La Jornada - domenica 8 aprile 2001

Fox ha ristabilito i ponti di dialogo smontanti da Ernesto Zedillo

L'EZLN HA PORTATO BUONE NUOVE ALLE SUE BASI

Oggi non è remota la possibilità di rivedere installato un tavolo di negoziato

Blanche Petrich

La marcia zapatista si è conclusa. I comandanti e le comandanti ribelli hanno portato buone nuove alle loro basi d'appoggio. In tutte le regioni indigene del paese per un bel pezzo ci sarà un tema ed un compito: rendere reale la proposta di legge della Cocopa. A Città del Messico si è costruito il primo contatto tra l'EZLN ed il governo di Vicente Fox ed in Parlamento permane l'eco delle parole della comandante Esther.

Quattro mesi prima, dal momento in cui l'Esercito Zapatista aveva annunciato di marciare verso la capitale del paese, praticamente tutti i settori che si sono sentiti coinvolti, hanno partecipato al dibattito nazionale che si è svolto intorno allo zapatismo nell'era di Fox: politici di tutti i segni, il clero, gli uomini del denaro, gli intellettuali e le organizzazioni civiche in tutte le loro diversità.

Il presidente Vicente Fox ha risposto con particolare brio alla scommessa, puntando le sue fiches per conquistare - al minor costo possibile come un buon commerciante? - la buona volontà dei ribelli ed ottenere come trofeo un tête-à-tête con Marcos, "suo amico".

Questo è un resoconto dell'accidentato itinerario che comincia con la fine del PRI governo e culmina in Parlamento, il 28 marzo, quando l'irruzione dei comandanti dell'EZLN riesce, alla fine, a dare una svolta di speranza ad una lunga storia di oblio e resistenza.


Il processo parte da sotto zero. Dalla fine del 1996, l'allora presidente Ernesto Zedillo aveva smontato pezzo per pezzo i ponti di dialogo che avrebbero potuto esistere tra l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale ed il governo federale. Fin dal giorno in cui rifiutò di firmare gli accordi di San Andrés Larráinzar, fino al suo ultimo giorno a Los Pinos, è stata privilegiata la via militare come politica di Stato nei confronti del conflitto in Chiapas.

Quattro mesi dopo la fine dell'era priista, il primo di questi ponti è stato ristabilito quando, dalla tribuna della Camera dei Deputati, la comandante Esther ha pronunciato per la prima volta, a nome dell'EZLN, un riconoscimento alla volontà di negoziare del "signor" Fox, per aver ordinato lo smantellamento delle ultime tre postazioni militari che il gruppo ribelle aveva indicato come prova della volontà di trattare dell'Esecutivo.

LA SCACCHIERA POLITICA

Per 108 giorni, dalla comunità tojolabal di La Realidad e dagli uffici di Vicente Fox, sono state prese decisioni, sono stati emessi pronunciamenti e sono stati mossi i pezzi della scacchiera politica - indietro o avanti? - ed il 28 marzo, alla fine, l'EZLN, per voce del suo Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno ha riconosciuto: "i suoi ordini sono stati segnali di pace". Anche gli insurgentes, conformemente, hanno impartito "ordini di pace" alle proprie forze regolari ed irregolari affinché non occupassero le postazioni recentemente abbandonate dai soldati federali.

È difficile sapere con certezza se a sette anni dal cessate il fuoco in Chiapas esista la possibilità reale che truppe zapatiste "avanzino" sulle basi di Río Euseba, Guadalupe Tepeyac e La Garrucha. Ma l'enfasi della comandante su questo punto, la prima delle azioni messe sul tavolo, fa capire l'importanza che l'EZLN assegna al fatto di considerarsi un gruppo sollevatosi in armi, anche se con l'esplicita intenzione di rendere inutili quelle armi.

Ai punti due e tre si istruisce il mediatore dell'EZLN, Fernando Yáñez, affinché prenda contatto con la Cocopa e con il commissario di pace Luis Héctor Alvarez, perché entrambi accertino il ripiegamento definitivo dalle sette postazioni militari e che egli "si accrediti come emissario dell'EZLN" nei confronti del governo federale per ottenere la soddisfazione dei due segnali ancora in sospeso. Questi due non dipendono esclusivamente dall'Esecutivo, perché come nel caso dei prigionieri zapatisti, la soluzione dipende dal Potere Giuridico di almeno due stati al di fuori dei confini del conflitto (Tabasco e Querétaro) e l'approvazione della Legge Cocopa è responsabilità del Potere Legislativo.

Lo straordinario della posizione dell'EZLN è che, per la prima volta da quando si è sospeso il processo di negoziato nel 1996, accetta di trattare con il governo federale. Gli ultimi incaricati di pace dello zedillismo hanno cercato per anni di stabilire questo contatto, anche se solo col fine di farsi fotografare. Non ci sono mai riusciti. Oggi la possibilità di rivedere installato un tavolo di negoziato non è remota, sebbene ognuna delle parti cerchi obiettivi opposti.

Da quando ha assunto la Presidenza, Fox si è sempre preoccupato moltissimo, e lo ha ripetuto spesso, per il fatto che l'EZLN non riconosca la sua legittimità. Il suo interesse - quasi un'ossessione - di "conoscere Marcos", parlare "faccia a faccia, a quattr'occhi" con lui, invitarlo a Los Pinos, è stato oggetto di non poche critiche, comprese quelle dei suoi correligionari panisti e degli industriali più legati ai suoi progetti.

