia zapatista sta muovendo fibre sensibili lungo quella che sarà la sua strada, le zone a maggior presenza indigena nel paese. Dai loro sostenitori - fra i quali si è già aggiunto il presidente Vicente Fox - fino ai loro più acerrimi critici sperano che si trasformi in un fatto d'interesse mondiale. Questo articolo vuole lanciare un'occhiata al Messico che vedranno i comandanti dell'EZLN e, simultaneamente, a questa parte del paese che si renderà "visibile" grazie alla marcia

Sospira Porfirio Encino, dirigente indigeno di Ocosingo, prima di lanciare la domanda: "Se tutti diventeremo funzionari, chi si curerà del movimento?". Attacca così, e lo capiamo, l'ansia dei leader prima all'opposizione è che adesso hanno un posto nel governo di Pablo Salazar.

Chi "curerà", per esempio, la marcia dei comandanti zapatisti nella loro rapida partenza dal Chiapas? - si chiede l'attuale funzionario del governo statale, dato che dall'8 dicembre, Encino è segretario per i Popoli Indios.

Non mancherà chi lo farà, dato che sebbene alcuni ammettano che le organizzazioni contadine e indigene del Chiapas "si sono svuotate di quadri", perché se ne sono stati nel nuovo fiammante gabinetto, parlano della altra faccia di ciò che è successo: "Con la campagna di Pablo si sono pure rivitalizzati e vanno avanti", dice Víttor Pérez - Grovas, consigliere dell'Unione degli Ejidos Majomut, nel caffè che la sua organizzazione ha aperto in San Cristóbal de Las Casas.

I leader sociali passati nel governo sono solo una faccia del "nuovo" Chiapas che gli zapatisti lasceranno domenica 25 febbraio, quando partirà questa "giocata politica di grandi dimensioni" che è la loro marcia verso la capitale del paese, secondo la definizione del sacerdote Gonzalo Ituarte, ex membro della Conai.

In una stanzetta che gli serve per ricevere, nella chiesa di Santo Domingo, Ituarte fa i calcoli tre settimane prima della marcia: "La cosa più probabile è che abbia successo, è che permetta allo zapatismo di consolidarsi come una forza politica in grande, anche se esiste il rischio, che vedo molto meno probabile, che non riescano a catturare l'attrazione sufficiente e finiscano più indeboliti".

Ituarte diceva questo, molti giorni prima che il presidente Vicente Fox riconoscesse che la maggioranza dei messicani appoggiano la "marcia per la pace" e le televisioni concedessero una tregua al loro desiderio di "rimpicciolire" il pellegrinaggio degli incappucciati.

Però le "forze vive" del Chiapas si muovevano già in tutte direzioni. Alcuni, con i preparativi per "accompagnare" gli zapatisti fino ai confini del vicino Oaxaca. Altri, come il celebre leader allevatore Constantino Kanter, preparando il suo ricatto al governo: bloccare la marcia se non lo ascoltano.

Il Chiapas che lasciano

Se gli allevatori li lasciano, gli zapatisti partiranno da San Cristóbal come è previsto, domenica 25 febbraio. Di corsa, prima di arrivare alla capitale dello stato, un'organizzazione del municipio di Chiapa de Corzo chiederà il loro appoggio perché "i Chiapa" siano riconosciuti come l'etnia numero 13 della regione.

All'entrata in Tuxtla Gutiérrez li aspettano contingenti di organizzazioni contadine e di maestri che vogliono "consegnarli sani e salvi" ai confini di Oaxaca.

"C'è molta effervescenza nel settore degli insegnanti, benché non possiamo dire che sia unanime", dice Víctor Ancheyta, segretario generale della sezione 7 del sindacato maestri, la più numerosa della regione.

La realtà è brutta, riconosce il professore Ancheyta: "Abbiamo compagni che al mattino lavorano con il gessetto e la lavagna e nel pomeriggio prendono il fucile perché sono di gruppi come Paz y Justicia".

La frase del leader sindacale evoca la cruda situazione dei profughi di guerra e delle comunità che, dentro o fuori la zona di conflitto, lascerà gli zapatisti con i loro problemi recenti (dal 1994 ad oggi) o così vecchi che ormai nessuno si ricorda quando sono cominciati.

"Chiapas è profondamente polarizzato, diviso e confrontato a tutti i livelli, regioni e sindacati, in tutto lo stato, non solo nella zona di conflitto", conferma Ituarte.

Questa è la tigre che ha ricevuto Pablo Salazar Mendiguchía, il governatore di tutti contro il PRI. Un cucciolo che non ha tardato a mostrare i denti.

In appena due mesi di governo, i fronti di battaglia di Salazar si sono moltiplicati. Da un lato, litigi aperti con il Parlamento ed il Potere Giudiziario locali, occupazioni di municipalità, scontri con saldi rosso sangue. Dall'altro, sul fronte interno, le difficoltà per mettere in funzione un gabinetto di opposti e per armare un piano di governo.

L'attenzione nazionale ed internazionale attirata dalla marcia zapatista non impedisce che i conflitti in Chiapas, nuovi o di sempre, continuino il loro corso.

Nelle regioni si preparano già le armi per le elezioni locali che saranno in ottobre. Per ora, la disputa è dentro e tra i partiti. Il PRI, ferito però con una forza ancora più che rispettabile nello stato, cerca di risolvere le sue divisioni interne per conservare la maggiore quantità possibile di municipi e deputati e così poter sopravvivere ad un governo di altro segno. Il PAN, il PRD e altre forze minori sono in mezzo ad un intenso tira e molla per cercare di ripetere la formula vincitrice: candidature comuni contro il PRI.

Che succederà ad ottobre?

Per dirlo con le parole dell'allora consigliere dell'IFE e oggi segretario di Governo del Chiapas, Emilio Zabadúa: "Nei prossimi mesi le elezioni possono essere uno strumento di distensione e di riconciliazione dei conflitti politici. Però possono anche non esserlo e, al contrario, aggiungere un elemento in più allo scontro in questo stato e nell'ambiente politico nazionale. Qualsiasi di questi scenari dipende da come si organizzeranno e saranno le elezioni" (Masiosare, 22 marzo 1998).

Sulla mappa geografica che pubblicammo in quella data c'è la dimostrazione che quasi sulla metà della superficie dello stato ci sono stati conflitti postelettorali. E gli odi non sono cambiati molto.

