Dietro al passamontagna

Guadalupe Loaeza a La Realidad

GUADALUPE LOAEZA/ Gruppo Riforma (13/Febbraio/2001)

(Prima parte)

Per "la Mar"

"Madame!", ha esclamato con le braccia aperte. "Monsieur!", gli ho risposto mentre avanzava per la spianata del Aguascalientes, in compagnia del Comandante Tacho e del Maggiore Moisés. Nonostante il suo passamontagna, l'ho riconosciuto. Era proprio uguale, però totalmente diverso. Molto più magro, più alto e più giovane.

Più che un guerrigliero insorto in armi, il Subcomandante Marcos pare un personaggio di uno qualsiasi dei film di Steven Spielberg. La trama sarebbe, naturalmente, quella di un uomo che ha deciso di andarsene a vivere nella Selva Lacandona per difendere i diritti degli indigeni di uno stato dimenticato da più di cinque secoli.

D'altra parte, è vero che Marcos è stato, in qualche modo, da sette anni, un protagonista essenziale nell'evidenziare di fronte alla società civile messicana e a tutto il mondo, l'atroce abbandono in cui vivono le comunità indigene del Chiapas.

Abbiamo parlato più di due ore con il portavoce dell'EZLN. In mezzo ad una pace inconcepibile, dato che eravamo così vicino a Guadalupe Tepeyac, municipio dal quale non si è ancora ritirato l'Esercito messicano. Con lui parliamo dell'uso della sua immagine, delle donne zapatiste, dei giovani della postmodernità, del razzismo, della società civile, della sua famiglia, di "la Mar", sua moglie e dell'amore.

Quando mi sono resa conto che sarei venuta a intervistarti a La Realidad per conto del mio giornale, mi sono detta: "Che barba con il 'Sub'. Gli hanno già fatto così tante interviste". Che pensi di questo culto della personalità che aleggia intorno al "Subcomandante Marcos", soprattutto in vista della prossima visita dell'EZLN alla capitale del paese?

Bene, da una parte, ci preoccupa specialmente il fatto che ultimamente l'attenzione per la mobilitazione che stiamo per fare per la pace in Chiapas si sia diretta verso "Marcos". Così diventa Fox contro "Marcos". Sì, questo ci preoccupa perché non è quello che vogliamo: né lo desidero io come persona né lo vogliamo come organizzazione.

Un momento... qui non c'è in gioco se "Marcos" è più popolare di Fox, né se il passamontagna se lo toglierà o no. In gioco qui è se una guerra finisce una buona volta. Ossia, non stiamo mettendo delle toppe perché poi tutto torni a ripetersi... E se questo paese riconoscerà alla fine che noi, come indigeni, abbiamo uno spazio. O no?

Ci disturba che in questo mondo soprattutto mediatico ci si polarizzi in questo senso. La polarizzazione di adesso non sta solo nel fatto che possano dire "sono a favore o sono contro la marcia", c'è pure una polarizzazione di individualità, Fox e "Marcos", e si stanno dimenticando due problemi fondamentali. Dalla nostra parte, quella degli zapatisti, diciamo, dietro "Marcos" c'è un movimento indigeno in lotta per il proprio riconoscimento e dietro Fox c'è il tentativo di una nazione che sta per trasformarsi totalmente in un paese nuovo, democratico, giusto, eccetera, cioè quello per cui si è votato il 2 luglio.

In un modo o nell'altro, quando si mette a fuoco così la figura di Fox, ci si dimentica questa situazione molto complessa e complicata. Un'autentica sfida, più grande di quella col narcotraffico, è quella che si presenta al Governo di Fox. E dalla parte di "Marcos" ci si dimentica pure la sfida che deve affrontare l'EZLN: non quella che "Marcos" possa togliersi il passamontagna e condurre una vita normale, ma che un'organizzazione che si è preparata per la guerra per 10 anni e che velocemente ha iniziato a parlare, possa fare politica come qualsiasi cittadino, senza bisogno di coprirsi il volto, di stare nella clandestinità e di sfidare tutto il mondo con le armi.

Questo è quello che davvero è in gioco: un paese che confida di poter dar soluzione ad un processo di pace, che riconosce di avere un debito pendente con i popoli originari e che purtroppo si sta invece fissando su due persone.