Non sarà Marcos, lo stratega e portavoce dell'Esercito Zapatista, colui che al dessert dialogherà con la controparte ufficiale, ma Yáñez, l'emissario, "un mezzo sicuro, di fiducia e discreto per progredire nelle condizioni che permettano un dialogo diretto del commissario per la pace con l'EZLN", ha dichiarato la comandante.

In precedenza quadro al più alto livello della struttura clandestina dell'EZLN e del FLN, l'ex comandante Germán entra ora nel terreno della politica legale, chiudendo in maniera definitiva un lungo capitolo della lotta armata.

PRIMI SEGNALI DI DISGELO

I primi giorni del 2000, all'inaugurazione dell'era Fox, dallo studio presidenziale e dalla comunità tojolabal di La Realidad, sono arrivate azioni e parole che indicavano che entrambi i protagonisti avevano intenzione, per ragioni molto diverse, di arrivare ad un punto di convergenza.

Giorni prima di insediarsi come presidente, Fox aveva tenuto una riunione con quello che in breve sarebbe stato noto come il Gruppo Chiapas del suo gabinetto. Era presente il futuro Segretario della Difesa, generale Ricardo Vega García, insieme a due ufficiali d'alto rango. Per il nuovo governante era chiaro che l'unico ostacolo che poteva interferire con la strategia di sviluppo prioritaria per il nuovo regime, il Piano Puebla Panama, era il persistere del conflitto in Chiapas.

Fox era rimasto impressionato dall'analisi di uno dei tanti consulenti dell'équipe presidenziale: "Esiste una formula già sperimentata per neutralizzare e minimizzare la presenza di un'organizzazione guerrigliera col minor costo e senza spargimento di sangue: farle firmare un accordo di pace. Ne abbiamo l'esempio migliore qui vicino, in Centroamerica: dopo conflitti sanguinosi e prolungati, che cosa è successo al FMLN ed alla URNG dopo la firma della pace? Come forze politiche, in poco tempo sono state ridotte a forze d'opposizione perfettamente controllabili".

Fox ha comprato l'idea e immediatamente si è studiato un piano per ridurre la presenza militare sovradimensionata in questo stato, ereditata dall'ultimo presidente priista, Ernesto Zedillo, ed inutile per gli obiettivi gestionali del nuovo regime.

- C'è qualche problema per sopprimere i sorvoli militari, generale? - È stato chiesto a Vega Garcia. Il generale, dopo aver parlato ai suoi consulenti, ha risposto: "Nessuno". Quindi, si è affrontato il tema del ritiro dei posti di blocco ed altri ancora. I militari hanno acconsentito a tutti i casi presentati. In effetti, in piena cena di gala nel Castello di Chapultepec, nella fredda notte del primo di dicembre, gli invitati all'insediamento di Fox - capi di Stato e i più illustri rappresentanti della classe politica ed imprenditoriale - commentavano con ammirazione la notizia del giorno: nello stesso momento in cui il nuovo fiammante presidente Vicente Fox assumeva l'incarico, in Chiapas i soldati iniziavano il ritiro militare tanto promesso per tutta la campagna elettorale. Nella zona di conflitto in questione, questo ritiro si limitava, senza dubbio, ad un ritiro di truppe da 53 posti di blocco (1.500 uomini) nella zona de Los Altos, delle Cañadas, della Selva e del Nord. Anche così, è stato un gesto importante e ben calcolato nel tempo.

NIENTE DI NEGATIVO, NIENTE DI POSITIVO

Il 2 dicembre si è tenuta l'attesa conferenza stampa del portavoce dell'Esercito Zapatista a La Realidad. Dal "sì" o dal "no" pronunciato dagli zapatisti in questo piccolo agglomerato di case, con un solo impianto elettrico e senza servizi telefonici, dipendeva la possibilità di riattivare il negoziato tra il governo federale e l'EZLN, e che quindi Fox potesse affrontare una delle maggiori sfide ereditate dal vecchio regime: la guerra in Chiapas.

La risposta fu: "la ripresa del dialogo tra il governo federale e l'EZLN è possibile". Per voce del subcomandante Marcos, gli zapatisti hanno detto a Fox: "Lei parte da zero in quanto a credibilità e fiducia. Questo significa che non deve recuperare, ancora, niente di negativo, perché è corretto dire che lei non ci ha attaccato".

Per riprendere il dialogo, gli zapatisti hanno anteposto il compimento di tre condizioni minime: l'approvazione, da parte del Potere Legislativo, della proposta di legge della Cocopa; la liberazione degli zapatisti prigionieri in Chiapas ed in altri stati; il ritiro di sette delle 259 postazioni militari che l'Esercito occupava in Chiapas. Con questo hanno praticamente chiesto al governo federale di rispondere a tre domande fondamentali: "Fox è al comando dell'Esercito ed è disposto ad abbandonare la via militare? Riconosce che gli zapatisti non sono delinquenti ma attivisti sociali? Non tornerà a ripetersi la storia di razzismo ed umiliazioni contro gli indigeni messicani?".

La notizia del "sì" zapatista è arrivata nel vortice delle "fox-feste" organizzate dai settori che si considerano "la nuova classe politica" del paese. Da La Realidad, l'EZLN rendeva esplicito il suo proposito di "uscire a fare politica". Il catenaccio che teneva bloccata da cinque anni la porta della soluzione negoziata era stato eliminato. Il giorno dopo Fox rispondeva: "Cercheremo di soddisfare le condizioni che ci avete posto".

