COSÌ PARLÒ MILILANI

Si è appena conclusa a Città di Panama la Prima conferenza del millennio dei popoli indigeni, che ha riunito più di cento delegati provenienti da cinque continenti. Prendendo la parola a nome di culture e situazioni molto diverse tra loro - dai meti canadesi alle etnie tribali del Ruanda - i rappresentanti dei popoli indigeni hanno coinciso nel denunciare il razzismo di cui sono oggetto nei rispettivi paesi e il ritardo storico nel riconoscimento dei loro diritti e della loro autonomia.

Altri punti in comune sono stati la condanna delle politiche imposte dalla Banca mondiale e dal Fondo monetario internazionale, che sono state definite "distruttive quanto le guerre", le critiche all'ONU, che da più di vent'anni patrocina una Carta dei diritti dei popoli indigeni che non vede mai la luce, e la denuncia dell'Alca, l'area di libero commercio delle Americhe, come una grave minaccia alla sovranità indoamericana.

"Vogliamo essere riconosciuti come soggetti di diritto, con diritti collettivi e usufrutto dei nostri territori ancestrali", ha detto il kuna Nelson de León, dell'organizzazione Napguana, che ha ospitato la conferenza. "Non stiamo chiamando alla violenza destabilizzante, al contrario, vogliamo essere una parte importante dei nostri paesi, essere parte della soluzione dei conflitti".

Il clima di razzismo imperante nei confronti delle popolazioni indigene è stato esemplificato facilmente dagli organizzatori: cinque delegati alla conferenza, provenienti dall'India e dal Ruanda, sono stati fermati in aeroporti europei e, impedendogli illegalmente di proseguire per Panama, sono stati rispediti a casa senza neanche una spiegazione. Ad altri 13 delegati sono stati trattenuti i passaporti al loro arrivo a Panama, dietro il pretesto che nei loro paesi si rilasciano "visti ristretti". C'è stato bisogno di fare pressioni sulle autorità panamegne per superare questi problemi.

Mililani Trask, delegata hawaiana alla conferenza, ha affermato: "Il rifiuto degli stati di garantire pieni diritti di autodeterminazione ai nostri popoli riflette il livello del razzismo attuale". Deplorando che la loro voce continui a non essere ascoltata, Mililani ha aggiunto: "E' una tragedia che il mondo si neghi ancora a riconoscere i diritti dei popoli indigeni. Questa è l'eredità della colonizzazione".

Fra i punti principali della conferenza c'era quello di valutare i progressi registrati nel decennio dei popoli indigeni, dichiarato dall'ONU nel 1994, e fissare gli obiettivi degli stessi popoli per il 2004. Si è anche elaborata una strategia e una piattaforma comune per partecipare alla conferenza mondiale delle Nazioni Unite contro il razzismo, che si terrà in settembre in Sudafrica.

Un assaggio dell'Alca

Fra lunedì e venerdì, negli stessi giorni in cui nell'hotel Soloy si è svolta la conferenza del millennio, un altro hotel della capitale, l'esclusivo Caesar Park, ha ospitato una riunione interministeriale dei 34 paesi interessati all'Alca. Niente di paragonabile al glamour di Québec, evidentemente. Nessun capo di stato o di governo da inseguire, solo quelle riunioni tecniche di sottosegretari e fotocopie, così discrete da non attirare neanche la stampa locale ma indispensabili per dare gambe al progetto del neoliberismo continentale.

L'incredibile è successo mercoledì. Mentre i superburocrati discutevano diligentemente l'agenda fissata da Bob Zoellick, portavoce del commercio estero di Washington, e cercavano di fissare una politica unitaria di servizi e tariffe, fuori dall'hotel Caesar Park una manifestazione di diecimila persone che protestavano - lupus in fabula - contro l'aumento dei trasporti pubblici veniva selvaggiamente attaccata dalla polizia. Risultato: 13 feriti, di cui 5 da armi da fuoco, e 150 arrestati.