Quello che noi stiamo cercando di fare è di continuare ad insistere che quello non è il problema. Ti aggiungo un'ultima cosa: i nostri passamontagna non sono marca Benetton. Sono marca Lo Scampolo (risate). Li facciamo noi.

Non ero più venuta a San Cristóbal dal 1993. Allora mi aveva richiamato l'attenzione la condizione tanto triste della donna indigena, che non portava neanche le scarpe, mentre gli uomini andavano calzati. Nove anni dopo, ritorno a San Cristóbal e come prima cosa che vedo? Spettacolo! Domino's Pizza, una parabolica e un'indigena con un carico di legna e scalza. Com'è possibile che nell'epoca della modernità, della globalizzazione, possiamo ancora vedere queste manifestazioni di profonda emarginazione della donna? Che succede con le donne dell'EZLN?

Quello che noi vediamo è che in questa modernizzazione e globalizzazione, gli indigeni non hanno spazio e le donne nemmeno. E qui voglio usare le parole delle compagne. Loro ci dicono: "Noi stiamo peggio di voi, perché voi siete emarginati ed oppressi come poveri e come indigeni, e noi oltre che come povere e come indigene, anche come donne. Dobbiamo lottare contro il sistema che ci ha emarginato come indigeni, contro un sistema che non ci dà opportunità di sviluppo sociale, però dobbiamo anche lottare contro voi in tutto questo sistema patriarcale. Quello che per noi significa liberazione, lo decideremo noi: sì, come zapatisti; sì, come indigeni; però soprattutto, come donne".

Dentro le comunità zapatiste, le donne hanno un loro proprio movimento, che ha provocato effetti dentro l'EZLN nel momento in cui hanno ottenuto che la Legge delle Donne smettesse di essere un foglio di carta e diventasse realtà. Cioè, nove anni fa era impossibile che una donna in una comunità indigena dicesse: "non mi sposerò con questo uomo perché si sono messi d'accordo fra le famiglie". A partire dal 1993, dopo la Legge delle Donne, succede sempre di più che delle ragazze mi dicano "non mi sposo con questo uomo". E anche, "non mi voglio sposare ora, non sto ancora pensando di sposarmi". Sono donne di 15/16 anni che prendono questa decisione.

In questo senso, non possiamo dire che ci sia gente che viene di fuori a dire alle donne indigene che cos'è liberazione della donna e che cosa non lo è, sono loro stesse che stanno costruendo questo processo.

Tra le 24 persone che formeranno la delegazione che verrà nella capitale del paese con la Carovana della Pace, quante donne ci sono?

Sono quattro le donne: una è "Susana", che è stata nei dialoghi della Cattedrale nel 1994 ed è molto popolare dentro l'organizzazione perché lei e Ramona sono state quelle che promossero la Legge delle Donne, ossia, è fra le prime organizzatrici dell'EZLN e fra le prime donne che si sono organizzate nell'EZLN, ossia, è una delle fondatrici dell'EZLN.

C'è una compagna che è di questa zona, della zona tojolabal, che si chiama "Fidelia"; un'altra che è della zona de Los Altos-Selva, che si chiama "Esther" e la quarta è molta anziana, un'organizzatrice, ossia una donna che ha molta esperienza in questo di cui ti sto parlando, cioè di come le donne si organizzano anche per lottare contro di noi..., che si chiama "Yolanda". Sono queste quattro...

Non c'è "la Mar"?

No, Mariana, mia moglie, sfortunatamente non viene (risate).

Tu credi che la nascita dell'EZLN, in qualche modo, coincida con i cambiamenti così radicali che ha vissuto la donna messicana negli ultimi anni?

Siamo sintonizzati sulla stessa frequenza. Quale altro settore è stato tanto emarginato oltre a quello indigeno? Quello femminile. Fino a tal punto che non solo la valorizzazione della donna come essere umano non dipende dalle caratteristiche che la fanno umana, ma dalla situazione di oggetto. Sarai una donna trionfante se riunisci certe condizioni di bellezza che in particolare sto decidendo io, come maschio, che sono quello a cui devi piacere.

