*Dalla clandestinità allo Zócalo*

ZAPATISTI, UNA MARCIA LUNGA 18 ANNI

La sollevazione. I 12 giorni di combattimento. L'andirivieni degli sforzi per il dialogo. I tradimenti. L'altra guerra e la resistenza. Le battaglie sui mezzi di comunicazione. Un breve racconto della marcia dell'EZLN, iniziata molto prima di quando i suoi comandanti hanno organizzato la loro carovana. I capitoli di una storia che oggi arriva al centro del potere.

Il preludio. Undici anni di clandestinità. Una forza armata di tzotziles, tzeltales, choles, tojolabales e mames, sommersa, inseparabile dalle sue centinaia di villaggi. La spiegazione arriverà più tardi, nelle parole del subcomandante Marcos: "Lo zapatismo nel 1994 ha alle spalle tre grandi componenti principali: un gruppo politico-militare, un gruppo di indigeni politicizzati con molta esperienza ed il movimento indigeno della selva".

1994

LA SOLLEVAZIONE

"Sono 200 indigeni monolingue", si affretta a dichiarare la Segreteria di Governo di Patrocinio González Garrido, ex governatore, di dove?... del Chiapas.

Su un muro di San Cristóbal de las Casas, l'allora sconosciuto Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale traccia la burla: "In Chiapas non c'è guerriglia: Patrocinio".

Che i mascherati abbiano rovinato la festa dell'ingresso del Messico nel primo mondo, lo si è detto abbondantemente. Ma è vero. E lo fecero con una lista di richieste molto semplice: lavoro, terra, tetto, alimentazione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia e pace. La causa indigena come bandiera, arriverà più tardi.

LA BREVE GUERRA

Solo dodici giorni. Migliaia di indigeni male armati occupano sette città chiapaneche. La battaglia è impari. I ribelli si ritirano nella selva e sulle montagne. Sono i giorni della terribile battaglia di Ocosingo. Muoiono decine di soldati ed indigeni. L'Esercito Federale spiega più di 25 mila soldati.

Il 6 di gennaio, il presidente Carlos Salinas nega che si tratti di una sollevazione indigena ed offre il "perdono" a coloro che deporranno le armi.

L'EZLN risponde ponendo le sue prime condizioni.

Il governo decreta il cessate il fuoco il 12 gennaio. La pressione sociale è decisiva per arrestare la guerra.

Marcos risponde con un documento sulle ragioni della lotta zapatista: "Di che cosa ci devono perdonare?". A partire da quel momento, l'EZLN scatena le sue principali battaglie attraverso i mezzi di comunicazione.

I DIALOGHI DELLA CATTEDRALE

Il vescovo Samuel Ruiz, l'incaricato Manuel Camacho e Marcos sono i protagonisti principali dei dialoghi che iniziano il 20 febbraio.

Il programma: richieste economiche, sociali, politiche e l'interruzione delle ostilità. I colloqui terminano il 2 marzo. Il governo presenta un documento che contiene 34 impegni e l'EZLN concorda di sottoporlo a referendum. In clima di allarme rosso a causa dell'omicidio di Luis Donaldo Colosio, il 23 marzo, tutto va al diavolo.

Nonostante tutto, in quei giorni, comincia il romanzo degli zapatisti con la "signora società civile". "Qui c'è qualcosa di nuovo e non sappiamo, aspettiamo di vedere che cosa succederà. E' la gente stessa per la quale stiamo lottando che ci dice di non combattere, di dialogare", dice Marcos.

Le prime carovane della "signora" arrivano in aprile.

LA CONVENZIONE

Seimila stranieri nella selva. La follia. Il maltempo fustiga i visitatori che, comunque, raccolgono l'appello dell'EZLN: un governo di transizione ed un nuovo Congresso Costituente.

Nei mesi precedenti si susseguono le denunce di frodi elettorali e la dichiarazione di vittoria del priista Eduardo Robledo, che resisterà solo pochi giorni al governo statale. Prima, in giugno, la formalizzazione del rifiuto zapatista della proposta governativa. Ed il lancio di uno degli slogan centrali dell'EZLN: "Per tutti, tutto", dicono i nostri morti. Fino a che non sarà così, non ci sarà niente per noi".

Il negoziatore di pace? Se ne era andato a giugno dopo aver accusato Ernesto Zedillo di sabotaggio. Lo sostituisce (qualcuno se lo ricorda in quel ruolo?) Jorge Madrazo.

