È questo lo sviluppo che vogliamo?

Intervista a José Bové

(Lunedì, 12 Marzo 2001 - 13:08) inviata da carta

Nonostante l'ovvia differenza, i ricchi produttori di roquefort della regione di Millau, in Francia, hanno punti in comune con i miserabili produttori di mais in Chiapas. La Fédération Paysanne francese, guidata da José Bové e considerata in Europa come l'avanguardia della lotta per la resistenza dei piccoli e medi agricoltori, si vede come compagna di cammino dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale. E non solo perché nel passato Forum sociale mondiale di Puerto Alegre, Bové disse che il Plan de Ayala, nonostante i suoi 90 anni, continua a essere un documento fondamentale per il movimento contadino mondiale, ma anche perché la lotta zapatista viene guardata con ammirazione e come un grande esempio di resistenza mondiale alla globalizzazione del commercio.

"Gli zapatisti pongono la difesa delle comunità indigene come un diritto fondamentale contro le leggi del mercato. I trattati di globalizzazione commerciale, il Wto, il Nafta, vogliono trasformare i territori in aree di sfruttamento agricolo e petrolifero solo in funzione degli interessi delle imprese multinazionali. Per questo ci identifichiamo con loro".

Bové ha ricevuto alcune settimane fa, con la mediazione del direttore di Le Monde Diplomatique Ignacio Ramonet, un invito scritto del subcomandante Marcos ad accompagnare l'Ezln. Nonostante sia in attesa, per fine mese, della decisione del tribunale per la distruzione del McDonald's di Millau, Bové ha preso al volo l'occasione e, d'accordo con la sezione messicana di Via Campesina, è arrivato in Messico. Parlare con lo stratega dell'Ezln, analizzare assieme le forme di resistenza e lotta contro le leggi del mercato, discutere il rafforzamento del crescente movimento internazionale, è qualcosa che evidentemente gli interessa molto. Questa conversazione tra Bové e il subcomandante Marcos si è svolta ieri sera (sabato, ndt).

Bové è di Lazarc, una cittadina agricola francese che ha guidato, tra il 1971 e il 1981, una lotta di resistenza contro l'esproprio di 14 mila ettari per costruire una base militare. Per il movimento contadino francese fu una vittoria importante, di grande impatto. Da allora ha lottato e ottenuto una riforma agraria locale e ha messo in moto il primo sistema di gestione collettiva della terra. Da lì è nato l'attivismo internazionale dei contadini francesi: la solidarietà con le lotte del popolo kanak per l'indipendenza della Nuova Caledonia, fino al 1985 una colonia francese nel Pacifico del sud, con i popoli della Polinesia contro gli esperimenti nucleari e molti altri.

Già inserito in Via Campesina con un proprio sindacato, la Fédération Paysanne si incontrò con la sollevazione zapatista del 1° gennaio 1994 e immediatamente decise di appoggiarla.

"La sollevazione è stata sentita in Europa come qualcosa di molto forte, perché nel momento in cui poneva la questione del diritto degli indigeni alla propria terra, si incontrò con la resistenza mondiale alla logica del libero mercato. Ci sorprese la sollevazione, ma non le sue rivendicazioni. In tutto il mondo il Plan di Ayala di Emiliano Zapata è un riferimento fondamentale per la resistenza contadina indipendente. È la rottura della vecchia credenza che i contadini non erano capaci di fare le proprie proposte e di inventare il proprio futuro."

Partendo da realtà così diverse, Francia e Chiapas, si direbbe che non ci sono punti in comune tra i contadini delle due latitudini...

"Quando abbiamo creato Via Campesina in diversi continenti, nel 1993, abbiamo dimostrato che i contadini di tutto il mondo, siano essi del sud o del nord, dell'est o dell'ovest, possono lottare per le stesse rivendicazioni. Abbiamo la stessa idea su quello che è l'agricoltura. Il nostro primo proposito è che ogni paese possa alimentare se stesso. E questo viene prima degli interessi dei mercati internazionali. Qui in Messico si lotta per evitare che le imprese multinazionali si approprino della terra dei popoli. In Europa la lotta è evitare che gli agricoltori appoggino le esportazioni per forzare l'abbassamento dei prezzi delle materie prime a livello mondiale."

Ci sono rivendicazioni nel movimento contadino messicano, come la proprietà della terra, che non necessariamente sono presenti nelle necessità dei contadini europei...