Ma oltre che mettere sul tavolo le tre pre-condizioni, il subcomandante Marcos annunciava la marcia verso Città del Messico. Quindi, un'organizzazione armata, ma con vocazione alla politica, non alla guerra, si proponeva di portare la resistenza che vivono gli zapatisti in Chiapas al gran foro nazionale.

"GESTO DI ALTISSIMO LIVELLO"

Il 4 dicembre scorso, Fox inviava al Senato l'iniziativa di legge della Cocopa con un ampio documento a suo sostegno. Il leader del panismo, Felipe Bravo Mena, lo qualificava come "un gesto di altissimo livello", ma non tardava ad elevare a rango di strategia partitica un documento di 22 punti per discutere e sminuire lo spirito della proposta della Cocopa. Il senatore Diego Fernández de Cevallos ha avvertito "Non ci sarà azione automatica (per la legge di riconoscimento dei popoli indigeni). Il Senato non si farà impressionare". E per ora, il vertice panista ha continuato in questa grave discrepanza con il suo presidente.

Otto dicembre. A livello statale la mappa chiapaneca cambia colore. Ne assume il governo un governatore non priista, Pablo Salazar Mendiguchía, tra grandi aspettative di cambiamento, ma anche tensioni e contraddizioni.

22 dicembre. In un giorno in cui i tzeltales della selva vivono come una festa, i soldati si ritirano dall'ejido di Amador Hernández e la Sedena consegna al governatore 3,5 ettari espropriati dall'ex presidente Ernesto Zedillo "per scopi militari". L'EZLN accoglie il primo ritiro come "un buon segnale ed un passo importante".

Ma si comincia a vedere che "qualcuno" all'interno della cerchia del potere ha imposto un freno. Dalla sua terra, León, Fox dichiara: "Abbiamo fatto questi passi che oggi hanno messo da parte possibili ostacoli e credo che ora spetti all'EZLN far vedere se ci dà l'opportunità che inizi questo dialogo per arrivare alla soluzione totale del conflitto".

A partire da quel momento, il Presidente non avrebbe lasciato passare una settimana senza emettere due o tre dichiarazioni sull'argomento. Abbondano le iniziative per incontrarsi con Marcos - Fox dimentica che il suo interlocutore è l'EZLN - ma anche gli avvertimenti tipo "noi abbiamo già adempiuto", "ora non faremo ulteriori concessioni", fino a "consegnate le armi". Sembrerebbe fare un discorso apposta per le organizzazioni che si sono raccolte intorno alla marcia ed un altro per parare le critiche che gli piovono addosso dal suo stesso ambiente, gli imprenditori, il PAN ed anche settori del PRI.

Il 31 dicembre si sgombera la seconda base, mentre la comunità di Jolnachoj, nella regione di Los Altos, preme ed occupa la posizione, provocando l'uscita disordinata e tesa dei soldati.

Sulla scena nazionale, il governo Fox soffre i primi impatti del PRI nel sud-sudest. In Tabasco, dopo l'annullamento delle elezioni, il Parlamento locale, controllato dall'allora governatore Roberto Madrazo, escogita un golpe legislativo per lasciare al governo un altro delfino del madracismo. In Yucatán s'intravede già la crisi e la controffensiva di Víctor Cervera Pacheco.

La cupola imprenditoriale si prepara per il lancio del piano di sviluppo del sud-sudest, un pezzo base del mega-progetto Piano Puebla Panama (PPP). Entrano in gioco forti interessi economici dei principali patrocinatori, membri del Fondo Chiapas creato all'inizio del conflitto, nel 1994, con la partecipazione dei consorzi più forti (tra gli altri il Grupo México Desarrollo, il Grupo Modelo, il Grupo Escorpión, Pulsar, Protexa, Mina, Maseca, Nestlé, Herdez, Serfin e Bancrecer).

Nelle analisi del progetto si cita la necessità di "democratizzare" i livelli di governo locali, una chiara allusione ai cacicazgos priísti che ancora dominano in Tabasco e nella penisola dello Yucatán. È anche implicita la persistenza dell'EZLN in Chiapas. Ben presto, alla fine di febbraio, il Ministro degli Esteri, Jorge Castañeda, rende esplicito l'interesse di questa potente lobby dell'iniziativa privata nel Piano Puebla Panama e l'urgente bisogno di concludere, al più presto ed al minor costo possibile, "la questione del Chiapas": a Madrid afferma che il PPP è "il corollario logico e di lungo respiro" della strategia di Fox per il Chiapas.

A questo punto, è evidente che molto presto si apriranno diversi fronti di conflitto per il nuovo mandatario.

CORTINE DI FUMO

Il 5 gennaio, in un modo molto light, Fox dice che per andare a Città del Messico gli zapatisti dovranno farlo senza armi e senza passamontagna e con questo apre il vaso di Pandora: settimane e fiumi di inchiostro si spargeranno nel falso dilemma che in fondo nasconde l'opinione delle forze conservatrici riguardo l'illegalità della mobilitazione zapatista. L'EZLN dichiara che viaggerà senza armi e con passamontagna.

Intanto, il Congresso Nazionale Indigeno realizza consultazioni locali, decidendo la sede del suo terzo incontro: Nurío, un piccolo villaggio di grande tradizione collettiva sull'altopiano purépecha. Nelle comunità rurali indigene, lontane dall'attenzione dei politici e dai riflettori dei mezzi di comunicazione, il lavoro è intenso.