L'ACCERCHIAMENTO SI ROMPE

Ernesto Zedillo se insedia come presidente della Repubblica, nel dicembre del 1994, disposto ad aspettare "giorni, settimane, mesi" per arrivare alla pace. "Benvenuto nell'incubo" gli scrive Marcos.

Eduardo Robledo assume il governo. Giorni dopo, l'EZLN rompe l' accerchiamento militare, senza sparare un colpo, appare in 38 municipi dello stato dichiarandoli "autonomi e ribelli".

Quel giorno, crolla l'economia messicana e si svaluta il peso.

L'imminente ripresa delle ostilità, porta il vescovo Samuel Ruiz ad un digiuno per la pace. Quindi, il governo riconosce la Commissione Nazionale di intermediazione (Conai) come istanza di mediazione. Segue una tregua di fine anno.

1995

IL TRADIMENTO

La pazienza infinita dura poco. "La sfiducia non è una scusa valida per ritardare il dialogo", dice il presidente Zedillo. Quattro giorni dopo, il 9 febbraio, appare sulla rete nazionale: l'EZLN, dice, si prepara alla guerra.

Tutto il Messico viene a sapere della presunta identità dei dirigenti dell'EZLN. "Marcos è spacciato" si afferma.

Invece no. Questa sorte tocca, poco dopo, al segretario di Governo di Zedillo, Esteban Moctezuma, che si era recato nella selva per offrire la pace.

L'ordine presidenziale si trasforma in un'offensiva militare contro le comunità. Seguono arresti, omicidi, violenze, saccheggi nei villaggi. L' offensiva termina con più di 30 mila profughi.

Il primo di marzo, una moltitudine di persone si concentra nello Zócalo per manifestare contro la guerra. Giorni dopo, il Parlamento approva la Legge per il Dialogo, la Conciliazione e la Pace Degna in Chiapas, che sospende gli ordini di cattura e stabilisce regole per il negoziato.

DA SAN MIGUEL AI TAVOLI

Il 9 aprile si firma la Dichiarazione Congiunta di San Miguel, che stabilisce le regole per il dialogo. Il 22 riprende il dialogo a San Andrés Sacamchén. Seguono lunghi mesi di accordi e disaccordi.

L'espulsione di tre sacerdoti stranieri dalla diocesi di San Cristóbal, a giugno, pone a rischio i già di per sé fragili negoziati.

Il 18 ottobre si installa il primo tavolo su: Diritti e Cultura Indigeni.

Il mandato della "signora": un milione e 300 mila persone rispondono ad un questionario zapatista in più di 10 mila tavoli disposti in tutto il paese.

Oltre il 53% chiede all'EZLN di diventare una forza politica indipendente e nuova. E' il referendum zapatista dell'8 giugno.

Nella Terza Dichiarazione della Selva Lacandona, gli zapatisti avevano proposto la formazione del Movimento di Liberazione Nazionale, mentre lanciavano le loro reti fuori dal paese con un incontro intercontinentale.

Il secondo anniversario della sollevazione armata, arriva in un clima di tensione.

1996

IL FZLN E SAN ANDRES

Il primo gennaio, la Quarta Dichiarazione della Selva Lacandona comprende la risposta al referendum: l'EZLN invita alla formazione di una "nuova forza politica nazionale" indipendente ed autonoma, civile e pacifica, "che non sia un partito politico", e "che non aspiri alla presa del potere". Nasce il Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale.

Il 16 febbraio si firmano gli accordi di San Andrés. I primi. Mancano cinque tavoli, ma vengono presi degli impegni. "Lo Stato deve promuovere , come garanzia costituzionale, il riconoscimento del diritto alla libera determinazione dei popoli indigeni".

"E' un passo decisivo verso la pace definitiva", dichiara il presidente Zedillo. L'anno è ricco di incontri, riunioni, forum, dibattiti. Gli zapatisti sono gli attori centrali. L'atto mondiale è il primo Congresso Nazionale Indigeno (CNI), in ottobre. "Mai più un Messico senza di noi", dice la comandante Ramona, che annuncia che gli zapatisti continueranno ad arrivare alla capitale del paese ed in altri luoghi del paese.

