El Pais - 6 aprile 2001

Marcos e Fox sfidano il destino

SAMI NAÏR

Sami Naïr è un euro-parlamentare del Partito Socialista francese

Il 2 giugno del 2000, giorno della elezione di Vicente Fox, candidato del Partito di Azione Nazionale (PAN) alla presidenza della Repubblica, la storia è tornata ad aprirsi di colpo: la pace in Chiapas poteva tornare ad essere un obiettivo ragionevole. Gli zapatisti lo hanno capito. Dal giorno dell'insediamento del nuovo presidente, Marcos e l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) hanno proclamato la loro volontà di dialogo ed annunciato una marcia pacifica a Città del Messico per essere ascoltati nel Congresso. Non aveva forse detto Fox che una volta eletto avrebbe fatto la pace in "15 minuti"?

Nel fondo del litigio c'è il Chiapas. E nel fondo del Chiapas c'è il "sole nero" della condizione degli indigeni; vale a dire, tutta la tragedia dell'America Latina. Grazie al gesto mediatico di Marcos, la ricerca della dignità da parte degli indigeni è diventata una rivendicazione conosciuta da tutti. Un terzo della popolazione del Chiapas è di origine maya; inoltre il Chiapas dispone di importanti risorse idroelettriche, di petrolio e di gas. Una struttura territoriale molto complessa va di pari passo con i tradizionali latifondi. Dal punto di vista militare, la regione ha sofferto un ribaltamento negli ultimi sette anni. Nel 1994 c'era soltanto qualche guarnigione. Oggi, tutto il Chiapas è controllato, circondato, soffocato. Non c'è villaggio che non sia sotto vigilanza militare. C'è un soldato ogni nove abitanti. Questa presenza armata porta allo sviluppo della prostituzione, della violenza, di ogni tipo di traffico e lascia campo libero alle milizie paramilitari che terrorizzano le comunità sospettate di sostenere la causa degli zapatisti.

Marcos, il "subcomandante" mascherato, il cui volto è tanto anonimo quanto mondialmente conosciuto, ha tirato fuori tutta la forza e tutto il senso della lotta di queste terre. La sua genialità è stata quella di comprendere che nell'epoca delle identità il ritirarsi era la trappola più nefasta, che la lotta per la riconquista della singolarità degli indigeni poteva avere successo solo passando anche attraverso la lotta per l'uguaglianza di tutti e che l'una e l'altra implicano il rigetto dell'omogeneizzazione inerente alla mondializzazione liberale. "Vogliamo essere cittadini come tutti gli altri, vogliamo far parte anche noi del Messico": questo approssimazione ugualitaria ha come bersaglio sia i ricchi proprietari di terre abituati ad usare gli indios come mano d'opera schiava, sia coloro che sognano di vederli confinati nelle riserve, impotenti, tenuti in uno stato di semi-cittadinanza al margine del mondo dei bianchi.

Dopo più di sei anni di resistenza non violenta, alla fine del febbraio del 2001 si è inaugurata una nuova fase, con la marcia a Città del Messico.

Alcuni mesi prima, ho ricevuto una lettera di invito da Marcos per assistere come "testimone" all'udienza degli zapatisti nel Parlamento. Diceva: "Non le chiediamo di fare da eco alla nostra lotta, ma di aiutarci ad essere ascoltati. Perché il legislatore ha il dovere di ascoltare, tanto in America come in Europa. Ed è quello che chiediamo: che coloro che hanno la grande responsabilità di elaborare le leggi ci ascoltino attentamente ". Solo che il Parlamento riceve Marcos a denti stretti. Curiosa atmosfera quella del Messico, dove Fox si dichiara favorevole al dialogo, mentre i deputati si rifiutano di ascoltare gli zapatisti.

In effetti, il presidente Fox ed il suo ministro degli Interni, Santiago Creel, vogliono arrivare ad un "accordo di compromesso", dato che si confrontano con una resistenza molto forte in seno al loro stesso partito e nell'Esercito. Però, che tipo di compromesso? "Incontriamoci, discutiamo", insiste Santiago Creel, che sapeva che sarei andato ad incontrare Marcos il giorno dopo. Perché, altro paradosso, non esiste alcun contatto in senso stretto tra il quartier generale degli zapatisti ed il Governo. Marcos ha respinto ogni tipo di colloquio fino a quando non vengano dati i segnali richiesti. L'unico collegamento è il suo rappresentante, l'architetto Fernando Yáñez, che li rappresenta presso la Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa). Ma Yäñez discute la legge, nient'altro che la legge.

Marcos spiega così il suo rifiuto ad avere contatti segreti: "Quello che chiediamo è di dominio pubblico. Speriamo che il Governo risponda chiaramente ai tre segnali e che i deputati decidano di riceverci. Dopo, tutto è possibile".

Ma i deputati del PAN continuano a sollevare ostacoli.

Io informo Marcos che, verso la fine del pomeriggio, sarò ricevuto dal Presidente del Parlamento, Ricardo García Cervantes. "Credi - mi chiede allora - che io possa sollecitare che riceviate una delegazione zapatista al Parlamento Europeo per illustrare la nostra causa?". È la battuta che trasforma l'incontro in un avvenimento.

Viene convocata una conferenza stampa. L'annuncio solleva molto scalpore.