Mentre l'Esercito si ritira dalla base militare di Cuxuljá, a 20 minuti dalla capitale municipale Ocosingo, il 9 gennaio Fox annuncia che delle sette postazioni chieste dall'EZLN, "quattro sono state abbandonate". Più tardi precisa che in cambio "chiediamo solo che abbandonino le armi", ricorrendo alla vecchia formula di anteporre la condizione di consegna delle armi al negoziato, prova che si sta pensando al dialogo come tattica e non come obiettivo.

Per la seconda metà di gennaio, si fanno evidenti le pressioni sull'Esecutivo. La portavoce presidenziale, Martha Sahagun, confessa che esiste "un cambio di strategia". La senatrice panista María Luisa Calderón, dà il là per la battaglia delle settimane successive, persa alla fine, dei legislatori panisti per chiudere le porte del Parlamento agli zapatisti: "Il Parlamento riceve i cittadini che non sono in guerra", avverte.

Il suo correligionario, il deputato Armando Salinas, minaccia di sostenere che la legge di concordia non protegge gli zapatisti in questo caso e che uscendo dai loro territori dovranno essere arrestati. Dal PRI arrivano allineamenti a questa corrente del PAN. Il senatore priista Manuel Bartlett urla ai quattro venti: "Né Marcos né nessun altro verrà a farci pressione".

Per completare il quadro, l'équipe economica di Fox accerta che le sue aspettative di crescita sono minori di quelle previste a causa dell'abbassamento del prezzo del petrolio e in Yucatán esplode con virulenza la prevedibile ribellione dei "cerveristas". Con un nuovo fronte aperto, il Segretario di Governo, Santiago Creel, si trova tra l'incudine ed il martello, vituperato dai cacicazgos priísti.

Varie fazioni politiche urlano al cielo e tra i medi imprenditori, Fox viene criticato per aver annullato le restrizioni affinché gli osservatori stranieri espulsi negli ultimi sei anni ritornino in Messico e per aver definito a priori i tre segnali degli zapatisti come "attendibili" e non come parte del negoziato stesso.

Gli uomini d'affari sono più espliciti nelle loro critiche nei confronti del Presidente: "Perché devono venire gli zapatisti? Che cosa vengono a chiedere?" domanda a nome loro Raúl Picard del Prado, della Canacintra. Il presidente del Consejo Coordinador Empresarial, Claudio X. González, assicura che il nord del paese come fonte di risorse naturali "è esaurito" e che il sud "è la grande riserva". Vari consorzi, tra i quali Kimberly Clark, sperano di poter "entrare" per ripetere il successo ottenuto nella regione da un'altra firma, Axa Monterrey.

Per l'imprenditore è chiaro che la pacificazione in Chiapas "è la chiave" per il Piano Puebla Panama, "ma gli zapatisti non sembrano volerlo".

A Washington assume la presidenza George Bush. L'inizio di una nuova era ultra-conservatrice negli Stati uniti non può essere aliena allo sviluppo della strategia di Fox in Chiapas. Senza contare i gol che piovono nella porta foxista: a pochi giorni dall'attentato presunto del narcotraffico contro il governatore di Chihuahua, Patricio Martínez, il capo sinaloense Joaquín El Chapo Guzmán Loera esce per sempre dal carcere di massima sicurezza di Puente Grande, Jalisco.

E per chiudere il cerchio, a Los Pinos interviene l'alto clero con un consiglio poco cristiano al presidente Fox: "che non ceda troppo" senza ricevere nulla in cambio.

L'ultima settimana di gennaio, il commissario per la pace, Luis H. Alvarez, stanco di non ricevere "segnali" dall'EZLN, va in Chiapas per aprire un ufficio a San Cristóbal de Las Casas. Vuole farlo anche a Guadalupe Tepeyac, una comunità abbandonata e trasformata in base militare. Ma lì nessuno lo riceve. Il consigliere presidenziale Rodolfo Elizondo lo persuade a non rimanere lì in pianta stabile.

Per chi credeva l'EZLN isolato ed agonizzante, è sorprendente l'eco della voce del subcomandante insurgente sulla stampa. Per ricevere il cancelliere Jorge Castañeda negli Stati Uniti, durante la sua prima visita al nuovo governo di Bush, il New York Times pubblica una notevole intervista con Marcos. Su El Universal, il portavoce ribelle rivela che Castañeda ed il commissario per la Sicurezza Nazionale, Adolfo Aguilar Zinser, hanno tentato di mettersi in contatto con lui. Vari giorni si consumano in pettegolezzi su questo particolare.

Partendo da lì, il sup può concedersi il lusso di programmare e scegliere i suoi intervistatori, tra questi anche personaggi "autorevoli" come Carlos Monsiváis, Julio Scherer, Gabriel García Márquez, Gianni Miná, Ponchito. Non chiunque.

Per gli zapatisti il mese si conclude con una febbrile attività. Negli stati in cui passeranno si organizzano gruppi sociali per progettare e realizzare l'infrastruttura della carovana. Il comandante David avverte che partono per avviare "un profondo cambiamento nel paese".

All'inizio di febbraio, Fox riprende nuovo brio: assicura che sarà audace di fronte alla sfida che rappresenta la marcia. Attraverso il commissario per la pace Luis H. Alvarez, tenta di "patteggiare" le condizioni della mobilitazione e di ottenere qualche tipo di contatto "diretto e discreto" con gli zapatisti. Ma l'hanno già detto e non si smentiscono: vengono a parlare con il Parlamento e non con l'Esecutivo.

