La Jornada - SABADO 12 MAGGIO 2001

Il magnate Berlusconi si prepara a ritornare al potere

Italia: il fantasma fascista

GUILLERMO ALMEYRA E MASSIMO MODONESI - SPECIALE PER LA JORNADA

Dopo cinque anni - moderati, ultraconservatori - di governo di centrosinistra, domenica gli italiani andranno a votare. Da tempo il vento soffia verso la destra e tutti i pronostici puntano a una vittoria della coalizione che ha alla testa Silvio Berlusconi: la Casa delle Libertà.

A meno che gli elettori di sinistra, decisi a astenersi nauseati dalla politica governativa, cambino opinione ascoltando l'appello di intellettuali liberali come Norberto Bobbio e Umberto Eco.

Nonostante il fallimento del suo primo governo, le condanne e i processi addirittura per associazione mafiosa, del ripudio di Le Monde, Financial Times e The Economist, Silvio Berlusconi continua come l'avventuriero che si muove senza scrupoli e con fondi di dubbia origine, con l'arroganza ignorante delle sue dichiarazioni pubbliche e il manifesto conflitto di interessi che gli pesa addosso.

Da magnate delle comunicazioni a personaggio politico, Berlusconi continua a stare in piedi e capeggia una svolta di masse verso la destra, una rivoluzione passiva, conservatrice. Vari sono gli elementi che permettono di spiegare questo fenomeno. La cosiddetta "terza via" di centrosinistra ha dimostrato di essere in realtà la linea della destra mascherata e ha allontanato dalla politica vasti settori popolari.

L'alleanza tra le destre italiane è cresciuta in questo spazio che le è stato lasciato e raccoglie il vecchio elettorato conservatore della Democrazia Cristiana e la violenza, la ricerca di un potere "forte" e l'odio per la politica di ampi settori neofascisti. È una alleanza che riproduce, all'italiana, quello che è successo in Austria.

Vicino al partito imprenditoriale Forza Italia di Berlusconi, espressione pura del neoliberismo con tinte demagogiche, si trovano Alleanza Nazionale, partito neofascista modernizzato la cui base elettorale si concentra nel centro sud, e la Lega Nord, movimento di taglio razzista, regionalista e separatista che raccoglie gli interessi meschini di ampi settori sociali del nord.

Queste tre forze, sebbene riproducano in buona misura il blocco di potere che ha governato il paese dal dopoguerra, sono al tempo stesso il prodotto della lunga onda di destra incominciata negli anni '80 e favorita dalla auto-dissoluzione del vecchio Partito Comunista, stalinista-togliattiano, il cui indirizzo e trasformazione in un movimento liberal-socialista, secondo lo stile di Tony Blair, ha lasciato l'egemonia culturale e politica nelle mani, nuovamente, dell'alleanza di cupola tra il Vaticano e i settori imprenditoriali e conservatori italiani, con i fascisti come fanteria.

Le destre hanno approfittato della caduta del regime democristiano che era durato quasi mezzo secolo e sono riuscite a convertire il loro discorso in senso comune e a conquistare rango sociale e culturale.

I Democratici di Sinistra, affossatori ed eredi del più grande partito comunista d'Occidente, hanno tentato di capitalizzare il vuoto politico spostandosi verso il centro, tessendo alleanze senza principi, moderando il loro linguaggio e le loro pratiche, cercando l'approvazione della Casa Bianca e di Wall Street, come delle grandi imprese italiane e europee.

Il risultato è stata una coalizione presumibilmente di centrosinistra, l'Ulivo, senza anima e senza direzione, sempre alla retroguardia di fronte ad un programma politico dettato dalla destra, sulla linea di un neoliberismo impregnato di razzismo e di revisionismo storico. Nel 1996, il centrosinistra vinse le elezioni e ottenne il governo grazie a una reazione antifascista di gran parte del paese di fronte alle misure violentemente antipopolari del primo governo di Berlusconi, iniziato nel 1994.

Da allora, l'Ulivo è stato subalterno al pensiero neoliberale, ha perso a poco a poco i suoi tratti di sinistra, è stato incapace di svegliare speranze e di governare a favore dei suoi referenti sociali, ha promosso riforme peggiorative dello stato sociale ed ha accettato di partecipare alle avventure imperiali degli Stati Uniti attraverso la NATO.

In più, l'Ulivo si è allontanato sempre più dai settori popolari e dai movimenti sociali, convertendosi in strumento istituzionale, in un pezzo di una alternanza senza alternativa, dove le differenze si manifestano solo a livello di discorsi, negli attacchi personali, nelle polemiche superficiali, mentre nei fatti i poli sono convergenti e si distinguono solo per semplici sfumature o punti di vista. Il paradosso italiano è che è la destra quella che, nell'ottica degli interessi trasnazionali dell'Unione Europea, dovrebbe moderarsi oggi, dovrebbe rinunciare alle asprezze del suo rabbioso discorso anticomunista, ai suoi eccessi razzisti e alle sue posizioni ultraconservatrici in materia culturale.

Al margine di questo gioco istituzionale normalizzatore, la società italiana è attraversata da profondi conflitti sociali. L'esclusione, la marginalità, la disoccupazione, la precarietà del lavoro, la crescente disuguaglianza sociale, la depoliticizzazione, la delinquenza, l'mmigrazione e il razzismo sono fenomeni di decomposizione sociale e manifestazioni della crisi di un modello.

Nemmeno l'opposizione sistematica di sinistra, il Partito della Rifondazione Comunista, è capace di rappresentare e proiettare politicamente il profondo malessere che percorre il paese, che si diluisce nella disperazione quotidiana, affoga nella violenza criminale e familiare, cerca salvezza nei leaderismi messianici della destra e, soltanto in alcuni casi, alimenta una serie di trincee di resistenza sociale, una rete di organizzazioni e di esperienze che molti chiamano "sinistra sociale" per differenziarla dalla "sinistra istituzionale" che incarna l'Ulivo.

Questa "sinistra sociale" molto probabilmente voterà domenica per Rifondazione Comunista per evitare che sparisca una forza critica che, sebbene non sia un'alternativa, sarà senza dubbio una componente importante di un fronte sociale che in futuro potrebbe sorgere in Italia, al margine delle elezioni e delle istituzioni, per prendere una direzione diversa.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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