Per il primo CNI, il processo di pace subisce una svolta. A maggio un giudice condanna Javier Elorriaga e Sebastián Entzin con l'accusa di terrorismo, ribellione e cospirazione (saranno liberati un mese dopo). L'EZLN si dichiara in "massima allerta".

A settembre, il dialogo viene definitivamente sospeso. La Commissione di Concordia e Pacificazione, nata per legge, tenta di districare il negoziato.

Alla fine di novembre, presenta una proposta di riforme costituzionali all'EZLN ed al governo: a condizione che dica sì o no all'intero documento.

L'EZLN accetta. Emilio Chuayffet, segretario di Governo, chiede che l'accordo venga formalizzato dal presidente Zedillo al suo ritorno da un viaggio. I dubbi del presidente Zedillo si prolungano fino al 19 dicembre, quando l'intermediaria Cocopa consegna all'EZLN una nuova iniziativa. La legge Zedillo verrà resa nota più tardi. I ribelli la rifiutano "totalmente".

1997

I 1.111

Vengono dal Chiapas. Passano per Oaxaca, Puebla, Morelos ed arrivano al Distretto Federale. Col passamontagna. Non c'è molta risonanza per quegli incappucciati, i 1.111 che arrivano al grido di "Non ci arrenderemo".

Due mesi prima, Cuauhtémoc Cárdenas ha vinto le elezioni a capo del governo della capitale del paese ed anche i suoi elettori contribuiscono affinché l'opposizione diventi maggioranza alla Camera dei Deputati.

Nello stipato Zócalo del 12 settembre, gli zapatisti salutano "la città che ha sconfitto il partito di Stato ed ha aperto la speranza per un cambiamento pacifico, profondo e vero". Ovviamente, in Chiapas le cose vanno diversamente.

LA VERGOGNA

La morsa si stringe. I gruppi nati dall'offensiva militare colpiscono ne Los Altos e nel nord del Chiapas. Il 4 novembre, a Tila, un gruppo paramilitare attenta alla carovana dei vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera. Ci sono due feriti.

Il 20, i paramilitari di Chenalhó iniziano un'offensiva contro zapatisti ed indigeni vicini alla diocesi. Distruggono ed incendiano decine di case dei villaggi. Sparano. Minacciano. Decine di indigeni si rifugiano sulle montagne.

L'immagine dei profughi di Polhó alla televisione, commuove il paese.

Gli avvertimenti che gli osservatori inviano al governo cadono nel vuoto.

"Ci sarà un massacro", dicono.

Il 22 dicembre, 45 persone: 21 donne, 14 bambini, 1 neonato e 9 uomini del gruppo Las Abejas, vengono assassinati mentre pregano.

Decine di poliziotti della Sicurezza Pubblica sentono gli spari e le grida senza intervenire. Il governo federale fornisce la sua spiegazione di "conflitti intercomunitari ed interfamigliari".

1998

LA RESISTENZA

Cento donne, molte di loro con i bambini al collo, dietro a loro circa cento uomini e bambini, si scontrano con l'Esercito messicano per protestare contro la base militare situata ai lati dell'accampamento di profughi a X'oyep. E' il 3 di gennaio. La resistenza pacifica, da allora, sarà incarnata dalle donne indigene.

L'arrivo di nuovi funzionari federali ed un nuovo governatore, dopo il massacro di Acteal, non modifica il panorama.

A partire da marzo, al prolungato silenzio dell'EZLN, il governo risponde duramente e con l'invio al Parlamento del suo progetto di legge.

Aumentano i pattugliamenti, gli arresti, gli operativi intimidatori. Il culmine è l'ultimatum ai municipi ribelli zapatisti che si compie immediatamente. Tra aprile e giugno la geografia dello zapatismo si riempie di oltraggi: Taniperla, Amparo Aguatinta, El Bosque, Chavajebal, Unión Progreso, San Juan de la Libertad. Migliaia di soldati e poliziotti in operativi smisurati. Gli indigeni che resistono vengono arrestati o giustiziati.

1999

LA CONSULTA

"Questo è uno degli atti politici più importanti che vive il Messico, perché si stanno articolando le basi di una politica di pace che non sia a parole". Così Pablo González Casanova descrive il percorso che 5 mila delegati zapatisti realizzano per tutti gli angoli del paese. Il risultato: alla consultazione nazionale per il riconoscimento dei diritti dei popoli indios e per la fine della guerra di sterminio, il 21 marzo, partecipano circa tre milioni di persone.

