Incontro fra intellettuali e zapatisti

Saramago: "Ci guardiamo ringraziandoci"

Poniatowska: "Rendiamo omaggio alle zapatiste"

Il Comandante David ringrazia quelli che "ci aiutano nel nostro camminare"

Lunedì 12 Marzo 2001

A filo del mezzogiorno, con un cielo brillante che avvolgeva tutti i presenti, José Saramago, Pablo González Casanova, Alain Touraine, Elena Poniatowska, Bernard Cassens, Carlos Montemayor, Manuel Vázquez Montalbán, Carlos Monsiváis e i comandanti David, Tacho, Esther, Zebedeo e il sub Marcos, hanno conversato di fronte a un nutrito gruppo di studenti, accademici, rappresentanti indigeni e della società civile.

Non si può passar sopra all'importanza di questo incontro. Rivela un movimento che, nonostante sia sorto da comunità assediate, ha portata mondiale in un momento in cui apparivano annullati il sogno utopico e le possibilità sorte dai movimenti sociali.

José Saramago, premio Nobel della Letteratura, è stato il primo a parlare. Il suo intervento è stato molto emozionato e rivelatore: "Ieri, nello Zócalo di Messico - ha detto lo scrittore - è stato uno dei più felici giorni della mia vita, dei più emotivi, di quelli che sono riusciti a bloccare il pessimismo che mi caratterizza nei confronti del genere umano. Mi sono reso conto che è possibile una relazione umana che si basi sul rispetto umano e anche sul rispetto delle differenze, sul rispetto dell'altro".

Ha criticato coloro che nei media "in modo sensibile disinformando o addirittura con cattive intenzioni, hanno cercato di fare di tutto questo niente altro che un movimento di carattere folcloristico, lirico, idillico, quando invece ciò di cui si tratta è della realtà più dura, di una delle realtà più dure del mondo, che è la condizione dell'indigeno, che si carica tutto il peso di un macchinario mondiale che sta seduto non solo sulle ricchezze naturali del pianeta, ma pure sull'essere umano".

Alla fine, ha insistito che gli zapatisti e "voi indigeni che avete tutto molto chiaro, credo che mai nella mia vita, per lo meno nei tempi più recenti, ho visto un popolo o una parte di un popolo che abbia più chiaro di così ciò che intende per il suo futuro. E noi restiamo a guardare ringraziandovi".

Poi è venuto il turno di Pablo González Casanova, che si è rivolto ai "signori del potere e del denaro: "Questi non si arrenderanno né si venderanno. Sappiatelo. Sappiatelo bene ... Siate cortesi con rispetto e senza paternalismo. Occhio, senza nessun paternalismo. Parlate in modo pratico di come si dovranno rispettare i diritti dei popoli indios. Non cercate di sostituire i problemi sociali dei molti con soluzioni personali di pochi. Occhio. Non confondete gli incontri di cortesia con gli accordi che portano a dare segnali che adesso già si sta ubbidendo. Ricordatevi che parlate con quelli che hanno fatto della dignità la legge del rispetto di se stessi e degli altri. Per la loro dignità di dignitari state attenti a non burlarvi di loro, a non umiliarli o ingannarli. Per la dignità non fate delle parole inutili rumori né atti spettacolari. E ricordatevi che parlate con coloro che hanno la cultura politica dei più vecchi e dei più giovani di queste terre, e una cultura della resistenza indigena e della democrazia degli indios e dei non indios, dei messicani, dei latinoamericani e degli abitanti dei più differenti paesi del mondo che pensano nella storia passata per far meglio la storia futura. Adempiete ai tre segnali con gli zapatisti".