Secondo gli organizzatori, la marcia, convocata dal Movimento nazionale di difesa della sovranità, integrato da sindacati, professori, studenti e impiegati pubblici, era stata autorizzata dalle autorità e si stava dirigendo pacificamente al palazzo presidenziale per consegnare una petizione alla presidentessa Mireya Moscoso. I disturbi sono cominciati quando un centinaio di persone ha tentato di sfondare un cordone di sicurezza nelle vicinanze del palazzo presidenziale, provocando gli scontri. Lo stesso ministro degli interni, Winston Spadafora, ha dovuto riconoscere che i manifestanti si sono comportati "in modo impeccabile" e ha attribuito "a ignoti" la provocazione che ha causato i disordini.

Dopo questa dimostrazione esplicita di come si applicano le politiche neoliberali, l'attenzione è ritornata alla conferenza del millennio, dove gli interventi dei delegati mostravano le situazioni di sopruso e violenza provocate dall'avanzata del "libero commercio" nei territori indigeni. Particolarmente gravi le denunce dalla regione colombiana del Naya, dove l'Eln ha ucciso un governatore degli indios Páez e questi ultimi sono vittime di continui massacri da parte dei paramilitari antiguerriglia.

Marcial Arias, un kuna di Panama, ha appuntato la sua critica al progetto di Dichiarazione universale dei diritti dei popoli indigeni, impantanato da sei anni nell'apposita commissione dell'ONU per volontà di alcuni governi "che si negano a riconoscere il nostro diritto all'autodeterminazione e alla libera amministrazione delle risorse naturali".

Per quanto riguarda la creazione di un'area continentale di libero commercio, Arias ha affermato: "Prima dobbiamo discutere se siamo in condizioni di partecipare a questo gioco, perché è evidente che abbiamo bisogno di regole speciale per poter entrare a giocare".

Tomás Alarcón, un aymara del Perù, ha ricordato che esistono due progetti di Dichiarazione universale, uno delle Nazioni Unite, l'altro dell'Organizzazione degli stati americani, ancora più restrittivo, e che bisogna riconoscere che i popoli indigeni sono oggetto di colonizzazione interna in molti paesi che si dicono democratici. "Tuttavia, la forza dei movimenti indigeni," ha detto, "come quelli di Perù, Bolivia, Ecuador, o quello zapatista del Messico, sta aprendo un cammino e lasciando alle spalle un progetto assistenzialista che risulta troppo stretto per le aspirazioni dei popoli".

Gli interventi più frequenti sono stati quelli contro la formazione dell'Alca, un mercato per gli 800 milioni di potenziali consumatori delle tre Americhe regolato da Washington.

Il mapuche cileno Aulcan Huilcaman ha dichiarato che i governi dei paesi americani non hanno risolto i problemi dei territori dei popoli indigeni, dei diritti alle risorse naturali e biologiche che contengono. Huilcaman ha citato l'esempio del Cile, dove la politica economica neoliberale imposta dalla dittatura ha prodotto una situazione conflittiva nell'ambito territoriale e portato alla presenza massiccia delle compagnie forestali.

Fra i delegati, c'è stato anche chi ha menzionato i diritti di proprietà intellettuale, denunciando come numerose multinazionali, specialmente farmaceutiche, non si fanno alcuno scrupolo di saccheggiare risorse naturali e conoscenze ancestrali dei popoli indigeni per poi brevettarle sul mercato. E la biopirateria medicinale è la più vistosa ma non l'unica, purtroppo.

Ha ragione Fidel Castro, dunque, quando denuncia le vere intenzioni dell'Alca - "Gli Stati Uniti si annetteranno l'America latina e la semineranno di Disneyland e MacDonalds" -? In realtà, non si può neanche tacciare di allarmista questa battuta del leader máximo, visto che omette di menzionare i "semi" più velenosi del nuovo mercato panamericano: dighe, basi militari, pozzi di petrolio, monocolture e maquiladoras. Insieme a megaprogetti di devastante impatto ambientale, come il corridoio transistmico e il piano Puebla-Panama.


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