Il trasferimento degli zapatisti "rende evidente l'inesistenza di un accerchiamento militare e tantomeno di una presunta guerra di sterminio in Chiapas", dichiara la Segreteria di Governo, allora presieduta da Francisco Labastida.

2000

COMINCIARE DA ZERO

Tardivamente, secondo alcuni, l'EZLN si pronuncia, il 19 giugno, sulle elezioni del 2 luglio. "Questa non è la nostra ora. Lo sarà un giorno, quando ci sarà pace e rispetto per i popoli indios. Quando la democrazia vada oltre un calendario elettorale".

Nello stesso comunicato, gli zapatisti annunciano che non porranno alcun ostacolo alle elezioni, ma nemmeno inviteranno a votare per qualcuno dei candidati.

Le elezioni arrivano. Trionfa Vicente Fox, e più tardi Pablo Salazar, candidato di un'alleanza di tutti contro il PRI, si impone nell'elezione a governatore del Chiapas. Salazar vince in 53 dei 111 municipi dello stato.

Ma nella zona del conflitto ne vince 13 su 34.

Dopo un lungo silenzio, l'EZLN ritorna in scena. Il 2 dicembre porge il benvenuto al presidente Vicente Fox: "Con gli zapatisti, lei parte da zero in quanto a credibilità e fiducia (..). Non deve dubitare: noi siamo i suoi avversari. Quello che è in gioco è se questa opposizione avverrà per canali civili e pacifici; o se dobbiamo continuare in armi e con il viso coperto fino ad ottenere quello che cerchiamo che altro non è, signor Fox, che democrazia, libertà e giustizia per tutti i messicani".

Poi arrivano i piatti forti. L'EZLN elenca i suoi famosi "tre segnali" per riprendere il dialogo: l'approvazione del progetto della Cocopa, la liberazione di tutti gli zapatisti detenuti ed il ritiro e la chiusura di sette postazioni militari.

E già in corsa, annuncia la marcia di 23 dei suoi comandanti e di un subcomandante.

2001

LA MARCIA

Tre settimane prima della marcia, il Presidente della repubblica è deciso: "Il paese è più del Chiapas (.) Se ci sarà una marcia, che ci sia. Se non volete la marcia, non marciate; come vi pare".

I risultati dei sondaggi e l'attenzione internazionale lo obbligano a virare: "La mia priorità, in questi giorni, è che la marcia dell'EZLN abbia successo. Metto a rischio la mia presidenza, tutto il mio capitale politico. Bisogna dare un'opportunità a Marcos", afferma il Presidente il 23 febbraio. Tra una dichiarazione e l'altra, il rapporto tra gli zapatisti ed il governo vive attimi di tensione. L'EZLN attribuisce il rifiuto della Croce Rossa Internazionale a proteggere la carovana, all'intervento diretto del cancelliere Jorge G. Castañeda.

Il subcomandante Marcos denuncia che Castañeda gli ha inviato questo messaggio: "Volete una guerra di bugie, avrete una pace di bugie". L'interessato nega. Nei giorni seguenti, già a marcia in corso, le manifestazioni riuscite con successo in ogni piazza in cui giungono i comandanti, si mescolano alle dichiarazioni minacciose di prominenti panisti. Il rischio non sta nelle frasi pittoresche, ma nell'ostruzionismo del PAN che rifiuta di approvare l'iniziativa di legge che Vicente Fox ha già fatto sua.

Il capo dell'Esecutivo intensifica il suo lavoro di convincimento dei suoi stessi compagni di partito. Il 6 marzo, Luis H. Alvarez, rappresentante governativo per la pace, sostiene che la riforma "è una questione urgente e della maggiore rilevanza".

L'attivismo presidenziale si somma al duopolio televisivo con una campagna pubblicitaria senza precedenti, terminata con il concerto "Uniti per la pace".

"In questi momenti è in atto una dura guerra per questa colomba (della pace). Il governo di Fox vuole trasformarla in un logo pubblicitario", dice Marcos in uno dei suoi molti discorsi durante la marcia, che va raccogliendo adesioni in tutte le piazze che calca.

Oggi, la marcia che è cominciata 18 anni fa nella selva si trova nel cosiddetto "cuore del paese". La parola al Parlamento. Ma né gli zapatisti e né il governo di Fox staranno tranquilli.

La JORNADA Domenica 11 marzo 2001

(*La redazione di Masiosare)


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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