"Da noi la terra è molto cara. Un piccolo agricoltore non può mettersi in proprio né comprare terra, solo l'industria alimentare ha i mezzi per farlo. C'è tutto un meccanismo legale che impedisce al piccolo contadino di vivere del suo lavoro. In Europa il numero dei contadini sta diminuendo molto rapidamente. In Francia sono solo il 5 per cento della popolazione. Se questo processo va avanti, non ci saranno più piccoli agricoltori."

La attuale crisi della mucca pazza come s'inserisce in questo contesto?

"È chiaramente un processo legato a un modello di produzione industriale. Non è un incidente, è una conseguenza del produttivismo. Il mercato viene liberalizzato per aumentare i profitti, si importano farine animali senza alcuna precauzione. È per questo che in Europa la gente adesso è molto sensibile al tema dell'agricoltura di qualità e si è unita alla richiesta di una riforma radicale delle politiche agricole. Vogliamo produrre il nostro latte, i nostri cereali e la nostra carne, però non a prezzi da dumping in funzione delle necessità del mercato mondiale. Produciamo roba di cattiva qualità, causiamo problemi all'ambiente con i pesticidi e gli organismi geneticamente modificati. C'è molta resistenza ai brevetti genetici, in difesa della biodiversità. Le imprese multinazionali vogliono avere il controllo delle sementi in tutto il mondo. Bisogna fermarle."

Quali sono le strategie comuni?

"A Millau abbiamo deciso di distruggere un McDonald's come gesto simbolico. In Chiapas il movimento indigeno ha toccato corde che hanno coinvolto la gente. È importante che l'azione parta dalla cultura di ciascuno. In aprile ci sarà molto rumore attorno al vertice delle Americhe. Lì ci saremo anche noi, perché quello che succede in Quebec supera le frontiere delle Americhe. Imponendo un accordo di libero scambio per tutte le Americhe, gli Stati uniti stanno mettendo il mondo davanti a un fatto compiuto, per dare alle multinazionali il potere di inghiottire tutti i paesi dell'America centrale e meridionale. Se ci riescono, tutte le istituzioni internazionali dovranno seguire il cammino dei grandi accordi regionali".

Non la preoccupa che tutti i governi dell'America Latina, tranne Cuba, vogliano accettare l'accordo di libero scambio delle Americhe?

"Paradossalmente oggi è il Brasile il paese che resiste di più. L'opposizione dipende dalle forze sociali che lottano per il rispetto dei propri diritti fondamentali. Sono le uniche che possono opporsi".

Vede un punto di svolta, in cui il mondo cessi di essere organizzato in questo modo?

"La cosa importante è che attraverso le lotte che si sono sviluppate negli ultimi anni è sorto qualcosa di nuovo. Seattle è stato un punto molto importante, bloccando i negoziati dell'organizzazione mondiale del commercio, i movimenti hanno ottenuto una vittoria importante. In molte parti del mondo si stanno sviluppando lotte sociali che partono dal proprio territorio, ma che allo stesso tempo cercano e trovano forme di espressione a livello internazionale. Come lo zapatismo, che parte dal suo territorio e però ha un impatto sull'intero paese e molto più in là".

Sembra però che questo movimento internazionale possa cambiare le cose solo a lungo termine...

"Sì però la caratteristica più originale delle lotte attuali è che i movimenti non si limitano ad aspettare i grandi risultati globali, ma allo stesso tempo cercano risultati immediati con altre richieste. Per questo la marcia zapatista è tanto importante, perché esige il riconoscimento dei popoli indigeni, però allo stesso tempo dice no alle leggi del mercato, all'imposizione di forme di sviluppo che i popoli non vogliono. A partire da questo diventa un grande simbolo di resistenza".

È sorprendente che ci siano coincidenze tra le preoccupazioni di un produttore di formaggio francese con quelle dei produttori di mais in Chiapas.

"Sì, è sorprendente. Però in Europa la questione agricola e alimentare è centrale, tutti hanno bisogno di mangiare e vogliono prodotti di qualità".

Sebbene non stiamo parlando di fame, il contrasto con il contadino produttore di mais è grande...

"Certo però stiamo parlando del fatto che mangiando ci si avvelena, di mucche pazze, di contaminazione con gli ogm, di un modello ineguale. È questo lo sviluppo che vogliamo?"

[Da La Jornada]


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