Le donne dicono "sì, è vero, a me succede lo stesso in un altro modo, non perché indigeno, ma come donna".

E i giovani?

Loro anche. A parte una classe politica che ha prosciugato il discorso politico e nella sua pratica ha fatto sì che politica fosse sinonimo di corruzione, cinismo, di tutto... Anche i giovani si scontrano con l'emarginazione. E i giovani sono tollerati solo nella misura in cui... gli passa. Ossia, quando arriva il momento della maturità che serve per diventare conformista, per entrare nella logica della società, perché invece durante tutto il tempo che rimane giovane, resta troppo combattivo e quindi è poco tollerato, finché non cambia un po'...

Che diresti a questi giovani affinché siano solidali, perché credano in qualcosa, perché abbiano voglia di lottare per ciò in cui credono, perché si preoccupino per il loro paese?

Direi loro che dovrebbero capire che alla fine uno pagherà tutti i costi. Non è vero che il cinismo e l'egoismo paghi. Alla fine si troveranno con una vita vuota, non solo vuota come esseri umani, ma pure senza un suo contorno sociale e vedranno che hanno costruito le loro relazioni personali, di coppia o le loro amicizie, sulla base in questo cinismo, in base al tanto mi dai altrettanto ti do. Ossia, sulla base di relazioni commerciali.

Quello che è in gioco in questa società, e quindi nel mondo nuovo, è che deve essere un mondo buono oltre che nuovo, dove l'essere umano sia soddisfatto, dove possa arrivare all'ultimo giorno della sua vita e possa dire: "ne è valsa la pena, ho fatto quello che dovevo fare".

Allora, se uno vede così le cose, in questo modo, non può pensare: "perderò qualcosa se dedico il mio tempo agli altri, se dedico i miei sforzi agli altri, perché devo interessarmi di me stesso, non degli altri". Io so che può suonare un po' retorico, però questa è la verità.

Tutto quello che ci circonda ci porta al consumismo. Come possiamo diventare degli esseri umani migliori? Come evitare di dipendere da una carta di credito, come è il caso di Sofía, che adesso è piena di debiti fino al collo?

È barzonista? (risate)

Una volta lo è stata. La povera adesso deve dei crediti differiti che aveva stipulato nel giugno scorso.

E' nelle stesse condizioni del paese.

Che puoi dire a quei giovani che sognano di acquistare una Volvo ultimo modello con CD e aria condizionata e vanno a Miami per il loro shopping? Che vedono tanta corruzione e tanta violenza, e accendono la televisione e vedono tutti quei talk shows?

Si ti dicessi che tu sei in salvo da tutto questo? Che fortuna che hai di stare qui circondato da queste montagne, in mezzo a questa selva, a questa natura!

E da questi soldati (risate)... da quei soldati che ci vogliono uccidere... Bene, così laconicamente, direi loro di spegnare la televisione e di accendere un libro. Quello che noi pensiamo è che vedere nell'altro è come guardare in uno specchio. Ai giovani che si scontrano con le molte resistenze della società e le critiche e a volte addirittura sono puniti per le loro manifestazioni culturali, direi che non lottino solo per il riconoscimento dei loro valori culturali, ma anche che apprendano a rispettare l'altro, perché c'è un altro settore sociale che, all'unanimità è disprezzato da tutti, ed è un punto d'onore che qui da noi non sia così: quello della terza età, no?

Infatti ti emarginano perché sei anziano, ti disprezzano e non solo quelli della tua età, ma anche i giovani, anche i tuoi colleghi. Qui invece, i vecchi sono i saggi, li si protegge molto, sono loro che ti danno l'orientamento. Nel resto della società, a tutti arrivano pressioni e si accolla loro altro ancora.

Allora, i giovani hanno devono capire ciò. È un problema di calendario, è un problema di essere ciascuno se stesso, di essere differente. Noi abbiamo pensato che questo nuovo mondo è possibile solo se riconosce che è formato da differenti e che ciascuno deve riconoscere che è differente e che è possibile convivere fra tutti.