In Colombia il presidente Andrés Pastrana si ritrova con il leader storico delle FARC, l leggendario "Tirofijo". Fox insisterà fino allo sfinimento: "Voglio vedere Marcos".

La visita del presidente George Bush domina l'agenda presidenziale a metà febbraio. Immediatamente dopo nasce il diversivo intorno alla Croce Rossa Internazionale che si conclude con il rifiuto di questo organismo neutrale di proteggere la marcia. Nel Potere Legislativo comincia la farsa dei panisti, che insistono che non si permetta che si profanino le Camere con la presenza degli incappucciati.

Il giorno 22 è pronto lo scenario della marcia. San Cristóbal de Las Casas è un brulichio di carovanieri. A Los Pinos, Fox lancia la posta "Metto a rischio tutto il mio capitale politico. Bisogna dare un'opportunità alla marcia. Benvenuti!".

E loro, da là, arrivano.


Lunedì 9 aprile 2001

IL MOVIMENTO INDIO HA VISSUTO A MICHOACAN IL SUO GRANDE MOMENTO ORGANIZZATIVO E DI RESISTENZA

NURIO ED IL PARLAMENTO, EPISODI DI UNA STORIA LUNGA PIÙ DI DUEMILA KILOMETRI

DALLA MANIFESTAZIONE NELLO ZOCALO DELLA CAPITALE IN POI, È STATO DIFFICILE NON VEDERE E NON SENTIRE GLI ZAPATISTI NONOSTANTE IL FRAGOROSO SILENZIO OSSERVATO QUEL GIORNO DALLE TELEVISIONI MESSICANE

BLANCHE PETRICH /II E ULTIMA PARTE

Con la bandiera tricolore legata sull'autobus, il 24 febbraio gli zapatisti intraprendono la loro lunga marcia verso Città del Messico spiegando che "andiamo avanti finché si accetterà che questa bandiera è nostra". All'inizio del percorso, Fernando Yáñez viene messo a disposizione del gioco politico come tramite tra lo zapatismo ed il Parlamento. Questa rivelazione di uno dei suoi quadri storici è il segnale, dichiara Marco, della volontà che l'abbandono della vita clandestina sia irreversibile.

Lungo più di duemila chilometri, in 13 giorni hanno percorso 12 Stati. Si sono intrattenuti in una trentina di città e villaggi, hanno presenziato a circa 80 manifestazioni pubbliche, hanno ricevuto come segnale di rispetto decine di bastoni del comando da una gran quantità di etnie. Hanno parlato instancabilmente, centinaia sono stati i discorsi, di fronte a piazze colme ed attente.

Lungo questo tragitto, hanno mostrato all'opinione pubblica due Messico opposti. In alcuni momenti sono sembrati prossimi allo scontro. Dal sud arrivava lo zapatismo con le forze rinnovate. Da Querétaro il governatore Ignacio Loyola avvertiva che il Cerro de las Campanas aspettava i traditori. In ogni città in cui è passata la carovana - Oaxaca, Orizaba, Tehuacán, Puebla, Ixmiquilpan, Querétaro, Acámbaro, Morelia - la popolazione ha presenziato all'insolito quadro degli incappucciati che parlavano di diritti degli indios. Nel frattempo, a Cancún, si riuniva il Foro Economico Mondiale con la presenza di Fox ed i contestatori della globalizzazione ricevevano inutili manganellate.

A partire dal 24 febbraio, Fox ha fatto ogni giorno dichiarazioni sulla marcia e su Marcos. Ed il subcomandante gli ha sempre risposto. Televisa e Televisión Azteca hanno tentato di porre un contrappeso alla travolgente attenzione suscitata dagli zapatisti, organizzando per i primi giorni di marzo il concerto allo stadio Azteca, ma si è gonfiato e poi è scoppiato come una bolla di sapone. Uno spiacevole incidente automobilistico è costato la vita ad un agente della Polizia Federale Preventiva che scortava il convoglio ribelle.

Così si è arrivati a Nurío il 3 marzo.

AVVOLTI DALLA BANDIERA DELLA NAZIONE PURÉPECHA

Nuovamente, come quando fu convocata la Convenzione Nazionale Democratica, la "prima Aguascalientes" nel 1995, si è stabilita una complessa rete di alleanze sociali intorno alle rivendicazioni indigene con la presenza di un ampio ventaglio di forze democratiche accorse ad appoggiare il nuovo sforzo per coronare con una legge gli accordi di San Andrés Larráinzar e la Legge Cocopa. Ognuno con i propri mezzi, sono arrivati oltre tremila delegati da altrettante comunità indigene di 42 etnie.

Il governo federale ha tentato di minimizzare questo avvenimento dichiarando che il CNI "non è rappresentativo" dei 10 milioni di indigeni del Messico.

Ma nessuno ha potuto negare che il movimento indio ha vissuto a Nurío un momento importante della sua storia di organizzazione e resistenza. Tutti i delegati hanno partecipato al congresso su mandato dei loro villaggi. Per tre giorni, si sono tenute riunioni sotto il sole e seduti nei prati e sono continuate informalmente anche intorno ai fuochi nella notte. I delegati hanno dormito sotto le stelle. Le diverse lingue non hanno formato una torre di Babele, ma si sono articolate.