"Se non comincia il dialogo tra il governo federale e l'EZLN incontreremo un ostacolo molto forte per avanzare negli affari della periferia", dice Juan González Esponda, recentemente nominato commissario per la Riconciliazione da Pablo Salazar.

I cosiddetti "affari della periferia" sono i conflitti che hanno lasciato già una lunga sequela di morti, feriti e profughi. La guerra nella zona nord dello stato, in Simojovel e in El Bosque, in San Juan Chamula e Venustiano Carranza e, naturalmente, in Chenalhó, dove c'è stato il massacro di Acteal.

Il commissario sta lavorando. I comandanti zapatisti vanno al Distretto Federale. La guerra si arresta.

La strada Puebla - Panama

Gli zapatisti attraverseranno le zone con più popolazione indigena del paese. Gli stati del sudest che percorreranno i delegati dell'EZLN hanno problemi comuni: alti livelli di povertà e di emarginazione, mancanza di infrastrutture, gravi arretratezze sociali ed emigrazione massiccia di indigeni e contadini. Organizzazioni dei diritti umani di tutto il mondo hanno documentato che la maggior parte delle zone rurali di Chiapas, Oaxaca e Puebla sono militarizzate; la repressione è cosa di ogni giorno e sono sistematiche le violazioni dei diritti umani. I regimi dei cacique non sono impalliditi in molte regioni. Ma allo stesso tempo, contano su grandi risorse naturali.

La fisionomia di tutto il sudest può cambiare in pochi anni se, come pretende il governo di Fox, si mette in marcia il Piano Puebla-Panama, che "cerca di abbattere l'arretratezza sociale ed economica". Questo progetto pretende di "integrare gli abitanti della regione alla modernizzazione e alla globalizzazione economica". Il modello cercherebbe, tra le altre cose, di installare corridoi industriali composti soprattutto da imprese di montaggio (maquiladoras).

Il percorso degli zapatisti include cinque stati considerati nel menzionato piano (Chiapas, Veracruz, Oaxaca, Veracruz, Guerrero e Puebla). In quest'ultimo stato la maquilizazione della economia ha causato stragi fra le comunità ed i popoli indigeni e contadini.

Lì dove il governo si propone di "aprire un sentiero tra il nord e il sud" i conflitti sociali sono innumerevoli e c'è la presenza di guerriglie (in Chiapas l'EZLN, in Oaxaca e Guerrero l'EPR e i loro derivati). La povertà è generalizzata, l'ingresso medio è di mezzo salario minimo (nel nord è di quattro salari minimi), i livelli di denutrizione sono molto alti (soprattutto nella popolazione indigena infantile, dove arriva a più dell'80%). Sono regioni dove la gente vive nella disperazione perché non ce la fa a vivere e l'immigrazione verso il nord e verso le città è enorme.

Usi e costumi

I capi della COCEI oaxaqueña sono stati nella selva chiapaneca per proporre ai comandanti zapatisti di scendere dalle macchine e fare un percorso a piedi per varie strade, fino alla piazza principale di Juchitán, Oaxaca. Hanno detto di no. L'accoglienza sarà lo stesso di massa e, sperano gli organizzatori, delle più numerose della strada.

La stessa aspettativa esiste nella capitale Oaxaca, soprattutto perché la marcia dei mille 111 zapatisti nel settembre del 1997 ebbe in questa città uno dei suoi migliori momenti.

Una delle ragioni è che Oaxaca è la regione con maggior percentuale di popolazione indigena rispetto a tutto il paese. E chiaro, tre quarti della sua popolazione vive nella più estrema povertà.

Non invano una frase storica è stata proprio pronunciata in terre oaxaqueñe: "Se non siamo capaci di risolvere l'arretratezza sociale dei popoli indigeni di Oaxaca il nostro modello avrà fallito" (Ernesto Zedillo, maggio 1995).

La memoria è fiacca. Qualche giorno fa, la segretaria dello Sviluppo Sociale, Josefina Vázquez Mota, ha detto: "Con ciò che facciamo o non ci mettiamo a fare, in materia di sviluppo sociale, si misurerà il successo o il fallimento di questa amministrazione" (Bollettino della Sedeso, 11 febbraio 2001).

Le urgenze sono molte e oltrepassano i municipi (476 in 17 stati) recentemente dichiarati di attenzione prioritaria dalla amministrazione foxista.

"Circa 250 mila abitanti della capitale di Oaxaca e di altri 20 municipi delle valli centrali scontano seri problemi di denutrizione per mancanza di risorse economiche ed addirittura 'ignorano se potranno mangiare il giorno seguente", dice Francisco Coronaldo, direttore del Banco de Alimentos di Oaxaca (La Jornada, 11 gennaio 2001).

Oltre alla miseria ancestrale, naturalmente, c'è ancora un ventaglio di problemi.

Poco fa si celebrò nella città che visiteranno i comandanti zapatisti il Forum Statale Indigeno di Oaxaca. Dall'incontro è uscita un'indagine rivelatrice della situazione dei popoli indios nella regione. Dalla militarizzazione ai conflitti derivanti dalla "intolleranza religiosa", alla povertà e alle dispute di terre.

In materia elettorale, nel documento si ricorda che nelle elezioni municipali del 1998 sono stati 418 i municipi - su un totale di 570 - che hanno optato per eleggere le loro autorità sotto un "regime normativo proprio", meglio conosciuto come "usi e costumi", che è stato previsto in una riforma promossa da Diódoro Carrasco.

L'elezione di 'autorità' mediante il sistema di usi e costumi non ha eliminato i conflitti elettorali. Nel 1998, in 80 dei 418 municipi con questa modalità ci sono stati conflitti sui procedimenti di elezione o sono stati impugnati i risultati.

I conflitti più gravi si danno, secondo il foro statale, per affari come l'esclusione nell'esercizio dei diritti politici tra paesi e capoluogo, o come la partecipazione di donne alle assemblee, o le richieste di partecipazione di emigranti e l'intervento dei partiti.

Nel 1997 i partiti politici in Oaxaca, incluso il PRD, hanno richiesto che una ventina di municipi smettessero i loro usi e costumi e ritornassero alle "elezioni normali". In alcuni casi, i partiti rappresentati nel Parlamento locale hanno attizzato il fuoco dei conflitti municipali. Nessuno lo ha accettato e, invece, altri sei sono tornati al sistema di "usi e costumi".

Etnocidio

Molte comunità mazatecas e chinantecas sono state sepolte dalle dighe Miguel Alemán e Cerro de Oro e i loro abitanti sono diventati dei vagabondi.