Direi anche loro che non penso che il successo consista nel modello di auto che hanno. Va bene, però, accetti che per un altro il successo è un'altra cosa? Noi non stiamo chiedendo a questa gente che molli la sua macchina, o che la cambi con una più modesta. Diciamo: "sta bene, noi non vogliamo cambiare i tuoi gusti, però ne abbiamo altri. Riconosci il nostro diritto ad un posto. Non guardarci solamente ora che passiamo con la carovana. E non trattare gli indios da lebbrosi".

Non può essere che questo paese a livello di tutta la società valuti una persona non in base alle sue capacità intellettuali, non per la sua disponibilità al lavoro, ma per il colore della sua pelle, il suo grado d'istruzione, o per cose tanto ridicole come se puzza o ha un brutto aspetto. E tutti i parametri di bellezza sono ben strani. Ossia, la donna bella è la bionda, con gli occhi chiari, magra, anoressica e tutto ciò che si allontani da questo modello di bellezza è brutto. Perché? Noi non stiamo proponendo che il modello di bellezza femminile sia piccolina, scura, grassoccia, ecc., come sono la maggioranza delle donne di colore, come la maggioranza della gente, come le indigene. E così, "tutto ciò che è diverso da ciò è brutto". No! Noi ci stiamo opponendo ad un fondamentalismo che abbiamo verificato nella società, addirittura in settori benpensanti, come in certi intellettuali.

Vogliamo che ci valutino per la nostra capacità di lavoro, per la nostra disponibilità, per la nostra intelligenza, non per il colore della nostra pelle.

Domani il "Subcomandante Marcos" parlerà dell'amore...


L'amore... in tempi di guerra

"Quando l'amore diventa vita di coppia, è necessario il rispetto dell'altro"

Chiapas, Messico - 14 Feb. 2001 -

(Seconda ed ultima parte)

Per Elodia, moglie di "Tacho"

Non c'è nulla di più commovente di scorgere negli occhi di un guerrigliero l'amore per la sua guerrigliera. Non c'è nulla di più commovente che sentir parlare un attivista sociale sul significato che ha per lui la parola amore. E non c'è nulla di più commovente nel riconoscere che anche quando si è in guerra ci si può innamorare.

"Il "Sup" è in-na-mo-ra-to", mi sono detta dopo aver ascoltato "Marcos" descrivere "la Mar", la sua fidanzata-moglie-compagna- confidente-lettrice-assistente-amante e fedele insurgente. In questa seconda e, purtroppo, ultima parte dell'intervista, abbiamo scoperto che tipo di rapporto ha il portavoce dell'EZLN con una donna della quale sappiamo solo che è un'appassionata di politica, che legge tutti i giornali pubblicati, specialmente REFORMA, e che si chiama Mariana.

Parlando di amore, non possiamo evitare di chiedere a "Marcos" circa la parola "solidarietà", e sui ricordi che conserva tuttora dei suoi genitori.

Bene, "Sup", allora ti sei sposato da poco?

No, sono già sposato da molti anni.

Ma non ti si vedeva con la vera...

No, ma ora abbiamo cominciato a portarla tutti e due.

Ti ha chiesto "La Mar" di formalizzare pubblicamente la vostra relazione?

No, è stato un accordo comune. Abbiamo vissuto una relazione di coppia. Siamo sposati secondo le nostre leggi e non abbiamo visto perché nasconderlo dopo tanto tempo.

Che mi puoi dire del "Subito"? Non c'è ancora?

Non ancora, ma abbiamo molta voglia di poterlo avere. Comunque, ci sono ancora molte cose in sospeso da risolvere, cose promesse.

Ecco. Essere la sua madrina per insegnargli il Padre Nostro, se possibile in tzetzal ed in francese.

Tzeltal, sì.

Dicci Marcos, che cosa è l'amore per te?

In qualsiasi luogo al mondo, anche nella Selva Lacandona, l'amore è un sentimento molto difficile, perché è una relazione tra due esseri. Indipendentemente dall'affetto che si nutre per l'altra persona, ha molto a che vedere con la condivisione, e "condividere", "compartire" significa rispettare l'altro. E' molto difficile rispettare l'altro. Perché io ti posso dire che come compagno sono meraviglioso, ma bisogna chiederlo all'altro se sono così meraviglioso come io credo di essere. Nello stesso modo ti potrei dire quanto lei sia una buona compagna.

