il manifesto - 13 Marzo 2001

Il saccheggio del piano Puebla-Panamà

Fox chiede una pace a tutti i costi per rilanciare il suo progetto di "sviluppo" per il sud-sudest messicano

MAURIZIO GALVANI

DI RITORNO DA PUEBLA

Alla scadenza dei suoi primi cento giorni di presidenza, Vicente Fox ha presentato ieri al governo federale il plan Puebla-Panamà (pPP). Un ambizioso progetto di integrazione economica tra i paesi centroamericani (Guatemala, Honduras, Costa Rica, El Salvador, Nicaragua e Panama) e nove stati del sud del Messico (Puebla, Veracruz, Ooxaca, Guerrero, Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatan e Quintana Roo).

Il pPP - nella sua versione Marcha para el sur-sureste mexicano - stravolge l'assetto territoriale di questa regione; considerando che sono previste una certa quantità di investimenti per la costruzione di nuove linee ferroviarie e stradali, il riassetto di vecchi aeroporti (Palenche, Teràn, Chetumal, Tenosique, Xpujil, La Candelaria e Cordoba) e la costruzione di una autostrada a otto corsie che dovrebbe riunire i due versanti dell'Istmo di Tehuantepec - un canale secco - che dovrebbe fare comunicare il Pacifico e il Golfo, tra Coatzacoalcos e Salina Cruz.

Realizzando il famoso "sogno" imperialista di sostituire l'obsoleto canale di Panama, con una più moderna via di comunicazione tra i due oceani. Tentativo già provato in passato, ma più volte fallito per la resistenza dei popoli indigeni, come è avvenuto all'inizio del novecento per un progetto simile che doveva interessare il Nicaragua.

Inoltre la Marcha al sur ha molte pretese, in particolare rammodernare porti per lo scarico ed il carico dei prodotti commerciali e petroliferi (Salina Cruz, Progreso, Dos Bocas, Morelos) ed il drenaggio del rio Papaloapan, che scorre sempre nella striscia di terra dell'Istmo di Tehuantepec. Un altro polo di sviluppo dovrebbe essere rappresentato dal porto di Madero, situato sulla costa pacifica a sud del Chiapas, a poche centinaia di chilometri dal confine del Guatemala. Un piccolo posto di mare, dove risiedono 5.000 persone che, per anni, è stato simbolo del malgoverno priista.

Lo schema che adotta Vicente Fox proponendo questo progetto - già preannunciato dal mandatario messicano alla comunità economica, quando partecipò al meeting di Davos a gennaio - è molto semplice: "Questo piano - come ha più volte ripetuto - non viene fatto per gli indigeni ma con gli indigeni". Ciò spiega la sua fretta a volere firmare la pace con i rappresentanti dell'Ezln anche prima dell'approvazione della legge costituzionale promossa dalla Cocopa (Commissione per la concordia e la pacificazione). Per garantirsi il risultato di riportare la situazione all'epoca precedente al levantamiento indigeno del 1994, solo formalmente riconoscendo i diritti delle popolazioni locali. Nei fatti la Marcha al sur non prevede nessun progetto che riconosca il diritto delle comunità a gestire autonomamente le proprie terre. Anzi è tutto il contrario: questi stati diventano zona di ulteriore saccheggio - anche con la complicità del capitale nazionale e internazionale - in considerazione del fatto che sono ricche di petrolio, acqua, gas, miniere, fonti energetiche e rappresentano il 45,5% del prodotto interno lordo del paese.

Sfortunatamente per Vicente Fox, però, questa regione comprende gli stati con la più alta percentuale di popolazione marginale (il 25,4%) dei messicani e il più alto numero di comunità: 19,2% della popolazione ivi residente, pari a 21,6 milioni di persone, sono indigeni. Questo è "il vero ostacolo" alla realizzazione del plan Peubla-Panamà, soprattutto, perché nel progetto dovrebbe rientrare il Chiapas che è lo stato cuscinetto (el rincon del Messico) situato a ridosso del Guatemala, attraverso il quale, dovrebbero passare la via principale di comunicazione con il resto del centroamerica. Un vero tallone di Achille per la strategia neoliberista dell'ex presidente della Coca Cola ed ex governatore di Guanajuto, che solo nei toni ha modificato l'atteggiamento nei confronti degli zapatisti rispetto alla vecchia gestione del Pri, in primis, i due presidenti, Carlos Salinas de Gortari ed Ernesto Zedillo.

Per quello che riguarda, invece, il sub comandante Marcos e gli altri comandanti dell'Ezln - durante la marcia di avvicinamento al Distretto Federale - più volte hanno manifestato l'intenzione di bocciare il piano, talune volte anche ridicolizzando questa la strategia "sviluppista" che lo ispira. Specialmente nelle prime giornate della marcia, a Tuxtla Gutierrez (capitale del Chiapas), a Juchitan (stato di Oaxaca), nella stessa Oaxaca, a Puebla (capitale di Puebla), a Orizaba (stato di Veracruz), a Pachuca (stato di Hidalgo). Zone che sarebbero coinvolte dal progetto Puebla-Panamà, ad alta densità di popolazione indigena: nel Chiapas, i tzeltal-tzotzil-tojobal-maya; nello stato di Ooxaca, i mixe-chinanteca-mazateca; i nahua a Peubla; i nahua e popoloca nello stato di Veracruz ed, ancora i zapotecos e chontales, sempre a Juchitan.

Ezln ed i rappresenti del Congresso nazionale indigeno più volte hanno ripetuto che rifiutano "la facile argomentazione, a cui spesso ricorrono coloro che governano, di una lotta al modernismo, in nome della difesa della tradizione, e quindi, dell'arretratezza". Una accusa ingiusta, hanno ripetuto gli indigeni, quando i loro figli sono esclusi dalla scolarizzazione secondaria (e universitaria) e non si dà nessuna possibilità di accesso a qualsiasi tipo di tecnologia. Questo progetto del panista Fox, hanno ripetuto più volte i delegati delle comunità, non riconosce "la specificità dei nostri diritti e il presupposto della nostra autonomia basata sulla conservazione e rispetto delle risorse naturali, sul rispetto della biodiversità e dell'ambiente, sul riconoscimento di un esercizio alla democrazia diretta e comunitaria che stabilisce i suoi ritmi e intende coinvolgere, nella decisione, l'intera collettività".

Forse per alcuni si tratta di paleontopolitica, certo, un'altra cosa rispetto al ritmo imposto dalle logica del mercato e dalle decisioni prese individualmente. Quando la "marcia" ha ironizzato sul piano Puebla-Panamà e la sua versione messicana, ha voluto sottolineare che rigetta l'ipotesi che il destino di molti indigeni sia quello di finire nelle maquilladoras che continuano a fiorire nella regione. O ai margini dell'economia informale, per guadagnare un dollaro al giorno, se va bene. Oppure, se va peggio, finire nel giro della prostituzione o della criminalità comune.


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