Il sociologo Alain Touraine ha ricordato l'unica occasione che l'ha emozionato, come adesso, e fu il movimento Solidarnosc, nella Polonia degli anni ottanta. E ha presentato le due cose importanti che lo zapatismo configura per i movimenti sociali. "La prima è che il mondo intero, cioè tutte le sinistre, stanno cercando un nuovo linguaggio. Perché non crediamo più nel dominio della società, della storia, del futuro, del progresso. Siamo delusi dai grandi tentativi di costruire una società nuova. E alla fine di un secolo con tanti totalitarismi e autoritarismi, siamo finalmente convinti che la cosa più importante è rispettare i diritti umani fondamentali". Ha segnalato quindi che "nessun movimento sociale nel mondo ha contribuito tanto a creare questo nuovo linguaggio".

Dopo un decennio nel quale tutto il mondo dichiarava che non si poteva far niente contro i mercati finanziari, che sono "sopra a tutti i poteri", qui in Messico questo si sente "in modo molto forte, l'idea che sì si può fare qualcosa e che il momento del silenzio è già terminato". Questo, secondo Touraine, conferisce allo zapatismo importanza internazionale.

Elena Poniatowska ha posto l'accento nella nuova visibilità delle donne indigene: "sono le donne che sanno che nelle mani del Parlamento c'è la pace, le donne, quelle che dichiarano dietro al loro passamontagna che sono brutte e la moltitudine risponde loro che no, che non sono brutte, le donne che hanno in loro la forza indigena, la forza dei poveri. Oggi, le donne di Città del Messico rendono omaggio alle zapatiste e alle donne indigene, quelle che qualche volta hanno detto che volevano guardare il loro uomo negli occhi ed essere loro quelle che lo scelgono, quelle che hanno chiesto di guidare un'automobile come gli uomini, quelle che hanno deciso di dare la vita solo ai figli che desiderano e che possono avere, quelle che hanno sul loro corpo gli stessi diritti che l'uomo ha sopra il suo, quelle che faranno i lavori "da uomo" e arriveranno all'educazione media e superiore, quelle che sanno meglio di tutti che nessuna bambina, nessun bambino può ormai morire nel nostro paese per mancanza di una medicina, le donne che il padre náhuatl chiamò tortorelle, colombelle, collana di pietre fini, piume di quetzal e che adesso con l'aiuto di tutti noi, propongono a noi tutti una nuova relazione sociale, un nuovo stato sociale".

Carlos Montemayor si è riferito alle lingue e alle voci indigene. "È la voce e la lotta che l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e il terzo Congresso Nazionale Indigeno si sono proposti che risuoni, attraverso riforme improrogabili, nella Costituzione messicana. Questa è la voce del Messico che c'interessa ascoltare. È la voce del Messico che siamo anche noi e che in molti abbiamo fatto resistenza ad essere. È la nostra voce più antica e profonda. Con questa voce che voi avete portato avanti con le armi e adesso, soprattutto, con argomenti di pace, con questa voce che è piena di voi, ci avete rafforzato tutti i noi che non siamo indios e che al tempo stesso siamo anche voi".

Un altro degli invitati, Bernard Cassen, che ha partecipato come professore universitario e come responsabile del movimento Attac della Francia, ha parlato della nozione di patrimonio culturale e della sua contraddizione con il neoliberismo. Una volta segnalato che, in materia di patrimonio culturale, i neoliberali agiscono "come una dominazione che si situa tra Disneyland e i talebani", ha precisato che "lo zapatismo è totalmente incompatibile con questo progetto liberale, come lo sono molti altri movimenti, non soltanto in Francia e in Europa, ma in tutto il mondo. Questa internazionale ribelle si è concretizzata nel mese di gennaio nel Forum Mondiale Sociale di Puerto Alegre". Cassen ha auspicato l'incorporazione in questo processo di resistenza mondiale.

