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A Fox "e a chi lo comanda" é ora che ci vedano

Di Amado Avendaño

Città del Messico, 11/03/01 (DDN)

Di fronte a 400 mila persone riunite nello "Zócalo" della capitale, il comando generale dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha chiesto al presidente Vicente Fox e "a chi lo comanda", che ci veda.

Inoltre ha ribadito di esigere il compimento delle tre richieste zapatiste per la ripresa del dialogo di pace, nonché di "non mettere altri lucchetti alla legge di Cocopa".

La comandante Esther, che ha preso la parola dopo due interventi da parte della società e di rappresentanti del Congresso Nazionale Indigeno, ha detto che le donne "soffrono tre volte di più: per essere indigene, per essere donne e per essere povere".

"Viviamo continuamente questo sacrificio di sangue e di vita e per questo abbiamo deciso che i nostri diritti debbono essere rispettati; non chiediamo chincaglierie, né televisione, né altre comodità; mai più un Messico senza le donne indigene", ha precisato Esther.

Dopo di lei ha preso la parola il comandante Zebedeo, che ha auspicato la fine delle persecuzioni contro il popolo del Messico. Ha invitato i presenti a levare la loro voce per dire che il governo non é nulla senza il popolo e per esigere che si tolgano il cerume dalle orecchie e le bende dagli occhi.

"Il Messico non é una proprietà privata", ha messo bene in chiaro. Ha perorato la fabbricazione di un antiparassitario che tolga il verme solitario che opprime i lavoratori.

A sua volta, il comandante Tacho ha detto che non si può disconoscere l' esistenza delle popolazioni indigene e per questo motivo, ha precisato, meritano di occupare il posto che degnamente loro corrisponde. In tono forte e chiaro ha chiesto che la Costituzione riconosca e rispetti le popolazioni indigene. Ha aggiunto che non saranno più tollerate burle e disprezzo, "non permetteremo l' ingiustizia prodotta per 500 anni dalla guerra genocida e per questo esigiamo il riconoscimento dei diritti e della cultura indigena che non ci possono negare".

Successivamente, il comandante David ha censurato il primo mandatario per non aver adempiuto ai tre segnali che l'EZLN richiede per tornare al tavolo del dialogo, "cosa costava a Fox dare il riconoscimento costituzionale dei diritti indigeni? Cosa gli costa liberare i prigionieri quando delinquenti sommamente pericolosi vengono lasciati evadere dalle carceri di massima sicurezza?", ha ricordato, aggiungendo: "Cosa costa a Fox togliere sette postazioni militari dal Chiapas quando ne restano più di 250?". Ha spiegato quindi che proprio questi sono i motivi che li hanno fatti arrivare fino allo "Zócalo" di Città del Messico, "abbiamo il mandato delle popolazioni indigene, adesso, e siamo qui per portare la risposta", ha spiegato.

"Che non mettano più lucchetti alla legge della Cocopa, altrimenti sarà come se mettessero 100 lucchetti alla unica forma per giungere ad una pace con giustizia e con dignità", ha aggiunto.

Infine ha ripreso la parola il Subcomandante Marcos che ha fatto diretto riferimento alle popolazioni indigene, citando espressamente "tzostziles, tzeltales, choles, tojolabales, zoques, mayos, yaquis, tarahumaras".

All'inizio del suo discorso ha affermato che quando appare il colore della terra, scompare il colore delle televisioni. Ha poi aggiunto che il palco che dava le spalle all'entrata principale del Palazzo Nazionale si trova in quel posto, non per caso, bensì perché "il governo sta sempre dietro di noi, con il suo Esercito, con i suoi tentativi di comprare le coscienze, con la sua trascuratezza, con il suo silenzio...".

Con uno straordinario esempio di oratoria ha anche parlato dei gruppi etnici rivolgendosi "agli uomini del mais, a colui che abita le montagne, all'uomo vero, l'uomo di costumi moderni, colui che é fatto con la sabbia del fiume, del deserto, del mare, della montagna; colui che é dipinto di colore, colui che cammina nella notte...", ha insistito Marcos.

"Noi siamo qui - ha aggiunto, per spiegare- noi siamo qui, siamo qui con te, non siamo qui per dare un prezzo alla nostra stessa dignità né alla dignità altrui. Non siamo coloro che sperano nel perdono e nell'elemosina, non siamo una moda passeggera, non siamo una pace simulata; siamo e saremo uno in più nella marcia degli zapatisti, siamo e sempre saremo".

Ha poi aggiunto: "dicono lassù che ci lasceranno soli e che soli torneremo indietro, che la dimenticanza é la sconfitta. Non ci sarà più dimenticanza, non ci sarà la sconfitta per coloro che rappresentano il colore della terra.

Tutti noi siamo già il colore della terra.

Ha richiesto ancora una volta il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni già individuati cinque anni prima dalla Commissione di Concordia e di Pacificazione.

"Ribelli siamo perché ribelle é la terra, ribelle é l'opera delle popolazioni indigene, di quelli del colore della terra".

"Non permettiamo che l'alba torni senza di noi, noi che siamo del colore della terra", ha esclamato diretto a tutte le persone presenti nello "Zócalo".


(tradotto da Beppe Costa)



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