Una cosa è l'amore ed un'altra cosa è l'amore di coppia: "Andiamo a vivere insieme". Vivere in coppia, il matrimonio, è condividere, è rispettare l'altro. Non si tratta di farlo come si vorrebbe che fosse, né di fare come uno crede che voglia l'altro, perché, in amore, quello che uno vuole è far piacere all'altro.

Quando incontri qualcuno che ti interessa, l'approccio iniziale è: "voglio che veda il meglio di me". Che veda quanto sono bella, simpatica, allegra, intelligente, saggia, ecc., anche se possiede altre doti che non sempre vediamo.

Lo stesso accade quando conosciamo qualcuno che ci piace: siamo molto simpatici ed allegri. Ma quando quel tipo di amore diventa vita di coppia, è necessario il rispetto dell'altro, perché stai vivendo e convivendo con un essere umano, non devi chiederle quello che tu non vuoi che chieda a te. Tra le altre cose, smettere di essere quello che sei. Tu arrivi ad un rapporto di coppia già con una storia, che bello sarebbe invece nascere quel giorno! Di fatto, questo è l'amore, uno vorrebbe nascere quel giorno, vorrebbe che non ci fosse stato niente prima. "Voglio essere nuovo in tutti i sensi. Non solo fisicamente, ma nuovo anche in quello che ho in testa e che mi porto dietro da tempo".

Traumi, fantasmi, atavismi...

Atavismi, difetti, tutto questo. Li terrò anche dopo, ma insieme con lei, con quella che sarà la mia compagna, in questo caso con "la Mar". Mi capisci? Quindi uno deve imparare a rispettare l'altro, che a sua volta possiede una storia che non necessariamente è migliore della nostra. Non perché non è la nostra, ma perché è la storia di un essere umano che sta condividendo con te le gioie e molte volte, soprattutto nel nostro caso, molte amarezze e sofferenze.

"La Mar" non condivide solo il lavoro, la vita quotidiana o le discussioni che ho, tipo: "l'intervista con Guadalupe è stata così". Non solo queste cose, ma anche le sofferenze. Quando sei ricercato, cercano anche lei. Quando corri dei rischi, anche lei è a rischio; ma a te questo viene riconosciuto ed a lei no, perché lei sta nell'ombra.

Io spero che se esiste un po' di giustizia a questo mondo, un giorno lei avrà il suo posto e non per ché è "la Mar di Marco", ma perché è "la Mar", "la" Mariana che ha una sua storia e luogo. E la si potrà vedere come è, così come vedono te per quel che sei e lui (indicando Enrique Goldbard, marito di Loaeza) come è. Siete anche una coppia, ah, che bello! Ma non è questo che ti valorizza o che valorizzi lui. Come in questo caso. Il suo contributo e quello di molte "insurgentas" è notevole. Non so se sia bene o male, ma sono molte le compagne "insurgentas" che sono qui. Non si vedono, si vede il "Maggiore", si vede "Tacho", ma dietro loro ci sono molte altre compagne che non si vedono.

Anche loro hanno la "loro Mar"...

Molti compagni, e soprattutto molte compagne, avranno un loro posto per quello che sono e non per essere di qualcuno o per avere avuto rapporti con qualcuno. Quindi si scoprirà tutta la storia di questa organizzazione, di questo Esercito Zapatista quando finirà e diranno che aveva ragione: "Marcos era più di uno; certo, "Tacho" era più di uno, il "Maggiore Moisés" era più di uno. Non lo abbiamo visto perché erano loro quelli che si mostravano. Queste altre, soprattutto le "insurgentas", contano più di questi, solo che non le abbiamo viste perché così è stato il processo, ma ora le vediamo".

Si scoprirà tanta gente meravigliosa. Veramente, scoprirai "la Mar" e non solo "la Mar", soprattutto alcune "insurgentas" che ti lasceranno a bocca aperta. Ma dobbiamo nasconderle. Anche noi, quando questo finirà, sarà un atto di giustizia non solo per i popoli indios ma anche per coloro che hanno dato tanto, si sono giocati tutto ed hanno abbandonato tutto per una scommessa, e questa scommessa andrà bene perché la gente ci aiuterà, ci aiuterà come lo ha fatto Sofía negli ultimi anni.