Per il Messico non indigeno, ed in particolare per i politici, resta ancora in sospeso una valutazione dell'importanza delle risoluzioni di Nurío che in sintesi dicono che il CNI si dichiara in mobilitazione permanente fino al raggiungimento dell'approvazione della Legge Cocopa. Nel frattempo, metterà in pratica i suoi enunciati, in particolare l'autonomia dei popoli indios.

Quando la carovana ha ripreso la marcia verso Città del Messico, il convoglio si era considerevolmente ingrossato, perché il CNI aveva invitato i suoi delegati a marciare insieme all'EZLN.

Il 4 marzo, in un elegante ufficio vicino al cielo a Città del Messico, l'ideologo degli industriali e guru di Vicente Fox, Juan Sánchez Navarro, esprimeva il timore della classe agiata di fronte all'imminente arrivo degli zapatisti. "È pericoloso se Marcos non controlla la sua gente". Ha pure confessato di aver dato istruzioni alla sua famiglia di non uscire di casa in quei giorni. Il giorno seguente Marcos gli rispose da Toluca: "Perché tanta paura di una marcia pacifica, disarmata, di indios emarginati?".

Il 6 marzo la marcia sta per entrare nei confini del DF ed intraprendere la strada di Emiliano Zapata, che accenderà rievocazioni nell'immaginario collettivo. A Los Pinos resta impantanata la risoluzione dei tre ritiri militari ancora mancanti - Río Euseba (vicino a La Realidad), Guadalupe Tepeyac e La Garrucha - ma il segretario generale Vega García chiarisce che la colpa non è sua: "È una decisione politica, non militare". Nelle Camere si è fatto carico a senatori e deputati della definizione di una modalità per l'incontro con gli zapatisti, dove e con chi.

Fox torna a cedere alle pressioni dei suoi uscendosene con un'inaspettata espressione, quando allude al fatto che "sono solo due o trecento persone" quelle che partecipano alle manifestazioni dell'EZLN.

L'8 marzo c'è luna piena e gli zapatisti pernottano dentro i confini della capitale. All'assemblea della Coparmex il suo presidente, Jorge Espina Reyes, che rivendica la conquista spagnola come un atto di "liberazione" dai popoli originari, definisce i carovanieri: "demagoghi, ricattatori, minacciosi".

Fox lancia un messaggio ad hoc offrendo il benvenuto agli zapatisti, ma cade di nuovo nella tentazione di "invitare Marcos a Los Pinos" trascurando gli obiettivi annunciati proprio dagli zapatisti: loro vengono nella capitale per parlare con il Parlamento riguardo alla bontà della Legge Cocopa ed hanno avvertito che non ci sarà alcun contatto con l'Esecutivo fino a che non siano soddisfatti i tre segnali. Colpisce soprattutto la costante "dimenticanza" del Presidente del fatto che il subcomandante viene come parte di una delegazione formata da 23 comandanti.

"Piene le piazze ed i villaggi e non ci vedono e non ci sentono", risponde Marcos il giorno 9 da Milpa Alta. Aggiunge: "Che sia chiaro, non ce ne andremo da qui fino all'ottenimento del riconoscimento dei diritti e della cultura dei popoli indios. Lo abbiamo già detto". Il giorno seguente, a Xochimilco, ripete, riferendosi ai governanti ed ai proprietari del denaro: "Abbassate la voce ed ascoltate".

La comandancia dell'EZLN si installa nella Scuola Nazionale di Antropologia e Storia (ENAH) a Cuicuilco. Ed il giorno 11 inonda lo Zócalo della capitale. Lì Marcos ripete la vocazione alla pace degli insorti: "Siamo ribelli, saremo ribelli, ma per esserlo vogliamo esserlo tutti quanti insieme, senza la guerra come casa e cammino".

Sarà difficile non vederli né sentirli d'ora in poi, nonostante il fragoroso silenzio osservato quel giorno dalle televisioni messicane.

LA CLASSE POLITICA GETTA LA MASCHERA

Secondo quanto dice il Presidente, egli spera che "Marcos venda bene l'iniziativa indigena" ai politici. Egli fa del suo meglio tra i suoi correligionari del PAN e con la Cocopa che convoca urgentemente a Los Pinos. Più tardi il senatore Diego Fernández si lamenterà: "Fox mi faceva pressione tutti i giorni".

Con settimane di anticipo, il leader panista Luis Felipe Bravo Mena, aveva reso noto un elenco di 22 punti di disaccordo del partito con il testo dell'iniziativa patrocinata dal Presidente. Fox ammette che sarà necessario "affinarla" affinché non si presti ad errate interpretazioni. L'aveva detto pure Zedillo quando, con il testo degli accordi già firmati ed approvato il testo della Cocopa, l'aveva "rinviato" per un giro di consulenza tra giuristi. Il risultato è storia: interruzione del dialogo fino ad oggi.

In quanto alla richiesta di liberare i prigionieri zapatisti, in Chiapas il processo avanza, anche se a tentoni. Da allora sono stati scarcerati circa 90 e ne restano in prigione non più di 10. Viene analizzato ogni caso. Per i due prigionieri in Querétaro, dirigenti del FIOZ e membri del Fronte Zapatista, accusati di "aver sequestrato" un autobus con diversi segretari di Stato nel 1998 e condannati rispettivamente a 13 e 16 anni di prigione, il caso si complica. Poiché il governatore Loyola ha minacciato che non usciranno di prigione "fino a che non sarà firmata la pace".

