il manifesto - 17 Agosto 2001

Il Messico non è la Coca Cola

GIANNI PROIETTIS - SAN CRISTÒBAL DE LAS CASAS

"Il governo del signor Fox è una vera porcheria!", esclama Domingo Santiz Lopez, un campesino appena tornato dalla grande marcia a Città del Messico. "Quelli di prima rubavano, è vero - si riferisce al Pri, il partito-stato spodestato nelle elezioni del 2000,dopo 71 anni di potere assoluto - ma almeno liberavano i sussidi per il campo. Questi, né rubano né mollano un peso".

Le cifre, perfino quelle ufficiali, gli danno ragione: circa due terzi dei crediti e dei sussidi all'agricoltura già approvati nel bilancio non sono ancora stati erogati dal nuovo governo.

E il campo è in ginocchio. I produttori di canna da zucchero non sono stati pagati dagli industriali a cui hanno consegnato i raccolti. Chiedono che si smetta di importare glucosio di mais dagli Stati Uniti, pena la loro stessa sparizione. I produttori di caffè del Chiapas, castigati dal prezzo internazionale, quest'anno in molti casi hanno lasciato i grani sulle piante: i proventi non sarebbero neanche bastati a pagare la raccolta. I produttori di mais protestano contro le importazioni massicce dagli Stati Uniti, che stanno inondando il Messico di granturco transgenico, in barba al Nafta, il trattato di libero commercio del Nordamerica.

Le migliaia di contadini che hanno marciato la settimana scorsa fino alla capitale, provenienti da tutti gli angoli del paese, si sono scontrati con la sufficienza presidenziale e sono stati relegati a ventesima notizia nei telegiornali.

"Questo governo non ha bisogno di pressioni", ha detto Fox. Ci sono voluti vari giorni prima che qualche ministero ricevesse i rappresentanti dei campesinos.

A soli otto mesi e mezzo dalla sua investitura, il governo di Vicente Fox, il presidente della Coca-Cola diventato presidente del Messico grazie a una campagna di marketing senza precedenti, ha già dilapidato interamente il suo patrimonio di popolarità. E ha confermato l'assioma berlusconiano, per cui piazzista e statista faranno pure rima ma non sono necessariamente sinonimi.

Incapace di leggere la realtà nazionale, arroccato in un ottimismo dichiarativo che stride con la drammatica situazione vissuta dalla maggioranza dei messicani, Fox ha mostrato finora una caratteristica preoccupante: quella di imboccare sempre la strada sbagliata - che si tratti della ley indigena o della riforma fiscale - e di ostinarsi a perseverare nell'errore.

Le elezioni per un nuovo governatore tenute la settimana scorsa nello stato di Tabasco, in cui si è imposta la vittoria fraudolenta del Pri, proprio come ai vecchi tempi, hanno riscosso l'approvazione del nuovo presidente, che ha così resuscitato un "dinosauro" apparentemente moribondo. Tabasco, in effetti, era l'ultima spiaggia per il Partido Revolucionario Institucional, ormai in accelerato declino dopo la perdita della presidenza.

L'elezione del 5 agosto scorso, sfuggita ai radar dei media internazionali, apre una nuova fase nello scenario messicano. Ora è sfumata definitivamente, almeno per questa presidenza, la possibilità di una transizione democratica. E il Pri - quello peggiore, tra l'altro - torna per restare.

Bombe "alla veneziana"

Le tre bombe-carta firmate Farp - Fuerzas armadas revolucionarias del pueblo - esplose una settimana fa a Città del Messico davanti ad altrettante filiali della banca Banamex erano solo dei petardi, ma a qualcosa sono servite. Intanto, hanno occupato il posto d'onore sulle prime pagine e nei notiziari, "coprendo" la marcia campesina, che era il vero evento della settimana.

Poi hanno dato il destro ad Aguilar Zinser, consigliere per la sicurezza nazionale, per annunciare "energiche misure" non ben specificate e invocare l'unità di tutte le forze politiche e sociali contro la violenza. Inoltre, hanno ricordato l'esistenza di almeno quindici gruppi guerriglieri censiti - le Farp sarebbero la scissione di una scissione dell'Erp, Ejercito Revolucionario del pueblo - in una situazione di forte esplosività sociale.

Per ultimo, le tre bombe-carta, che hanno infranto solo una vetrina e danneggiato una lampada, hanno ricordato la scandalosa vendita della banca Banamex al Citigroup, avvenuta pochi giorni fa per 12 miliardi e mezzo di dollari. Un affare succoso tanto per gli azionisti del Citigroup, entrati in possesso anche della maggiore collezione privata di arte messicana, quanto per gli azionisti di Banamex, che si erano beneficiati in precedenza di un piano di mega-salvataggio bancario sulle spalle dei contribuenti. Nessuno dei due ha pagato un soldo di tasse.

Il gabinetto di Fox, che lui stesso ha definito "di e per industriali" in un recente viaggio all'estero, sembra piuttosto un'armata brancaleone e suscita proteste anche all'interno della Coparmex, la confindustria messicana.