"Questa distruzione costituisce un autentico etnocidio", dice il forum, che nel documento usa l'esempio della comunità mixe di Jaltepec de Candayoc per fare un esempio della spoliazione territoriale sofferta da diversi popoli indigeni nella regione.

Tra il 1956 e il 1958 il governo federale espropiò 18 mila 648 ettari per riubicare i danneggiati dalla costruzione della diga Miguel Alemán. Fino ad oggi, nonostante che Jaltepec abbia dimostrato i loro "diritti originari" non sono state restituite loro le terre e non hanno ricevuto nemmeno un indennizzo. Per il colmo, più di 2 mila ettari non sono stati usati per il fine indicato dai decreti e ne hanno usufruito invece la fabbrica di carta Tuxtepec e la Segreteria di Sviluppo Agricolo dello stato di Oaxaca.

La "situazione delle terre" presenta, senz'altro, la sua espressione più cruda nei conflitti di confini tra le comunità. Il problema non è da poco. La Giunta di Riconciliazione Agraria statale conta 517 conflitti di questa natura nella regione.

Nel conflitto tra Santiago Amoltepec e San Mateo Yucutindoo, nella Sierra Sud, una risoluzione del Tribunale Unitario Agrario emessa nel 1998 avviò una lunga disputa e da allora sono state assassinate quattro persone. Nella lite per mille e 90 ettari le autorità non tennero conto degli studi antropologici che dimostrano che Amoltepec è più antica di Yucutindoo.

Il caso di San Lorenzo Texmeluca, villaggio zapoteco della Sierra Sud, contro il suo vicino meticcio Santo Domingo Teojomulco, è molto più grave. Il guazzabuglio si fonda sul fatto che entrambe le comunità hanno documenti dei tempi della colonia ed i diversi tentativi di soluzione sono stati inutili. Dal 1940, quando iniziò lo scontro armato tra le due comunità, sono morte "circa 200 persone in ciascuno dei due villaggi".

I meccanismi di sentenza e di riconciliazione, dice il forum, sono stati inefficaci.

Passando per Maquilatitlán

L'ultima settimana di gennaio, poco dopo che l'EZLN rendesse noto l'itinerario della sua marcia, l'Esercito federale ha militarizzato varie regioni indigene dove si erano organizzati per ricevere i ribelli chiapanechi, che passeranno per Tehuacán e per la città di Puebla il 27 febbraio. Nella sierra hanno installato posti di blocco nelle strade d'accesso e dei convogli militari percorrono le strade.

Più di mille soldati sono arrivati alla Sierra Negra il 24 gennaio, cinque giorni dopo che il presidente Vicente Fox visitasse la regione. "L'obiettivo della presenza militare è l'intimidazione degli indigeni degli otto municipi della Sierra Negra, della zona boscosa, della Vallata e della Tierra Caliente che si sono organizzati per ricevere gli zapatisti", hanno denunciato le organizzazioni che preparano l'accoglienza dei delegati zapatisti. Ci sono posti di blocco dal lato di Veracruz - Oaxaca in Tlacotepec de Díaz, Zoquitlán, Chilchotla e San Antonio Eloxochitlán, all'entrata della Sierra Mazateca. Nella regione della Vallata si sono installati a Coxcatlán. In tutte queste regioni l'emarginazione degli indigeni è molto alta e la repressione dei cacique è cosa di tutti i giorni.

Durante il giro di Fox per queste terre, 100 famiglie di Coyalpa gli hanno chiesto di concedere l'autonomia alla loro comunità. In una lettera, gli abitanti della Sierra Negra fanno un conto delle loro lotte per le rivendicazioni sociali e agrarie. In 12 anni, dopo aver esposto le loro richieste a tutte le istanze governative, nessuna autorità li ha ascoltati.

"Come abbiamo visto non è possibile ottenere (terre, alloggio, scuole, pavimentazione, servizi) attraverso il governo dello stato, quindi ci rivolgiamo a lei come governo federale perché ci permetta di essere un popolo autonomo e ci conceda un preventivo diretto per la costruzione di una secondaria, un centro di salute per la comunità e l'espropriazione del terreno Cacahuatl che rappresenterebbe un beneficio per 100 famiglie".

Come risposta, dicono, l'Esercito è arrivato alle loro terre.

Adesso gli abitanti di Coyalpa e di altri posti della Sierra Negra cercano di incontrare la delegazione zapatista nel suo passaggio per Tehuacán.

La situazione ritratta ha similitudini con quelle di altri indigeni che vivono nelle montagne poblane: miseria, militarizzazione, cacique repressivi. Lì impera la Legge di Erode e i cacique impongono il terrore per controllare la popolazione, però gli atti di disobbedienza e la resistenza aperta degli indigeni sono cosa di tutti i giorni.

Menzione a parte si meritano le 17 comunità ubicate alle falde del Popocatépetl, che sono state minacciate di riubicazione da parte delle autorità, cosa a cui si oppongono.

La popolazione indigena di Puebla è numerosa. Secondo dati dell'INI, nello stato vivono più di 256 mila indigeni (il 9% del paese), che rappresentano il 17% dei poblani (poco più di 5 milioni). A livello geografico, dei 217 municipi della regione, 117 sono considerati indigeni.

L'avanzata

Negli ultimi 10 anni l'immagine delle valli poblane è cambiata. Oltre al corridoio industriale della capitale, la costruzione di altri corridoi simili in San Martín Texmelucan, Atlixco e, soprattutto, in Tehuacán, ha cambiato il paesaggio e la vita della gente. I nuovi modelli di sviluppo economico, basati sull'installazione di maquiladoras, rappresentano l'avanzata del denominato Progetto Puebla - Panama.

Puebla è il paradiso delle maquiladoras per la mano d'opera a buon prezzo e per la sua vicinanza con il DF. Qui si sono installate centinaia di imprese straniere che contattano minorenni, i lavoratori ricevono bassi salari, non vengono rispettati i diritti sindacali; a ciò si aggiunge il lavoro clandestino e il supersfruttamento. Se ci sono sindacati, sono legati alle imprese. Le maquiladoras hanno inquinato il terreno e le acque, senza che le autorità incaricate ponessero dei limiti. Matías Rivero Aguilar, direttore del Compartimento di Diritto e Scienze Politiche della UAP, ha segnalato che "i padroni delle maquiladoras pensano che per il bisogno di un lavoro, le persone possano sopportare questo tipo di situazioni" (La Jornada de Oriente, 13 febbraio 2001).