Fin dal 2 dicembre l'EZLN è stato esplicito: sarebbe venuto a Città del Messico a parlare con i parlamentari per "convincerli della bontà" della Legge Cocopa. Ma nelle Camere si scatena una piccola battaglia campale che nel giro di una settima porta la tensione al culmine e smaschera i politici.

Panisti e priisti tentano di minimizzare al massimo la visibilità della presenza zapatista nel Parlamento. Al Senato, il panista Fernández de Cevallos opera per chiudere loro l'ingresso del palazzo di Xicoténcatl, e in San Lázaro Felipe Calderón e Ricardo García Cervantes trovano l'appoggio di Enrique Jackson, del PRI. Non vogliono che gli zapatisti siano ricevuti dalla sessione plenaria, non vogliono che abbiano accesso alla sala plenaria e non vogliono che l'incontro possa avere grandi ripercussioni. Vogliono farlo sembrare un evento di routine. Si arriva perfino a pensare di riceverli fuori dal Parlamento. La debolezza del PRD si fa palese con gli infruttuosi tentativi del senatore Jesus Ortega e del deputato Martí Batres di convincere i propri colleghi legislatori a valutare meglio il momento storico.

Senza alcun margine di azione, la Cocopa consegna alla ENAH la proposta in una lettera che, oltre a tutto, non porta né intestazione né firme. Come il bastone del comando, presso le comunità indigene, il timbro dell'autorità nei documenti ufficiali ne rappresenta l'investitura. Ai parlamentari sfugge questo dettaglio.

Il 13 marzo l'EZLN risponde come era da prevedersi: rifiuta le modalità proposta dai parlamentari considerandole "umilianti ed indegne". Per la prima volta rende esplicita la sua intenzione di parlare dalla tribuna della Camera dei Deputati e riprende la Cocopa per non essere riuscita a superare il suo ruolo di "postino". Zapatisti e Congresso Indigeno si dichiarano "in attesa" di una nuova proposta che rompa l'impantanamento.

La crisi coincide con i primi 100 giorni di governo foxista. Il Presidente si giustifica: "Sto cercando di moderare voci molto rumorose in tutti i sensi".

Nei giorni che seguono, Yáñez entra ed esce dalla ENAH tentando, insieme con i perredisti, di rompere il blocco che mantiene sbarrata la sala plenaria agli zapatisti. Tra il PAN ed il governo federale, il rapporto s'incrina al punto che il segretario di Governo, Santiago Creel ed il leader del PAN, Luis Felipe Bravo Mena, rendono pubbliche le loro frizioni. Ma è Diego, il capo, che inalbera l'argomento antizapatista: "Se lasciamo che in questo paese si faccia, si pensi e si dica quello che vuole Marcos, povero paese!"

Intanto, l'EZLN sceglie attentamente come muovere i suoi passi nella città. Decide che il Politecnico, le tre sedi della UAM ed alla fine la UNAM, saranno lo scenario dei suoi incontri con gli abitanti della capitale. I suoi messaggi saranno, dunque, per i giovani, gli studenti. Nel frattempo alla ENAH, ogni notte si svolgono feste ed incontri: vicini, cittadini, sindacalisti, artisti. Il CNI, in assemblea permanente, decide che alcuni dei propri delegati tornino ai loro villaggi e che le comunità inviino rinforzi. I loro compiti sono molti: i valorosi di Nurío devono "abbassarsi" e mettersi in marcia.

Il braccio di ferro alla Camera continua e Fernández de Cevallos rincara: "Questa gente si copre il viso perché ha le mani sporche di sangue", dichiara il 18 marzo. Poi si dichiarerà offeso, in quanto Marcos lo ha fatto oggetto del suo sarcasmo.

AL CULMINE

Il 19 la situazione è a una svolta. Nonostante avesse affermato che gli zapatisti non se ne sarebbero andati da Città del Messico fino al raggiungimento del loro proposito di promuovere la Legge Cocopa, la comandancia dell'EZLN sferra un colpo di timone che sorprende tutti. Quel giorno si compiono sette giorni dalla prima lettera della Cocopa. L'attesa si è prolungata per una settimana e gli intrighi dei partiti politici paiono essersi persi nel loro labirinto.

Al mattino, i 23 comandanti si dividono in cinque gruppi ed ognuno partecipa e riunioni pubbliche in una decina di sobborghi semirurali del Distretto Federale. Lo scopo dei loro messaggi è denunciare "l'umiliante" trattamento che i legislatori vogliono riservare loro impedendogli l'accesso alla tribuna della Camera dei Deputati, la "casa del popolo" e ricordare che la loro missione è parlare con il Parlamento riguardo alla bontà della Legge Cocopa. Alle tre del pomeriggio, dalla ENAH, Marcos annuncia il ritorno in Chiapas della delegazione. "Non busseremo a nessuna porta per supplicare che ci ascoltino". Annuncia per il giorno 22 - c'è ancora un lasso di tempo di 48 ore - ci sarà una manifestazione di addio di fronte al palazzo di San Lázaro.

La stessa notte Fox ha un sussulto: "Si faccia la riunione con i parlamentari". Lo stesso giorno convoca d'urgenza la cupola panista ad una riunione a porte chiuse. E parla di "una lettera che sto inviando a Marcos", tentando di persuaderlo, ancora una volta, ad incontrarsi con lui. La lettera arriverà alle porte della ENAH due giorni dopo. Per l'ultra-imprenditoria torna a parlare Espina Reyes: "Ma chi è, Dio?".

