La Jornada - venerdì 6 luglio 2001

Il Piano Puebla Panama e la controriforma indigena

Gilberto López y Rivas

Le autonomie indigene, intese come spazi socioculturali locali e regionali a partire dai quali si possa costruire dal basso una nazione plurietnica e pluriculturale, si scontrano col gruppo oligarchico del nostro paese e con i loro programmi modernizzatori neoliberali. Il Piano Puebla Panama è l'esempio più recente di progetti che cercano un inserimento autoritario, discriminatorio ed escludente del Messico nel processo globalizzatore.

Questo piano è stato presentato dai governanti messicani e centroamericani come uno strumento per avviare lo sviluppo in questa regione, argomentando che il suo proposito fondamentale è trovare palliativi agli indici di povertà e di emarginazione esistenti, e cercare investimenti che oltre a generare posti di lavoro contribuiscano a migliorare il commercio via terra.

Nella parte giustificatoria di questo piano si commenta che la qualità della gestione pubblica dipende dalla "intelligenza ad adeguare le istituzioni, disegnare politiche e portare avanti azioni capaci di approfittare con creatività delle opportunità di sviluppo che offre la globalizzazione dell'economia mondiale". Con questo si pretende di subordinare il progetto nazionale a un processo globalizzatore che non è definito a partire dagli interessi e dalle necessità provenienti dai settori più ampi della società messicana.

I difensori del piano affermano che l'economia messicana è riuscita a incorporarsi attivamente nella nuova dinamica mondiale grazie ai trattati di libero commercio che il governo messicano ha firmato con l'America del Nord ed i paesi dell'Unione Europea e del Centroamerica, senza mettere in discussione le condizioni di disuguaglianza e disparità tra le nazioni partecipanti a detti accordi commerciali. Inoltre, da un lato si dice che grazie a questi trattati esiste "un innegabile sviluppo economico e sociale", mentre nello stesso momento si riconoscono le grandi disparità tra alcune regioni. Così, oltre a confondere crescita e sviluppo economico, si pretende di ovviare alla disparità delle zone più povere del Messico e del Centroamerica con lo stesso modello economico che hanno stabilito gli accordi commerciali menzionati.

Quelli che hanno elaborato il Piano Puebla Panama omettono di menzionare che il Messico nell'ultimo decennio ha sofferto un incremento considerevole del numero di persone che è passato a ingrossare l'indice di estrema povertà. Dai 20 milioni di poveri esistenti nel 1994, il numero si è duplicato a 40 milioni nell'anno 2000. Però questa situazione non preoccupa il governo federale, tranne che per la possibilità che povertà e emarginazione generino conflitti sociali.

Nel contesto del Piano Puebla Panama i popoli e le comunità indigeni sono considerati come mera forza di lavoro suscettibile di essere sfruttata dai grandi consorzi del capitale nazionale e trasnazionale che hanno i loro interessi nella "prosperità" dei futuri investimenti nella regione.

Oltre a provocare un maggior impoverimento dei settori più umili della popolazione, un piano economico di questa natura porterà come conseguenza la sostituzione delle oligarchie locali e di quelle caciquil con oligarchie finanziarie economicamente potenti.

Secondo il governo federale, il Piano Puebla Panama potrebbe generare "nuove politiche pubbliche per lo sviluppo umano nella lotta contro la povertà e la promozione degli investimenti e dello sviluppo produttivo, la realizzazione d'investimenti strategici in infrastrutture che permettano alla regione di comunicare meglio e di approfittare delle potenzialità iscritte nei trattati di libero commercio del Messico, una nuova politica di prezzi e tariffe di beni e servizi prodotti dal settore pubblico e programmi per l'assicurazione della sostenibilità ambientale della crescita economica".

Però se queste fossero realmente le intenzioni genuine del piano, non si spiegherebbe perché ha generato da parte del governo federale e del Parlamento dell'Unione la rottura del dialogo con l'EZLN imponendo una legge indigena che vulnera la lettera e lo spirito degli accordi di San Andrés. Se realmente si volesse lo sviluppo dei popoli e delle comunità indigeni si sarebbe accelerata l'approvazione della legge Cocopa. Però non è stato così, tra l'altro perché la sua approvazione generava grossi ostacoli al progetto di sviluppo regionale contemplato nel Piano Puebla Panama. Il fatto che popoli e comunità indigeni possano decidere attraverso le loro autonomie sull'utilizzazione delle risorse naturali, delle comunicazioni e dei governi locali, non è compatibile, assolutamente, con il progetto dello sfruttamento di risorse naturali su scala enorme, dell'apertura di superstrade e telecomunicazioni.

Il panorama per l'EZLN ed i popoli indigeni è minaccioso. Per loro il Piano Puebla Panama potrà portare in modo effimero posti di lavoro, però alla lunga si convertirà in un bastione in più dell'esclusione che ha caratterizzato il modello economico che ci dirige. In cambio, per il governo federale il piano significa l'opportunità che il Messico dei grandi impresari si inserisca come forza egemonica di Centroamerica nella globalizzazione. Con gli sviluppi regionali, la sovranità definita come la facoltà di un popolo di farsi le leggi e di autogovernarsi, svanisce per far passare avanti dei poteri economici sempre più slegati dagli interessi quotidiani della maggioranza della popolazione, e particolarmente dei popoli indigeni.

lopezyrivas@yahoo.com


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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