Negli ultimi 10 anni lo stato, però in particolare Tehuacán, ha sperimentato un boom di maquiladoras. Qui la delegazione zapatista incontrerà migliaia di indigeni e contadini espulsi dalla miseria delle loro terre, che lavorano come mano d'opera a buon prezzo nelle maquiladoras.

La Segreteria di Sviluppo Economico statale afferma che nella regione ci sono 850 maquiladoras, che impiegano 120 mila persone. Però il Consiglio Coordinatore Imprenditoriale dello stato dice che sono più di 900. Secondo Martín Barrios, della Commissione Cetilizchicahualistli, AC, esistono circa mille 500 maquiladoras grandi, anche se una buona parte opera in modo illegale attraverso il lavoro clandestino nelle case, nei cortili e sui solai, dove migliaia di donne di casa lavorano in cambio di remunerazioni infime.

* * *

Nelle ultime settimane sono scoppiati conflitti sindacali in diverse maquiladoras. Il più importante è stato in Atlixco il 9 gennaio, dove 800 lavoratori della ditta coreana Kukdong si sono messi in sciopero denunciando le cattive condizioni di lavoro, gli abusi, i bassi salari e l'assunzione di bambine. Il giorno 11 la polizia statale ha sgomberato con la forza le scioperanti. Kukdong è una ditta di montaggio per la Nike, che produce abbigliamento sportivo destinato a 77 università degli Stati Uniti. Il succoso contratto porta entrate per 2 mila 500 milioni di dollari alla trasnazionale.

Questo conflitto ha avuto ripercussioni internazionali. Una delegazione di ricercatori universitari degli Stati Uniti e di sindacalisti del Canada ha visitato la ditta per constatare le condizioni di lavoro e le denunce delle lavoratrici. Di fronte al rifiuto della ditta a rispondere alle richieste delle operaie, gruppi di studenti statunitensi hanno promosso un boicottaggio contro la Nike di Los Angeles e di altre città per avallare le denunce contro le violazioni alle leggi lavorative internazionali (La Jornada de Oriente, 11 febbraio 2001).

Il governatore Melquiades Morales ha minacciato gli operai e i sindacati e li ha denunciati come responsabili della fuga degli investimenti stranieri.

Tehuacán degli indios - operai

Tehuacán era stata battezzata come Città degli Indios (400 anni fa gli spagnoli la volevano chiamare Tehuacán de Concepción, però i popoli della regione hanno unito il denaro per comprare il titolo), però qui non si rispettano i diritti degli indios.

Tra il 1994 e il 1995 il governo accelerò la liquidazione degli ejido del Valle di Tehuacán attraverso il Procede. A causa della riforma dell'articolo 27, molti di quei ejido sono stati venduti e grazie a questo è arrivato il boom delle maquiladoras. Le imprese si comprarono dei terreni per mezzo di coyote, dei prestanome e dei soci di minoranza messicani. Hanno iniziato ad installare maquiladoras pure nella Sierra Negra con lo stesso procedimento, vale a dire si appropriano degli ejidos legalmente. Poi promuovono il lavoro a domicilio. Alle donne indigene pagano 200 pesos settimanali per questo lavoro a casa.

Un contadino di 80 anni, originario di Pancingo, municipio di Ajalpan, ricorda che avevano vinto quelle terre durante la Rivoluzione Messicana. "Molte vite ci è costato avere la terra e adesso stiamo ritornando all'epoca della schiavitù porfirista".

Imprese come Levi's, GUESS, GAP, Nike o Reebook si sono stabilite nel Valle di Tehuacán e in altre regioni di Puebla.

Martín Barrios, della Commissione Cetilizchicahualistli, denuncia: "I giovani abbandonano il campo per andare a lavorare nelle maquiladoras, si è rotto il tessuto sociale nelle comunità e la consuetudine dei lavori comunitari. I vecchi si oppongono per questo alle maquiladoras, pensano che il giorno che se ne andranno queste imprese non ci sarà di che vivere. Hanno privatizzato ejidos e l'acqua danneggiando nahuas, mixtecos, mazatecos e popolocas. I contadini diventano operai nelle maquiladoras, dove si violano i diritti umani e sindacali. Il PRI non ha mai fatto così tanti danni in 70 anni come le maquiladoras in cinque".

Tra le irregolarità sindacali nelle maquiladoras c'è l'impiego di bambini tra i 12 e i 14 anni; l'applicazione di test di gravidanza alle donne; non si rispetta la giornata di otto ore; non c'è pagamento di ore extra né di altre prestazioni. I padroni pagano a cottimo e non importa se uno fa il suo lavoro in 12 o in 14 ore, loro pagano uguale, violando la legge.

Il principale problema di Tehuacán è l'acqua. E molte maquiladoras si appropriano dell'acqua del sottosuolo in modo illegale. Le maquiladoras Lavapant, Topjail e il Gruppo Navarra, il più importante a livello locale, hanno pozzi clandestini e stanno facendo finire le scorte vitali.

In Tehuacán molti indigeni lavorano per la strada. Ci sono donne che vendono frutta e verdura, mentre decine di bambini nahua puliscono il parabrezza delle auto agli angoli delle strade. Il governo municipale ha dato un ultimatum: o vai a lavorare nella maquila o vai in galera. La maggioranza va in carcere. La Canaives ha dichiarato che gli impresari erano tanto filantropici da dare un lavoro ai bambini di strada.

Nel carcere Cereso di Tehuacán, ogni 10 detenuti, sette sono indigeni. Però nei processi non ci sono traduttori indigeni né difensori di mestiere. Non c'è giustizia per gli indios in Tehuacán. Nell'INI locale non ci sono periti indigeni. Il giardiniere dell'INI è quello che fa da traduttore al náhuatl e al mazateco, però non ha titolo di studio e continuano a pagarlo come giardiniere.

* * *

I popolocas vivono nelle zone desertiche dove la terra dà molto poco, perciò circa 5 mila lavorano in New York. In questa zona si filmò la pellicola La Legge di Erode; in molti villaggi indigeni si vive ancora come è ritratto in quel film.

Questo e molto più conosceranno gli zapatisti al loro passaggio.

Terra di tangheri?

"Per 500 anni ci hanno detto che eravamo (noi indigeni) molto tangheri. Come pensano che dalla notte alla mattina non lo siamo?" (Xóchitl Gálvez, incaricata dell'Ufficio Affari Indigeni. 7 febbraio 2001, Reforma).