La grande opportunità di riprendere la via del dialogo pare sfuggire dalle dita.

Il 21, con gli zapatisti che se ne stanno già andando da Azcapotzalco, Iztapalapa e Xochimilco, Fox decide di acconsentire al ritiro delle tre basi militari che ancora mancavano - Guadalupe Tepeyac, Río Euseba e La Garrucha. Dal municipio di Las Margaritas arriva la notizie che 200 soldati stanno lasciando la base di Río Euseba per tornare al 9° Reggimento di Cavalleria Motorizzata. Sebbene in alcuni giornali si parli con dissimulazione del "ritorno senza gloria" dell'EZLN, è evidente che a Los Pinos il repentino annuncio del ritorno degli zapatisti è analizzato con tutta serietà ed allarme. Non per niente. Si calcola "altissimo" il costo che il governo dovrebbe pagare se perdesse questo momento.

Nelle loro visite alle tre sedi della UAM i comandanti zapatisti parlano ripetutamente del razzismo che alimenta il rifiuto dei politici ad aprire le porte della Camera dei Deputati agli indigeni ribelli.

Giovedì 22 si apre uno scenario sorprendente. Migliaia di cittadini rispondono all'invito dell'EZLN di "mettiamoci insieme e diamo uno scossone alla storia" e si ritrovano ad un lato della Camera dei Deputati. All'interno, il leader del gruppo panista, Felipe Calderón, difende ancora con argomenti legali i pochi metri di terra vergine che rimangono nella sala plenaria. Il discorso della leader priista Beatriz Paredes alla fine fa oscillare la bilancia e con soli 20 voti di differenza, i deputati approvano una formula che permetterà agli zapatisti l'uso della tribuna in una riunione di lavoro con le commissioni degli Affari Costituzionali ed Affari Indigeni.

Per strada la notizia è accolta come una vittoria politica dell'EZLN - e lo è - ed in quel momento i comandanti riemergono con un tempismo scenico invidiabile. Al Senato il capo Diego ottiene una triste e compromettente vittoria: la Camera Alta non parlerà con gli indigeni zapatisti.

Quella notte, nella ENAH, Marcos riconosce: "Sembra che la porta del dialogo cominci ad aprirsi".

Gli zapatisti disfano gli zaini e cominciano a prepararsi per la giornata del 28.

PAROLA DI INDIGENA E DONNA

Il 24 la comandancia dell'EZLN, per voce di Zebedeo, risponde alla lettera di Fox che dà del tu a Marcos, dandogli del lei e dichiarando che a loro è stato rimesso il mandato, in quanto "siamo noi i veri capi della nostra organizzazione". Da quel momento si sarebbe potuto intravedere quello che sarebbe successo poi in Parlamento: che il subcomandante non sarebbe stato presente. Ma nel caso particolare degli zapatisti, i segnali più ovvi sono sempre ignorati.

Il PAN prende un'altra decisione compromettente: ordina ai suoi legislatori, compresi i membri della Cocopa, di non assistere alla riunione di San Lázaro. I deputati, nel frattempo, definiscono le modalità della giornata del 28 e nella ENAH gli zapatisti prendono in segreto le loro decisioni. Tra le altre, quella di prescindere, questa volta, dalla presenza del loro portavoce e stratega nella riunione del Parlamento.

Il giorno 28, poco dopo le 11 del mattino, le televisioni trasmettono in diretta la piccola immagine che si tendeva per raggiungere il microfono della tribuna nella Camera dei Deputati: "Il mio nome è Esther, ma adesso non ha importanza. Sono zapatista, ma anche questo ora non importa. Sono indigena e sono donna ed è questa la sola cosa che ora importa".

Lì culminava la marcia. Adesso sì che il Messico ha ascoltato il messaggio degli indios. Ed il pomeriggio stesso l'architetto Yáñez, tramite dell'EZLN con il governo federale, iniziava colloqui con il Commissario per la Pace Luis H. Alvarez ed il coordinatore di Alianza Ciudadana, Rodolfo Elizondo.

QUI COMINCIA UN ALTRO CAPITOLO

Bisognerà vedere come e che cosa negozieranno il governo di Fox e l'Esercito Zapatista per raggiungere l'agognato "accordo di pace", che modalità avrà il nuovo tavolo e, soprattutto, quali saranno i punti sostanziali del programma di dialogo. Riguardo a ciò, il comandante Tacho aveva anticipato, il 28 dalla tribuna, che "quando si chiuderanno i tavoli che ancora mancano riguardanti democrazia e giustizia, benessere e sviluppo, il tavolo speciale dei diritti della donna e sarà adempiuto quanto avremo concordato, noi diremo che allora il dialogo sarà concluso perché si saranno risolte le cause che hanno dato origine al conflitto nel 1994".

Bisognerà vedere come si svilupperà il movimento indigeno, come prenderà il suo posto in quel che chiamano un Messico multiculturale.

Bisognerà vedere come si conciliano gli interessi divergenti e le opposte visioni del mondo del Piano Puebla Panama e degli Accordi di San Andrés Larráinzar.

Perché tutto vada bene, resta la raccomandazione che la comandante Yolanda lanciava ogni volta che doveva prendere la parola durante la marcia zapatista: "Organizziamoci meglio!".


(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)



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