QUELLI DEL COLORE DELLA TERRA SONO GIUNTI A DESTINAZIONE

di Carlos Loret de Mola da Detras la noticia

Come 90 anni fa, gli zapatisti hanno conquistato il cuore della Repubblica, lo Zócalo del Distretto Federale. Sono arrivati su un carro, su balle di paglia.

90 anni fa, Zapata. Oggi 23 comandanti ed il Subcomandante Marcos. 90 anni fa, montando l'immortale ronzino "As de Oros" (Asso di Ori). Oggi, 120 cavalli motore. Ieri ed oggi, la consegna di quelli che stanno in basso.

In Piazza della Costituzione c'era spazio per tutti, ma non c'era spazio per nessuno. Piena da scoppiare. Migliaia e migliaia di casalinghe, tutte diverse ma nello stesso tempo, tutte uniformemente a favore dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Nel centro della spianata, l'immensa bandiera tricolore, sempre irrequieta, sempre ondeggiante, osservando, ascoltando, lasciandosi abbracciare e lodare da chi si definisce del colore della terra.

E nel Palazzo Nazionale, con le porte e le finestre chiuse alle pietre ed al fango, una sola immagine: due simpatizzanti che hanno scalato le colonne e, fiancheggiando il balcone presidenziale proprio sotto la Campana dell'Indipendenza, facevano sventolare bandiere con il simbolo zapatista.

E' stata, allora, la consegna totale. Il grido unanime di Zapata vive, la lotta continua. Lo scandire ognuna delle lettere E, Z, L, N. Il ripetere che non sono soli. E, ovviamente, il fenomeno: Marcos.

I 3mila duecento chilometri che separano La Realidad, Chiapas, dallo Zócalo capitolino, non sono stati il principale ostacolo. Sono rimaste indietro le pressioni, i rifiuti, le trappole, le campane contrarie.

Nel cuore della Repubblica, i 23 comandanti ed il Subcomandante Marcos, hanno sistemato il loro palco dando le spalle al Palazzo nazionale, la sede del Potere Esecutivo.

"Il palco su cui ci troviamo è qui dov'è, non per caso. E' perché, fin dal principio, il Governo ci sta alle spalle. A volte con elicotteri da guerra, a volte con paramilitari, a volte con aerei da bombardamento, a volte con carri armati, a volte con soldati, a volte con poliziotti, a volte con offerte di compra-vendita delle coscienze, a volte con offerte di resa, a volte con menzogne, a volte con stridenti dichiarazioni, a volte con oblio, a volte con silenzi d'attesa. A volte, come oggi, con silenzi impotenti".

Nello Zócalo si sono fusi tutti i colori e ne è nato uno solo: il colore della terra. Le grida, ma anche i silenzi, di uguale impatto, di uguale significato.

L'emozione è cominciata da quando alle sette del mattino sono arrivati i primi; i balli, le canzoni, gli slogan, tutto si è interrotto quando ha parlato Marcos.

La Piazza della Costituzione è diventata una fotografia. Che cosa colpisce di più: vedere lo Zócalo unito in un solo grido o ascoltare il suo silenzio, denso, un silenzio che solo Marcos poteva rompere? O colpisce di più, dopo cinque secoli un indigeno, un Tacho, uno Zebedeo, un David, una Esther?

Un indigeno che parli per un simile auditorio che gli presta attenzione, o colpisce di più constatare come José Saramago, Premio Nobel per la Letteratura, intonava l'inno zapatista?

O è più impressionante vedere quelle migliaia e migliaia di casalinghe cantare, con le loro migliaia e migliaia di braccia alzate, con i loro migliaia e migliaia di pugni levati al cielo, senza che niente, niente le perturbasse?

Il calamaio si era asciugato, anche se la penna avrebbe voluto continuare a bere.

La carovana zapatista giunge alla sua fine, ma quelli che ne fanno parte, i suoi ideali, sono solo all'inizio. No, non si chiude, si apre un capitolo. La penna così desiderosa, ansiosa; il calamaio, ancora una volta, è pieno.


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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