Chi lo sa se in Tepatepec, sua terra, conoscono questa frase di Xóchitl Gálvez. In questo ridotto perredista sono pronti a ricevere la marcia. Tepatepec è il capoluogo municipale di Francisco I. Madero e l'entrata a Valle del Mezquital.

Popolo di contadini, maestri e - più recentemente - braccianti, i tepateco hanno dimenticato la loro lingua d'origine: il nhanhu. Dei loro 32 mila abitanti, che vivono in 28 comunità e quattro demarcazioni del capoluogo, appena il 5% parla la loro lingua, secondo calcoli delle autorità locali.

Tepa ha una storia ribelle poco comune nella regione.

20 anni fa, gli abitanti rovesciarono il cacique di quattro decenni. Otto anni dopo, fecero scappare il parroco della chiesa, Donato Morelos.

Nel 1990, quando in Hidalgo non c'era altro partito che il PRI, il PARM vinse la presidenza municipale e da due elezioni al governo municipale c'è "Alleanza Democratica", affine al PRD, però composta da abitanti "senza partito".

El Mexe, la polemica scuola magistrale rurale che è stato vivaio di governatori, parlamentari e leader sociali - lì studiò Lucio Cabañas -, è ubicata a neanche due chilometri dal capoluogo.

Il 19 febbraio del 2000 la foto di 68 gendarmi legati e seminudi nella piazza principale del paese fece il giro del mondo. Il governo statale voleva chiudere la scuola rurale ed ha mandato la polizia a sgomberare gli studenti, che avevano occupato le installazioni. L'intento terminò con l'umiliazione dei poliziotti e la liberazione degli studenti arrestati.

Giusto un anno dopo, gli zapatisti arrivarono in questa zona, considerata "di conflitto" e vivaio di guerriglieri. Però anche se coincidono su "alcune cause", i normalisti hanno le loro differenze con i ribelli chiapanechi, che considerano "moderati".

Echi del Mexe

Marcos o Fox?

Lo sguardo del professor Artemio Escamilla si perde per lunghi secondi in un punto della piazza (la stessa dove un anno fa i normalisti cantarono: "Venceremos, venceremos..."), adesso occupata da studenti della secondaria.

- Credo in Marcos - risponde infine il segretario del municipio, laureato del Mexe -. Anche se chissà?... ognuno ha le sue sorprese... Gente preparata, che va lì parlando di Fox, Fox, Fox. Non sanno neanche perché, è che lo vedono nella tele e a molti giovani piace il suo stile.

- Non tanto da dargli il voto.

- Bene, è che qui il Mexe ha moltissima influenza.

- Perché non passano gli zapatisti per la scuola ribelle?

- (Noi normalisti) abbiamo i nostri problemi interni, non possiamo esporre personaggi tanto importanti - dice Carlos Magro, componente di Alleanza Democratica e uno degli organizzatori dell'accoglienza.

Alejandro Sierra Hernández, del Comitato Studentesco del Mexe, ha un'altra idea: "Non è che non li vogliamo (gli zapatisti), è che come sempre, quelli del PRD hanno messo le loro mani in pasta e la nostra lotta non è di nessun partito politico".

Ad ogni modo, gli studenti - impegnati nella storia degli accordi che non sono ancora stati rispettati - non hanno nemmeno pensato d'invitare gli zapatisti.

Chi è più ultra, l'EZLN, il CGH o il Mexe?

Ricardo, già quasi professore (sta terminando il quarto anno) sorride da un orecchio all'altro: "Il Mexe, chiaro", si vanta.

Non tutti la vedono così. Francisca Hernández, impiegata amministrativa del Mexe dagli anni '50 e testimone di molte rivolte dei normalisti, molla una smorfia e butta lì.

- A me fanno paura.

- Gli studenti?

- Ma no, gli zapatisti! Mi fanno paura. E con i loro cappucci. Perché vengono?

Il cuore del Valle del Mezquital

Ixmiquilpan è ad un'ora da Tepatepec, andando per la strada di Progreso. È il cuore del Valle del Mezquital, dove la metà dei 75 mila abitanti di 127 comunità sono indigeni e dove si dichiara il maggior numero di otomíes.

Secondo dati ufficiali, il 60% vive in località con meno di 2 mila 500 abitanti e più del 50% non ha sistema fognario.

Benché la regione abbia prosperato grazie al denaro che arriva dagli Stati Uniti.

Così tanti se ne sono andati al nord che c'è un villaggio in Tampa, Florida, chiamato Clear Water, che - qui dicono - è già un "secondo Ixmiquilpan". E non è l'unico luogo dove si concentrano gli ixmiquilpenses. Nella comunità di El Alberto, per esempio, quasi tutti se ne sono andati in Nevada.

Qui - come in buona parte dello stato - continua a vincere il PRI. Benché negli ultimi tempi, al presidente municipale, Cirilo Hernández Quezada, non sia andata molto bene. Un mese fa, lo sequestrarono dei priisti in disaccordo e l'hanno tenuto serrato tutto un giorno nella piscina Tepaté per obbligarlo a finanziare delle opere. E 15 giorni fa, gli abitanti di Cañada Chica hanno distrutto gli uffici del Ministero Pubblico, arrabbiati per l'arresto di uno dei loro.

A differenza di Tepa, qui si conserva il nhanhu che - giurano gli abitanti - per la sua struttura gutturale rende facile l'apprendimento di altri idiomi.

Indigeni. Otomíes. Priisti. Fuori del Tephé (la piscina recuperata dai comuneros 10 anni fa e dove pernotteranno i ribelli chiapanechi), agli abitanti di Ixmiquilpan non sembra aver tolto il sonno la visita zapatista.

Membro distaccato del Consiglio Supremo Nhanhu (della CNC), il professor Jesús Pedraza si rifiuta di parlare del tema degli zapatisti. Che parli il portavoce, dice. Appena si lascia sfuggire, prima di andarsene: "neanche li riceveremo con la banda, no?".

Il tassista Isidro Martínez riassume quello che si sente per le strade del capoluogo municipale: "Vengano o no, io ad ogni modo devo lavorare per mangiare. Perché la mera verità è che nessuno sa bene che vengono a fare".

Perché l'indifferenza? "Forse non assomigliamo molto ai chiapanechi, o quello di cui stanno parlando noi l'abbiamo passato molto tempo fa", propone Benjamín Hernández Tepetate, segretario generale del municipio, otomí e orgoglioso priista.