Mi chiedi come faccio a tenermi informato, bene, è grazie a "la Mar". Per esempio nella lettura dei quotidiani è diventata un'esperta. E' una forte lettrice, non del quotidiano stesso, di tutto, cioè, velocemente ne cita i punti principali. Non ci sarebbe tempo per vedere tutto, tutti i quotidiani.

Adesso parliamo dell'altro amore, dell'amore per gli altri. Come quello che ti ispirano gli indigeni.

Vedi, noi pensiamo che la gente sia essenzialmente buona. Pensiamo che arriva un momento in cui sceglie, perché per l'intero giorno sta scegliendo, quotidianamente trova incroci sul proprio cammino, e prosegui, e così costruisci la tua vita. Sempre, invariabilmente, un individuo decide ciò che ritiene meglio, che lo rende buono. Quando una persona vede qualche cosa che gli sembra ingiusto, inumano, orribile, sente qualche cosa. Dice: "questo non può essere così", "non posso rimanere a braccia conserte". Questa è la quota di eroismo che risiede in tutti gli esseri umani.

Per un caso, un caso mediatico, pare che qualcuno è più eroe di altri. E' stato il caso mediatico, originato da un equivoco, che ha presentato "Marcos" quel 1 gennaio del 1994. L'equivoco è che mentre era al comando del Palazzo Municipale di San Cristóbal, arrivò un turista per chiedergli qualche cosa in inglese, non so più cosa, non ricordo. Si pensò che fosse un giornalista che stava chiedendo qualcosa in inglese. Quindi, chiamarono me perché conoscevo l'inglese, affinché dicessi al giornalista quello che stavano dicendo i compagni comandanti.

Risultò che era un turista che stava chiedendo il permesso di fotografare. Immaginati che sangue freddo quel turista, stavano occupando la città che lui stava visitando e domanda se poteva scattare delle foto!

Quella quota di eroismo che hai tu, che ha lui, che hanno molti che non vediamo, si concentra in una persona. Ma è la capacità di indignazione verso l'altro umiliato, non rispettato nella sua dignità, represso, la cosa che ti rende essere umano.

Perché tu, in un modo o nell'altro, stai dicendo: "quello potrei essere io". Non chi umilia, ma chi è umiliato. Dici: "non può essere che ciò accada". E, credimi, c'è tanto eroismo dietro a quella cinepresa quanto dietro questa maschera, e dietro questo giornale quanto dietro queste armi, e dietro la gente che ti sta leggendo.

Noi li vediamo così. Non ci sentiamo né migliori, né tantomeno peggiori, ma non ci sentiamo migliori di nessuno. In questo senso ci leviamo tanto di cappello, perché noi diciamo "bene, stiamo lottando per avere un posto, come indigeni", ma la gente che ci sta aiutando non sta lottando per niente che vada a suo beneficio, perché quando questo finirà, avrà la soddisfazione di fare parte della storia di questo paese, la parte buona, la parte che non dà vergogna dire "siamo messicani". Non Acteal, ma ciò che impedisce che Acteal accada o si ripeta, e tutto questo.

Il nostro eroismo è quotidiano, solo che in alcuni casi si vede ed in altri no. Immagina cosa pensiamo della gente che ha votato per il PRI, che ha perso il PRI, perché ora che il PRI ha perso, non ci si ricorda più di tutti gli imbrogli che ha fatto. Quel processo è stato scandaloso in quanto a brogli. Immagina una signora, per parlare di donne, che va al mercato e che sa che perderà il sussidio della Conasupo, della Liconsa se voterà contro il PRI e va e vota contro il PRI. Immagina che eroismo, lei sì che si sta giocando tutto. Sta mettendo in gioco la sua famiglia, il suo futuro e, probabilmente, perderà...

E' lei merita di trovarsi di fronte alla cinepresa. A questa signora bisogna domandare, come è possibile che provi così tanto amore per il suo paese e che rischi la sua famiglia ed il suo futuro affinché questo paese non sia più lo stesso di prima? Perché, se le andava meglio se fosse rimasto il PRI perché avrebbe goduto del suo sussidio, l'ha sfidato? Milioni sono così, alcuni votarono per il PAN, altri per il PRD.