Manuel Vázquez Montalbán ha detto che il neozapatismo "ha dato inizio alla cultura della resistenza del secolo XXI" e ha sintetizzato le ragioni della presenza internazionale che ha accompagnato la lotta dell'EZLN: "Noi stranieri siamo venuti in Messico per imparare". Osservatore curioso di processi sociali e culturali, Vázquez Montalbán ha confermato che lo zapatista non era "un movimento messianico, imbevuto della missione di cambiare la storia, missione incaricata da Dio o dalla loro propria storia. Era un movimento che inculcava nella società civile di una società teoricamente democratica la responsabilità del fatto che la democrazia si realizzi realmente". L'idea di società civile, nata in Europa, ha trovato qui "il suo significato esatto", ha detto il saggista e giornalista. "Il movimento indigeno e gli zapatisti introdurranno il concetto valido per i prossimi decenni: la vigilanza di un'avanguardia sociale perché la politica risponda alle necessità obiettive della cittadinanza, sia dove sia questa cittadinanza e venga da dove venga".

L'ultimo degli intellettuali a parlare è stato Carlos Monsivais, che ha affermato: Ieri siamo stati testimoni del desiderio vigoroso di pace, nella sua definizione più intensa, il cessare di tutte le guerre di alta e bassa intensità economiche, sociali, culturali, dirette contro la maggioranza. Abbiamo pure visto l'impegno grave e festivo contro il razzismo, la segregazione, la discriminazione, il sessismo, l'intolleranza, l'omofobia. Perciò la marcia della dignità ha incontrato eco in settori di cittadini, femministe, ecologisti, operai, contadini, studenti, disoccupati, sottoccupati, ma il settore indigeno non ne è l'avanguardia. Rinunciando l'EZLN esplicitamente al potere, il suo atteggiamento può vedersi come lirico, secondo gli specialisti nel cambio delle intenzioni, però non è in nessun modo incongruente. Perciò sono convinto della profondità del patto: il ritorno alle armi è impossibile non solo per l'altissimo costo umano, ma perché bandire la violenza è un compito ormai di tanti che potremmo ben dire che è un compito di tutti. Con tristi eccezioni".

Dopo gli intellettuali è venuto il turno dei delegati zapatisti. Di nuovo, in un atteggiamento inusuale per i politici tradizionali, David, Tacho e Esther, pur potendo fare arringhe e pronunciamenti accesi sono stati parchi, semplici, commossi per l'appoggio e perché, come ha detto David, sapendo "che ci sono persone buone ed oneste che in modo autentico fanno loro le cause della lotta dei popoli indios, una lotta che è a beneficio di tutti gli uomini e le donne del mondo", ringraziavano oggi questa persone "che ci onorano e che ci aiutano nel nostro camminare, nella nostra lotta, nel nostro peregrinare".

La comandante Esther ha pure ringraziato quelli che "capiscono ciò che stiamo cercando e perché lottiamo". E ha aggiunto che in effetti, la lotta dell'EZLN non è solo politica, ma in difesa della cultura perché "non vogliamo che sparisca" né la lingua materna, né il modo di vestirsi "come si vestivano i nostri nonni, perché non vogliamo disprezzare nessuno, né il modo di curarsi".

Tacho ha solo ringraziato il fatto "che stiate con noi nelle nostre fatiche, nelle nostre lotte e nella nostra ricerca di vivere". E per terminare ha dichiarato: "Il vostro cuore è grande come il nostro. Questo ci dà molta speranza".

In un intervento pieno di allusioni il Subcomandante Marcos ha tessuto un'altra delle sue immagini: "Se un uomo attraversasse il paradiso in un sogno, e gli dessero un fiore come prova del fatto che era stato lì, e se al suo risveglio avesse trovato questo fiore nella sua mano, allora ...".

Poi ha cambiato tono: "In questa marcia della dignità indigena noi zapatisti abbiamo visto parte della carta geografica della tragedia nazionale, che non ha orario nelle trasmissioni di moda e nei notiziari radio-televisivi...

"In questa marcia, noi zapatisti abbiamo anche visto parte dei Messico ribelli che è un modo per vedere se stessi e vedere gli altri. Che ciò, e non altro, è la dignità.

"I Messico del basso, in particolare quello indigeno, ci parlano di una storia di lotta e di resistenza che viene da lontano e che palpita nell'oggi di ogni luogo. Sì, però è anche una storia che guarda in avanti".

[fonte: EZLN al DF - http://www.ezlnaldf.org]


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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