"Il fatto che qui ci siano un presidente municipale e un segretario otomí significa che abbiamo già passato ciò e non è che non abbiamo problemi o che non dobbiamo ancora fare di più, però quello che non possiamo dire è che le loro richieste (degli zapatisti) siano generali per tutto il paese, neanche si può essere totalmente autonomi. Se vengono sono benvenuti, però credo che ci sarà più gente per la curiosità di vedere Marcos e per le mobilitazioni che fa il PRD, che perché ci siano molti ixmiquilpensi interessati alle loro richieste".

Territorio comanche

Ignacio Loyola Vera, il governatore soprannominato "Enmascarado del Bajío", è riuscito a far ciò che poteva sembrare impossibile: attrarre l'attenzione degli abitanti di Querétaro sulla carovana zapatista.

La capitale - dove grazie all'antizapatismo di Loyola i ribelli realizzeranno un atto di massa che non era previsto - ha sofferto molto di una brutale crescita demografica negli ultimi 15 anni. Nel 1980 la città aveva neanche 150 mila abitanti. Adesso, sommando il municipio inurbato di Corregidora, è attorno ai 900 mila. A questi c'è da aggiungere la popolazione fluttuante, calcolata intorno alle 300 mila.

"I queretani - dicono qui - sono una specie in via d'estinzione".

La società queretana attuale è un complesso mosaico. Una società che non ha fatto rumore quando l'università pubblica ha aperto un corso sulla sessualità (nel 1989), però dove c'è la Processione del Silenzio durante la Settimana Santa, dove incappucciati e incatenati penitenti camminano per le principali vie della città.

La crescita ha dato a Querétaro un nuovo profilo economico che tende verso i servizi. E un corridoio industriale da Pedro Escobedo a San Luis Potosí, che ha dato luogo ad un serio problema di scarsità d'acqua. È qui che inizia a sentirsi l'effetto della decelerazione negli Stati Uniti, dato che l'80% delle imprese sono del settore automobilistico ed alcune hanno già dovuto chiudere.

E mentre la popolazione si concentra nel corridoio industriale - come indicano studi dell'Università Autonoma di Querétaro -, la zona della sierra e il semi deserto queretani si stanno svuotando, data la mancanza di opportunità di sussistenza.

Ignacio Loyola, governatore di Querétaro, si sta tenendo pronto per dichiarare non graditi gli zapatisti quando arriveranno sulla sua terra.

"La visita dell'EZLN ci fa venire in mente il Querétaro non simpatico, quello di Loyola Vera", afferma Gonzalo Guajardo, segretario accademico della Facoltà di Filosofia della UAQ.

Il governatore non rappresenta il pensiero di un ampio settore di queretani?

L'accademico lancia un sorriso a Modesto Cervantes, coordinatore dei diplomati della facoltà: "Però ci guadagniamo lo stesso, in buona misura proprio grazie al governatore: tutta la stampa sta parlando dell'argomento".

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Il governatore Loyola, in tre atti:

"Esercito abbiamo solo uno... se ce n'è un altro è perché siamo in guerra... e se (gli zapatisti) sono degli invasori, sono dei traditori della patria, meritano la pena di morte" (trasmesso da Radio Querétaro, il 29 gennaio).

"Qui non vogliamo che passino gli zapatisti; noi non abbiamo problemi con loro, né loro hanno niente da venire a fare in Querétaro" (Riforma, 1° febbraio).

"Ma che intolleranza? Io ho mai usato aggettivi, mai ho insultato nessuno, nonostante abbia ricevuto un'infinità di insulti" (Noticias, 1° febbraio).

Quattro ex governatori (Juventino Castro, Antonio Calzada Urquiza, Manuel González Cosío e Enrique Burgos) hanno avallato quanto detto dal governatore. Con le loro aggiunte. Qui, quella di Castro Sánchez: "Se (gli zapatisti) sono già sul piede di guerra, è previsto perfino nel nostro Inno Nazionale" che colui che "osa mettere un piede qui senza il consenso dei messicani deve morire".

Passando per Guanajuato

Antonio Tirado, presidente municipale di Acámbaro, riassume la situazione del sud di Guanajuato, che si potrebbero ripetere allo stesso modo pure per la Mixteca o per l'istmo di Tehuantepec, per la Sierra Negra di Puebla o per tutte le altre parti del Michoacán: poco lavoro e mal pagato più briciole per il lavoro nei campi uguale un esodo terribile.

Dove le hanno ancora, i contadini affittano le loro terre e vanno a tentare la fortuna negli Stati Uniti. E' sempre più normale la vendita dei pezzi di terreno a quelli che hanno di più.

"In pochi anni le terre, che Cárdenas e Zapata suddivisero fra i contadini, stanno tornando ai cacique ed ai latifondisti", si lamenta.

El Bajío è fertile, però le politiche agricole mantengono il sud dello stato di Guanajuato nella miseria, ci si salva solo con il denaro che arriva dagli emigrati.

Acámbaro è un municipio grande: 150 mila abitanti suddivisi fra 123 comunità ed il capoluogo municipale. Secondo i calcoli dei ricercatori dell'Università di Guanajuato, nell'alta stagione (maggio/giugno) il 40% della popolazione rurale e il 25% degli abitanti della città emigrano negli Stati Uniti.

Che sia perredista è un modo di dire.

Antonio Tirado è dirigente dell'Unione Contadina Democratica e si è messo in lizza per la presidenza municipale sotto la sigla del PRD (la stessa con cui sei anni fa vinse il posto da sindaco e tre anni fa tre ottenne il posto da deputato locale). Però questa è la storia di Tirado, che ha ottenuto nel municipio gli stessi voti di Vicente Fox. Gli altri cinque posti in lizza qui lo scorso 2 luglio (deputato locale, deputato federale, senatore, governatore, presidente) li ha vinti il PAN.

Francobolli di Acámbaro

Termina l'assemblea della piazza Hidalgo. I componenti della UCD si mettono d'accordo per manifestare vicino al rancho di Vicente Fox durante la visita di George Bush, per richiedere la regolarizzazione delle loro auto (si calcola che ci sono circa 60 mila veicoli irregolari nello stato). Francisco Escobar, segretario generale della UCD dello stato, legge una lettera del subcomandante Marcos e invita tutti ad accogliere i ribelli il 1° marzo.

