PROCESO - 17 giugno 2001 - N.1285

Esclusione economica e razzismo

Pablo Latapí Sarre

Arriva nelle mie mani un documento che aiuta a comprendere la grandezza del disastro causato dall'errata decisione del Parlamento, orchestrata dal panismo razzista, di sconvolgere l'iniziativa di legge indigena nei punti che erano essenziali. Si tratta di un documento che sarà presentato alla prossima Conferenza Mondiale dell'ONU contro il Razzismo, la Xenofobia e le Forme Relazionate di Discriminazione, che si terrà in Durban, Sudafrica, a fine agosto, e che é stato elaborato dal Consiglio Internazionale per le Politiche sui Diritti Umani. Si chiama "Racial and Economic Exclusion: Policy Implications" (Versoix, Suiza, 2001), analizza il modo in cui l'esclusione economica si relaziona con la discriminazione razziale e propone raccomandazioni di grande interesse. Non si può evitare di leggere queste raccomandazioni alla luce del colpo dato dal Parlamento messicano; la sua lettura obbliga a concludere che abbiamo fatto un gran salto all'indietro non solo nella soluzione del conflitto del Chiapas ma anche nell'attenzione al problema indigeno come problema fondamentale della nazione.

Il documento si collega con un altro precedente della stessa istituzione (Persistenza e mutazione del razzismo, commentato in questa rivista, Proceso n. 1275); adesso si approfondisce nell'obbligata associazione tra la discriminazione razziale e le politiche sociali e economiche che trascurano i gruppi discriminati rispetto alla popolazione dominante. Il fenomeno viene analizzato attraverso lo studio di sette casi concreti: la popolazione afroamericana degli Stati Uniti, i dalits dell'India, i pigmei (twa) della regione dei Grandi Laghi in Africa, i gitani dell'Ungheria e di altri paesi dell'Europa Orientale, i popoli indigeni di Ecuador e Canada e i discendenti africani in Brasile. La dimostrazione è molto eterogenea riguardo al grado di sviluppo di ciascun paese e alle disuguaglianze interne e anche rispetto al regime politico, alle misure legali vigenti e alle misure adottate da ogni governo. È anche diversa l'origine storica di ciascun gruppo: comunità originarie conquistate in Ecuador e Canada (casi simili al nostro), discendenti di schiavi deportati in Brasile e negli Stati Uniti, sistema tradizionale di caste in India o la peculiare evoluzione storica dei gitani; nonostante le tante differenze, si riconosce in tutti i casi "la natura sistematica della discriminazione razziale" e l'interazione tra il rifiuto per ragioni di razza e l'emarginazione economica.

Entrambi processi si rafforzano reciprocamente: le minoranze razziali sono considerate inferiori; perciò sono discriminate socialmente e relegate economicamente; la società avalla la loro arretratezza e giustifica il suo pregiudizio razziale precisamente con quella arretratezza; così si rafforza il pregiudizio attraverso l'applicazione di politiche e pratiche di esclusione che impediscono lo sviluppo del gruppo escluso. E' stato il nostro caso: gli indios sono stati considerati inferiori dalla Conquista, come tali sono stati trattati dalle diverse forme di schiavitù alle quali sono stati sottoposti; più tardi le politiche economiche, sociali e educative hanno continuato a trattarli in conformità con questo stereotipo limitando il loro accesso alle opportunità che vengono offerte al resto della società; così abbiamo confermato il pregiudizio della loro inferiorità, trasmesso di generazione in generazione.

Strappare questo meccanismo sociale e culturale suppone, in primo luogo, conoscere i processi implicati. Quattro ostacoli incontrano i gruppi razziali esclusi di fronte alla possibilità di essere accettati: la mancanza di riconoscimento dei loro diritti nella legislazione del paese; l'inefficacia delle leggi che li proteggono e l'impunità di chi le disconosce; l'accesso insufficiente ai servizi pubblici e alle opportunità sociali (di salute, educazione, alloggio, sicurezza sociale, impiego) e un'insufficiente rappresentanza nelle strutture politiche per superare i loro svantaggi sociali. I quattro ostacoli, combinati, tessono e rafforzano il circolo vizioso povertà - esclusione - rifiuto - discriminazione - povertà.