Per concludere, "Marcos", io sono convinta della tesi del Dottor Ramírez, psichiatra degli psichiatri messicani, secondo la quale: l'infanzia è il destino. Come è stata la tua poiché ti è toccato di vivere quello che stai vivendo?

Bene, io provengo da una famiglia della classe media benestante. Non abbiamo sofferto alcuna carenza alimentare o di qualsiasi altra cosa. Quello che ha inciso su noi, me ed i miei fratelli, fondamentalmente è stata l'educazione di quei due: mio papà e mia mamma. Non la scuola, ma loro due. Sempre sottolineavano molto quello che ti ho spiegato nell'intervista.

Probabilmente sto ingiustamente usando parole che loro ci dicevano quando eravamo piccoli. "Non esiste che un essere umano resti impassibile di fronte a qualsiasi ingiustizia", ci dicevano. Mio padre citava la poesia (Civilización) di Jaime Torres Bodet che dice: "Un uomo muore dentro di me quando un uomo muore assassinato dalla paura e dalla pressione di altri uomini". E' questo che ho succhiato, come dice anche mia mamma. E' lei, mia madre, che mi ha insegnato praticamente a leggere prima della scuola. Anche lei aveva l'abitudine di leggere i giornali. Allora mia mamma ci faceva leggere El Excélsior di Scherer. Da lì abbiamo imparato a leggere, lì abbiamo letto Monsiváis e tutto il resto. Come diciamo noi, mentre stavamo crescendo. Il gusto per la cultura, soprattutto per la lettura più che per la cultura in generale, viene da mia madre. Da mio padre viene il gusto per il cinema, per il teatro e tutto il resto. Ma soprattutto quel sentimento di umanità è il prodotto dell'educazione che ho ricevuto.

Non so se siano orgogliosi di me. Io ho fatto il possibile perché lo fossero. Forse si vergognano. Forse dicono: "io non lo facevo un tale pagliaccio."; "quel ragazzo, perché è così?."; "appena lo vedo gli do la sua parte. ed il resto". (Risate) Forse sì. Ma quello che sono è grazie ai loro insegnamenti. Loro mi hanno insegnato tutto quello che so.

Sono vivi.. I tuoi genitori?

Credo di sì.

Sanno di te? Bene, sicuramente non hanno mai saputo tanto di te come ora.

Non so se sanno, forse non mi riconoscono a causa del passamontagna, anche se si dice che nessuno e mai può ingannare una madre, no?

Bene, Guadalupe, prima di salutarci permettimi un annuncio commerciale: "Non dimenticate di sostenere il conto numero 5001060-5 Plaza 437 di Bancomer. A nome di María del Rosario Ibarra. Doña Rosario non ruberà il denaro. Non lo useremo per armi, né per valori, né per niente altro. E' per arrivare a Città del Messico, parlare e per non ritornarci più". Questo denaro è per la pace, per questo stiamo chiedendo il sostegno.

Un'ultima cosa, "Marcos", perché il tuo berretto è così malridotto?

Questo berretto è storico, è stato con me in cella ed ha raccolto stelle. Quando sono stato "sottotenente" c'era una stella, "capitano in seconda" sono due stelle e quando sono diventato "subcomandante" sono state tre stelle. Nutro per lui un affetto speciale.

Questo paliacate non ha i 17 anni che ha questa. Questo ha 17 anni, cioè da quando ce l'ho. Ma il paliacate. con questo ho preso San Cristóbal, (...) è molto malridotto. Ha sette anni, è nato il 1 gennaio del 1994, sono arrivato con lui.

Quindi non li cambio. Sono il simbolo che ci sono cose in sospeso. Quando si risolveranno i sospesi, cambieremo berretto e paliacate e deporremo le armi. Credo che non avremo bisogno di passamontagna. Forse diranno: "no, che se lo rimettano!", diranno. per una questione di estetica. E' così elementare.

Quando ho salutato il "Subcomandante Marcos", mi sono sentita particolarmente ottimista. Mi sono perfino detta: "Che bello che esiste!!!".


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo e dal Comitato Chiapas di Torino)



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