Però i contadini hanno altre preoccupazioni. Si ammucchiano intorno ad Antonio Tirado, che dichiara che in questa riunione partecipa come Toño e non come sindaco. Le domande sono: chi pagherà il bus? e dove ci riuniamo noi che andiamo con la nostra auto?

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Nelle notti dei sabato il traffico sconquassa dal centro di Acámbaro. Camionette e auto con targa del Texas, della California, del Nevada, della Luisiana, del Kentucky - guidati da giovani che ascoltano la musica a tutto volume -, fanno giri per le piazzette dove camminano a gruppetti le ragazze.

Guadalupe, del rancho El Sauz, passeggia con la sua Pontiac blu targata California. Tutta la sua famiglia (nove fratelli) è già andata al nord varie volte - dice - e si son portati via perfino i loro papà.

Come molti qui, Guadalupe non sa che vengono gli zapatisti.

Non ascolta le notizie?

- Sì, le vedo. Per questo so che questo Marcos si incontrerà già con Fox e vanno a firmare la pace.

Nurío: qui non importa nient'altro che gli accordi di San Andrés

Nurío, una piccola comunità incastrata nella Meseta Purépecha di Michoacán, dopo non esser apparsa sulla stampa per molti anni, oggi è sui titoli in prima pagina.

10 anni fa, la popolazione del luogo era famosa per le sue manifestazioni e per i suoi blocchi lungo le strade; oggi, per essere il prossimo anfitrione degli zapatisti.

"Solo gli accordi di San Andrés, adesso siamo nella lotta solo per gli accordi di San Andrés", ripete, una volta e poi ancora, Juan Chávez, purépecha di Nurío. Si rifiuta di parlare dei vecchi problemi della regione - il taglio dei boschi, i conflitti intercomunitari, l'emarginazione, l'immigrazione -. La sua scusa è semplice: Perché cercare la lite se è momento di stare uniti? Perché sviare la attenzione verso altro?

E' che la comunità di Nurío (di 3 mila 500 abitanti, secondo i conteggi ufficiali, e di circa 7 mila, secondo i suoi abitanti) è dentro l'organizzazione del Terzo Congresso Nazionale Indigeno (CNI) - il cui tema unico sarà "il riconoscimento costituzionale dei diritti dei popoli indigeni conforme agli accordi di San Andrés ed all'iniziativa della Cocopa" - e la visita della delegazione zapatista.

Nurío è famosa nella regione per la sua "bellicosità" - dicono alcuni - "combattività" - pensano altri - Certo è che, in numerose occasioni, i suoi abitanti hanno partecipato a lotte contro brogli elettorali, in difesa dei boschi o nelle dispute per confini territoriali.

Il popolo purépecha è stato un importante membro del CNI, in primo luogo attraverso l'Unione dei Comuneros Emiliano Zapata (UCEZ), l'Organizzazione della Nazione Purépecha e la Nazione Purépecha Zapatista.

La visita sperata

La visita degli zapatisti ed il Terzo Congresso Nazionale Indigeno, sono, senza dubbio, due dei fatti più importanti che siano mai accaduti a Nurío, dicono d'accordo molti abitanti.

I preparativi sono cominciati da quando è stato annunciato che il Congresso si sarebbe tenuto qui; tra i più attivi ci sono gli insegnanti delle due scuole elementari, dell'asilo e della secondaria e le autorità locali.

"Il popolo purépecha di Nurío li sta aspettando con le braccia aperte!", esclama Margarita Chávez.

"L'onore" include il dovere di ospitare migliaia di visitanti. Le scuole diventeranno dormitori e nella Secondaria Tecnica 59 si terranno i lavori del CNI. Alcuni "ingegneri" di Paracho - inviati dalla presidenza municipale - sono già andati a controllare ciò che manca nelle installazioni scolastiche (energia elettrica, acqua). Inoltre gli insegnati stanno organizzando "eventi culturali" che avranno luogo nel momento del benvenuto e alla chiusura del congresso e tutte le bande musicali si sono già impegnate a partecipare.

"Nella comunità c'è molta buona volontà", dice Margarita Alonso.

90 latrine e 50 docce saranno installate mediante il lavoro volontario. Il 4 febbraio, per esempio, racconta Abelardo Torres, purépecha delegato del CNI, circa 300 nuriensi e volontari di varie organizzazioni hanno lavorato per i preparativi.

Benché il peso maggiore dell'organizzazione sia a carico della comunità di Nurío, molte altre comunità partecipano. E contribuiscono alla diffusione delle notizie ed alle collette gruppi civili, sociali e politici.

E dato che le cose non si fanno solo grazie alla buona volontà, è stato aperto un conto in banca per sovvenzionare le spese. Varie comunità stanno facendo collette e donazioni. Per esempio, Pamatácuaro ha portato la maggior parte del legno per le tavole del palco, per le scalinate e per i sanitari, e una vacca; l'Alleanza Indipendente dei Popoli Mazahua - Otomí ha offerto di donare un bue e una tonnellata di mais. Gli organizzatori stanno chiedendo ai delegati del CNI che portino cibo perché le donne non debbano stare nelle cucine a cucinare tutto il giorno e possano partecipare ai tavoli di lavoro. Ad ogni modo, le famiglie di Nurío offriranno cibo nelle loro case.

Gli alberi della discordia

"Il Generale ci ha autorizzato ad usare questi boschi - raccontano i vecchi delle comunità della sierra di Michoacán -. Ci ha detto, 'non siate scemi: lo vedete che si stanno portando via questi alberi degli altri? Usateli voi!". Non si sa se queste siano state le esatte parole di Lázaro Cárdenas, ma è certo che fu lui, come governatore, che restituì nel 1931 i boschi agli indigeni della regione. Gli "altri" a cui che si riferiva Cárdenas erano le compagnie straniere che portavano via la legna dalla regione per trasformarla più che altro in carbone.

Ci sono stati dei tentativi di fare delle cooperative nelle comunità, però hanno avuto poco successo. I boschi semplicemente sono passati adesso allo sfruttamento di mani nazionali e non straniere. "Così come si dice che ogni comunità indigena aveva il suo antropologo, qui ogni villaggio ha il suo industriale del legname", dice Gerardo Mora, ricercatore dell'Università Don Vasco.

Oggi, in questa regione si vedono macchie bianche o marroni dove prima c'erano i pini. Ci sono villaggi che hanno già finito il bosco che compete loro e così saccheggiano quello del villaggio vicino.

Che scelta resta per sopravvivere? Andarsene da un'altra parte.