I ministri di economia e finanze non hanno escogitato niente di meglio che imporre l'Iva a medicine e alimenti, una misura altamente impopolare che mette in rischio la già precaria stabilità sociale. I grandi piani del "governo del cambio" sembrano consistere esclusivamente nel mettersi a totale disposizione delle multinazionali e dell'amministrazione Bush. Il Plan Puebla Panama sta aggregando un ampio fronte di opposizione, che lo denuncia come offerta di manodopera quasi schiava, devastazione dell'ecosistema e rinuncia alla sovranità.

I famosi "crediti" annunciati dal governo per stimolare la formazione di microimprese si sono rivelati un'ennesima beffa: con meno di cento dollari, si può solo vendere gomme americane per la strada, ingrossando le fila degli ambulanti.

Un cadavere eccellente

Sabato scorso è morto di un male incurabile Carlos Hank Gonzalez, 73enne politico priista di prima grandezza. Maestro rurale figlio di un immigrante tedesco, el Profesor era riuscito ad accumulare, nell'arco di più di mezzo secolo di carriera politica, una fortuna che nel 1993, secondo la rivista Forbes, superava il miliardo di dollari.

Fondatore del cosiddetto "Gruppo Atlacomulco", un'aggregazione di giganteschi e torbidi interessi di cui ha sempre negato l'esistenza, Hank Gonzalez ha fatto scuola, all'interno del Pri, sugli intrecci fra affari e istituzioni. La sua massima più famosa era che "un politico povero è un povero politico". E il suo gusto per il potere lo portò ad occupare le maggiori cariche - da sindaco della capitale a ministro del governo Salinas - e ad essere uno degli uomini più influenti del paese. Non arrivò alla presidenza della repubblica solo perché le sue origini straniere glielo impedivano costituzionalmente.

Citato in una commissione del Senato statunitense come "il capo di tutti i capi", el Profesor era accusato di collusione con i maggiori narco-trafficanti messicani, ma neanche la Dea, che pure diceva di marcarlo stretto, è mai riuscita a provare queste accuse. Con la morte di Carlos Hank Gonzalez, i cui interessi si consolidarono ulteriormente durante i sei anni di Salinas, si chiude un'epoca, dicono i commentatori ufficiali.

In realtà, gli sopravvivono due figli che avevano già preso in mano le redini dell'azienda paterna ed altri membri del Gruppo Atlacomulco. Il più potente fra questi è Roberto Madrazo, attuale candidato alla direzione del Pri dopo che il suo delfino, Manuel Andrade, è diventato governatore di Tabasco. Con la benedizione di Fox.

Né le nuove "minacce terroriste" né le presunte "fini di un'epoca" riescono però a distrarre l'attenzione della società civile. Venerdì scorso, a Ginevra, la maggioranza dei governi rappresentati nell'Onu ha riconosciuto i popoli indigeni come soggetti di diritto.

È un passo molto importante nell'emancipazione dei popoli originari di tutto il mondo ed una prima riparazione delle ingiustizie storiche che hanno subìto.

Ora la nuova risoluzione verrà proposta a nome delle Nazioni unite alla prossima conferenza mondiale contro il razzismo, che si terrà in Sudafrica alla fine del mese. E il governo messicano si troverà completamente fuori gioco con la sua tanto decantata ley indigena.

Domenica, a Città del Messico, il "popolo di Porto Alegre" si è riunito per dare vita al primo "Incontro internazionale dei movimenti sociali". Le principali organizzazioni indigene e contadine delle tre Americhe si stanno coordinando per contrastare i piani continentali del neo-liberismo e tracciare un'alternativa alla "globalizzazione della miseria".


"La Ley Indigena è una farsa e un tradimento"

I 10 milioni di indigeni del Messico sono esasperati e mobilitati non solo per la politica agricola del governo Fox che "ammazza" i campesinos messicani, per la maggior parte indigeni. Anche la Ley Indigena, entrata in vigore mercoledì 15, ha suscitato la violenta opposizione degli indigeni che si sentono "traditi" dal testo approvato dal Congresso federale che ha svuotato di contenuti l'affermazione dei diritti indigeni. Quel giorno alcune centinaia di indios hanno inscenato una manifestazione di protesta davanti alla sede del Congresso, a Città del Messico. Anche se la maggioranza dei 31 stati dell'Unione ha approvato il testo, esso è stato respinto dagli stati in cui risiede la maggioranza della popolazione indigena.

"Questa legge è razzista e nata morta - ha detto Abelardo Torres, leader indigeno del Michoacan -, è un tradimento dei popoli indigeni non solo del Messico ma di tutta l'America latina". Fox cerca di salvare capra e cavoli affermando che "ci sono ancora margini di miglioramento della legge". Ma l'Ezln ha escluso ogni possibilità di ripresa dei negoziati se il testo non ritorna ai suoi connotati originali.


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