Il Parlamento Europeo si trasforma immediatamente, per alcuni giorni, in un elemento supplementare in questo braccio di ferro. Ma una strana lentezza permette l'affiorare di pregiudizi, contrattazioni, calcoli miserabili.

Jorge Castañeta, il brillante ministro degli Affari Esteri di Fox, assicura: "Non vedo alcun inconveniente a chiamare una delegazione zapatista davanti al Parlamento Europeo. E sono convinto che troveremo una soluzione per uscire da questa situazione di stallo".

Ma la guerra del tempo continua.

La risposta arriverà soltanto tre giorni dopo, da Marcos: "Si rifiutano di riceverci in seduta plenaria? Ce ne andiamo, torniamo nelle nostre selve, pacificamente ma non sconfitti. Ce ne andiamo domani!".

È come un tuono. Il presidente Fox reagisce immediatamente: annuncia la liberazione di tutti i detenuti, la ritirata dell'esercito da Guadalupe Tepeyac, chiede che gli zapatisti ed i delegati della unione delle popolazioni indigene vengano ascoltati dal Parlamento.

Marcos lo approva. Finalmente Fox si è deciso. L'incontro ha luogo mercoledì 28, nel Parlamento, davanti ad un centinaio di deputati, soprattutto del Partito di Rivoluzione Democratica (PRD) e del PRI. I rappresentanti degli elettori del PAN hanno votato contro la proposta. La sessione è storica. Marcos è assente. È la comandante Esther, indigena col viso coperto, che difende le posizioni degli zapatisti. Sottolinea, tra le altre cose, che è la prima volta in 500 anni di storia che gli indigeni possono esprimersi di fronte ad una autorità istituzionale, che il razzismo è il principale ostacolo per l'emancipazione sociale e l'integrazione nazionale, che gli zapatisti non vogliono né la secessione, né l'indipendenza, che l'autonomia nell'ambito dello Stato Federale non deve essere attuata a danno di quest'ultimo, e proclama infine l'apertura del dialogo ufficiale con il Governo, con la mediazione dell'architetto Yáñez. "Viva il Messico!", ripete tre volte. Il dibatto che segue per quattro ore non trascura nessuna questione.

La sessione si conclude con i deputati e gli zapatisti che intonano, insieme, l'inno nazionale messicano.

La storia del Messico ha appena dato una svolta. La riunione si realizza tra il processo di mediazione svolto da Fox ed il processo d'integrazione nazionale richiesto da Marcos. Fox ha pochi alleati. Il suo partito, il PAN, non lo ha seguito. Corre il rischio di neutralizzarlo quando sarà il momento di affrontare gli immensi problemi che sorgeranno nei governi federali per l'applicazione della legge. Però Fox sa che ormai la questione indigena non può più essere evitata.

Marcos, dal canto suo, chiede che l'autonomia territoriale nello Stato Federale venga posto al servizio dei più umili.

Infatti, in questa battaglia, non ci debbono essere né vincitori né vinti. In questa battaglia, chi perde per non aver vinto contro l'altro, vince per aver perso per colpa dell'altro. Marcos definisce stupendamente, ancora una volta, questa dialettica della riconciliazione. Dice infatti: "Lo zapatismo è un movimento sociale che, di fronte alla possibilità della lotta armata, ha optato per il dialogo e per il negoziato. Finora, ha perso. Nel caso di movimenti di rivolta, vince chi non muore, chi persiste, non chi vince. Per quanto riguarda il Governo, può vincere soltanto se annienta l'avversario. Però è una guerra di lunga durata, durante la quale il terrorismo può giungere nella via in cui abiti, nella tua casa, dal tuo televisore... È grave per la nazione e oso dire che è grave per il mondo intero. Perché ciò che sta in gioco qui non è soltanto la legge sugli indigeni, non è solo il successo mediatico di Fox o l'indice di popolarità di Marcos, di ciò che rappresenta o meno come simbolo, come mito, come leader sociale o come futuro dirigente della sinistra. Ciò che qui è in gioco è la stessa possibilità di una soluzione del conflitto. Andiamo a sederci al tavolo delle negoziazioni e facciamo in modo che ci dimentichino dicendo: aiutateci a perdere. Ciò che stiamo dicendo a Fox e soprattutto al Parlamento è proprio che ci aiutino a perdere. Se abbiamo successo in questa mobilitazione pacifica, che senso hanno le armi per l'EZLN o per i movimenti armati? Però non vogliamo ripristinare le sconfitte del passato. Non vogliamo dare a questo paese un altro eroe vinto nella nostra lunga storia di sconfitte. Vogliamo scomparire". Per rinascere?

L'interpretazione logica della dinamica non violenta scatenata nel lontano 12 gennaio del 1994 può trovare oggi sbocco in una progressiva istituzionalizzazione della rivendicazione di uguaglianza da parte degli indigeni. Si profila quindi un movimento che aiuterà a democratizzare il Messico. Qualunque cosa succeda, con la scommessa per la pace che è appena stata fatta, resta chiaro che il presidente Fox ed il subcomandante Marcos hanno saputo, unicamente grazie al merito della loro fede, sfidare un destino di ferro. Auguriamoci che la solidarietà internazionale non venga mai meno intorno a questa lotta contro il razzismo ed in favore dell'uguaglianza!


(tradotto da Beppe Costa)



logo

Indice delle Notizie dal Messico


home