Però ci sono molti litigi comunali

Come si sono picchiati, in questi villaggi

(I Tre Cantanti Silva di Nurío)

Le dispute tra le comunità della meseta sono ancestrali. Tutto è cominciato con i "titoli del viceré" sovrapposti. Fino ad oggi, questa è stata la principale causa di lite. In alcuni casi, l'area in conflitto è soltanto di 100 o 200 ettari, in una proprietà che magari ne ha 40 mila ettari. Però naturalmente si tratta di luoghi dove si trova una cava di sabbia o una sorgente d'acqua. L'estensione che Nurío, San Felipe, Urapicho e Cocucho si disputano è intorno ai 3 mila ettari. Nel 1992, Carlos Salinas, in una delle sue due uniche visite nella regione come presidente della Repubblica, attestò la firma dell'accordo di pace tra queste quattro comunità che poneva fine al conflitto che aveva causato più di cento morti. Questo patto per ora è stato rispettato, ad eccezione di uno scontro l'anno scorso.

In totale, secondo Ottaviano Lemus, ricercatore dell'Università Michoacana di San Nicolás de Hidalgo, ci sono più di 40 mila ettari in litigio nella regione.

Lo scemo del villaggio

Stazione Politecnico, linea cinque del Metro. Una mattina di gennaio. Alle sette in punto uno dei treni parte rispettando l'orario di servizio in direzione Pantitlán, quando subito, dietro il convoglio, appare correndo sui binari un anziano che il rapporto interno del corpo di vigilanza descrive "circa di 68 anni, di aspetto provinciale, scalzo, con cappello, pantaloni e camicia di colore bianco".

Immediatamente le guardie del Metro tolgono la corrente elettrica e fermano il signore, che stava per arrivare al treno.

Secondo il rapporto di sicurezza, quando gli hanno domandato la ragione per cui era sceso sui binari e inseguiva il convoglio, l'anziano ha detto d'essere originario di un villaggio vicino a Hidalgo e ha spiegato che era sceso sui binari perché aveva pensato che non ci sarebbe stato un altro treno "fino al pomeriggio" e non voleva mancare al suo appuntamento con la Vergine di Guadalupe, nella Basilica.

Ha avuto fortuna. Il suo compaesano Luis Zacarías è stato otto anni e mezzo in un centro di attenzione per indigenti del Distretto Federale perché quelli che lo avevano interrogato lo credettero "debole di mente" semplicemente perché non parlava spagnolo.

All'uomo del Metro questa volta è andata meglio. Gli hanno spiegato come funzionava e gli hanno permesso di continuare il suo viaggio.

La grande città che riceve gli indigeni.

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Arturo Cano in Chiapas; Daniela Pastrana in Hidalgo, Querétaro e Guanajuato; Tania Molina in Michoacán; Jesús Ramírez Cuevas in Puebla


EL TEPHE, LA MISURA DEL SUCCESSO

Auto e negozietto per ogni indigeno?

José Huerta, presidente del Consiglio d'Amministrazione del Tephé e leader del comitato che ha recuperato questa piscina per la comunità indigena, nemmeno entra in tema.

"L'iniziativa privata va bene, non abbiamo nessuno problema con loro, però si deve pure avere fiducia nel progresso comunitario e ejidale".

Che migliore dimostrazione della capacità organizzativa degli indios - dice questo professore otomí - che il successo del Tephé.

"Quello che desideriamo, quello che abbiamo cercato di fare invitando gli zapatisti, è che si sappia che il progresso ejidale e comunale è attuabile e che gli indigeni del paese hanno la capacità di amministrare e si deve dar loro fiducia".

È la sfida dell'amministrazione di Vicente Fox.

"Il governo deve lasciare che i popoli indigeni si organizzino ed appoggiarli con programmi federali perché possano svilupparsi - scommette Huerta -. L'autonomia dei popoli indigeni non è pericolosa, qui in Tephé siamo autonomi dentro un quadro legale e non c'è problema per nessuno, perché quello che si sta proponendo è una organizzazione non individuale, ma collettiva, che qui ha dimostrato di poter funzionare e con successo".

La piccola proprietà, un'invenzione dei cacique

Nel 1947 una soluzione presidenziale ha concesso mille 265 ettari a 60 famiglie di Tephé, in regime comunale. Un anno dopo, gli indigeni scoprirono la prima fonte di acqua termale. Presto si resero conto che potevano far pagare i forestieri per bagnarsi.

Però non mancò chi diceva che non poteva funzionare come affare con tanta gente immischiata, per cui nel 1974, con l'avallo dei funzionari locali e statali, 35 famiglie costituirono una società anonima di capitale variabile.

"Lì si è divisa la comunità - spiega Huerta - . Quelli che sapevano un po' di più e avevano denaro accaparrarono le azioni (che costavano 500 pesos). La maggioranza è rimasta fuori dal progetto".

Nove anni dopo, gli esclusi iniziarono una lunga lotta per riscattare il loro patrimonio. Nella Segreteria della Riforma Agraria scoprirono che non erano "piccoli proprietari" come avevano fatto credere loro.

"Qui i caciques inventarono i piccoli proprietari. Non volevano sapere di ejido o comunità perché avevano proprietà ovunque.

La ricetta: non dare denaro

Da che lo recuperò la comunità, nel 1991, il Tephé non ha smesso di crescere.

Nel 1993 si inaugurò la piscina con le onde, che costò 8 milioni di pesos, nel 1994 i primi due toboga, nel 1995 l'area attrezzata con strutture per il riposo, in 1996 la piscina per i bambini, nel 1997 le prime casette e il salone, tra il 1998 e il 1999 la piscina con la cascata; in 2000, i toboga grandi e 10 bungalow di lusso.

Un'autentica oasi, con 19 ettari di costruzioni.

La ricetta?

Huerta spiega uno schema che sicuramente non condivide il direttore del IMSS e padre del Progresa, Santiago Levy: non dare denaro.

Dei guadagni, il 60% si destina allo sviluppo dello stabilimento balneare e il 40% ad opere per la comunità. Una parte per opere di infrastruttura e un'altra per le spese delle famiglie, come il pagamento degli studi, l'assicurazione sanitaria che copre il 100% delle spese per malattia e un pacco mensile con articoli di prima necessità. Gli unici che ricevono un appoggio economico diretto sono gli ultrasessantenni.

E perché non si divide il denaro?

"Perché ci rovineremmo. Il non darlo ci ha permesso di restare uniti e sviluppare tutto questo".


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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