Lo studio registra altri aspetti ancor più particolari, come il ruolo che gioca, nel caso dei gruppi indigeni, l'attaccamento alla terra e il riconoscimento del loro territorio; la carenza di statistiche che differenzino la popolazione per la razza con il fine d'identificare la portata dell'esclusione; o la viabilità dei reclami di "indennizzo" di alcuni gruppi razzialmente discriminati. Si nota pure l'influenza dei mezzi di comunicazione nel rafforzare la discriminazione: un'inchiesta dell'Università di Yale, per esempio, ha provato che le riviste Time e Newsweek utilizzano immagini di persone di colore per illustrare la povertà nel 65% dei casi, benché la popolazione nera sia solo il 9% del totale.

Il documento conclude raccomandando un insieme di politiche e misure, che ordina in cinque punti: riconoscimento dei diritti dei gruppi discriminati, adeguata rappresentanza di questi gruppi nelle strutture politiche, disponibilità di risorse economiche la cui applicazione venga lasciata nelle loro mani, intensificazione dei programmi di sviluppo economico e sociale, particolarmente per l'educazione e la salute (che oggi gli economisti chiamano, chissà perché, "azioni affermative") e per finire misure che contribuiscano a modificare le percezioni e gli atteggiamenti della società.

La mancanza di spazio impedisce di entrare in dettaglio; solo elenco alcune raccomandazioni di particolare interesse: riconoscere gli errori della storia ufficiale che alimentano immagini sociali negative dei gruppi discriminati, stabilire leggi che condannino la discriminazione razziale senza dimenticare di regolamentare i procedimenti per perseguire i reati corrispondenti (in particolare le sanzioni a poliziotti e impiegati pubblici che commettano abusi), sensibilizzare sulla discriminazione giudici, procuratori e poliziotti, dare slancio e rafforzare il monitoraggio indipendente delle istanze governative mediante un ombudsman specifico e organizzazioni dei diritti umani, introdurre nelle statistiche del paese, dove sia rilevante, la differenziazione per razza, con il fine d'identificare meglio i problemi e per poter misurare i progressi, fare in modo che i gruppi discriminati possano dirigere le proprie istituzioni e usufruire delle proprie risorse in autonomia e dare visibilità a questi gruppi, in modo che siano adeguatamente rappresentati nelle istituzioni pubbliche e che i loro rappresentanti rendano conto della gestione alle loro comunità.

L'iniziativa originale di legge della Cocopa apriva la possibilità e stabiliva le basi perché il paese potesse adottare molte delle politiche e delle misure raccomandate; questa possibilità è stata cancellata con un colpo di spugna dal Parlamento messicano privandola dei punti sostanziali. Facendo ricorso a sotterfugi legali o a considerazioni politiche opinabili, si è imposto il razzismo latente di alcuni parlamentari e si è approfittato purtroppo dell'incoscienza o dell'ignoranza di altri. Così si sono soppressi o alterati, come è noto, degli elementi fondamentali contenuti nell'iniziativa: la definizione di popolo indigeno, il suo carattere di soggetto di diritto pubblico, la sua autonomia, il territorio, il dominio sopra le loro proprie risorse e altro ancora. Il testo approvato denota un disconoscimento della problematica sociale, economica e politica dei popoli indigeni e non offre i necessari punti d'appoggio per la soluzione.

Nonostante tutto questo, le politiche raccomandate in questo importante documento sono fondamentali: prima o poi dovremo riprendere il cammino interrotto, se dobbiamo affrontare alla fine la realtà del paese. Costruire una società giusta è un processo complesso, va di pari passo con un altro processo interno tanto difficile come il primo: quello di riconoscere i propri pregiudizi verso gli altri e, nella misura del possibile, liberarsene.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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