La marcia della dignità indigena è arrivata alla terra di Emiliano Zapata

Moltitudinaria accoglienza in Cuernavaca e Tepoztlan

Gli insurgenti non si arrendono né si vendono: non perderemo!

Martedì, 6 Marzo 2001

La dirigenza zapatista ha chiamato oggi alla mobilitazione di tutto il paese perché il Parlamento Messicano approvi la legge su diritti e cultura indigeni. Ha chiesto pure agli abitanti di questa regione, culla di Zapata, che ha nominato comandante supremo dell'EZLN, che li accompagnino domenica prossima nella loro marcia di entrata nella capitale del paese.

I delegati ribelli hanno ribadito ancora una volta che se il Governo di Vicente Fox vuole dialogare, per prima cosa dovrà rispettare le tre richieste, però "dovrà essere un dialogo serio e autentico, in cui si applichi ciò che si firma. Noi sappiamo rispettare la nostra parola".

Al mattino, la carovana della dignità è partita da La Pila, Stato del Messico. Alla sua partenza, la gente aspettava gli zapatisti di oggi al lato della strada, alcuni gridando e altri mostrando striscioni e poster con scritte di appoggio all'EZLN. Vari operai salutavano da camionette situate alle fermate per andare nelle maquiladoras, che hanno alterato tutto il circondario e la vita di Tianquistenco, e che fanno ondeggiare la bandiera statunitense accanto a quella messicana. I bambini fuori dalle scuole gridavano e i vicini si affacciavano alle porte o alle finestre, salutavano con la mano il passaggio degli autobus.

Da qui fino a Tepozotlán, passando per Cuernavaca, la marcia zapatista è stata acclamata da moltitudini. Al grido di "L'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale non si arrende né si vende" si è dato inizio alla permanenza della dirigenza ribelle nello stato di Morelos.

Nel primo atto di questa nuova tappa del percorso, i comandanti Tacho, Zebedeo e David, accompagnati dal Subcomandante Insurgente Marcos, hanno posto un'offerta floreale davanti al monumento a Emiliano Zapata, che sta di fronte alla 27° Zona Militare di Cuernavaca.

Qui, a Cuernavaca, il comandante Tacho ha affermato: "Abbiamo bisogno di una democrazia per tutto il tempo e non solo per quando ci sono le elezioni. Noi non vogliamo auto né negozietti, solo un luogo per vivere degnamente, con democrazia e pace".

A quel punto, il comandante Zebedeo ha detto: "È rimasto indietro il tempo in cui dovevamo inginocchiarci. Sono panzane quelle di Fox quando afferma che Messico è già cambiato". Ha parlato della lunga lotta degli indigeni e dei contadini per la terra. Ha messo in discussione la riforma salinista dell'articolo 27 della Costituzione: "é così che hanno depredato gli indigeni ed i contadini". Ha aggiunto che "questa riforma ha portato la decomposizione degli ejidos, il divisionismo, l'individualismo. Ha leso l'unità e l'organizzazione. Noi zapatisti, ci siamo resi conto di questa bugia, di questo inganno e perciò abbiamo preso la decisione di lottare e di affrontare la morte, prima di morire di fame".

Nella Piazza delle Armi di questa città, ricolma di circa sette mila persone che hanno sopportato il sole ardente per ore, a sua volta Marcos ha aggiunto: "Questo Fox vuole fare lo stesso che Madero: che non cambi niente". Ha dichiarato: "Non ci adatteremo a dei cambiamenti per finta. Ci siamo riproposti di mobilitare tutto il paese".

Nella piazza centrale di Cuernavaca, di fronte alla statua del generale José María Morelos, migliaia di persone aspettavano l'arrivo degli insurgenti chiapanechi. C'è stato un pieno totale e un ambiente caloroso nell'accoglienza di una società informata e formata da una storia di lotta alternativa che con la voce di una donna della società civile ha fatto un resoconto dei settori - indigeni, contadini, sindacati di elettricisti, insegnati, telefonisti, accademici nel campo della salute e gruppi di studenti e ONG - che davano il benvenuto ad un movimento che continua ad accumulare forze man mano che passano i giorni.

Riferimento obbligato in questa regione è stato Emiliano Zapata. Il subcomandante Marcos ha letto "una lettera" del generale in capo dell'Esercito di Liberazione del Sud scritta per l'occasione.

Avrebbe scritto Zapata: "Scusatemi se sono stato assente dal nostro caro stato per qualche tempo. Le ingiustizie che viviamo in Morelos quando ci alziamo in armi continuano e si ripetono in tutto il paese. Nel mio lungo viaggio per la Repubblica mi sono fermato a lungo nelle montagne del sudest messicano ed è lì che ho conosciuto alcuni fratelli e sorelle indigeni come noi, contadini come noi, e messicani come noi. Questi fratelli e sorelle hanno dimostrato molta volontà di lottare per i loro diritti ed hanno formato un esercito che hanno chiamato di nome zapatista in onore di questo umile servitore e gli hanno dato per cognome, di liberazione nazionale, come segno della loro aspirazione a che tutti noi messicani abbiamo alla fine ciò che meritiamo, che necessitiamo e vogliamo: la libertà, la democrazia e la giustizia".

Marcos ha continuato la lettura del messaggio del Generale in Capo dell'Esercito di liberazione: "Sono stato a vivere con loro in un villaggio che si chiama Guadalupe Tepeyac nell'esilio. Lì vivono male centinaia di uomini, donne, bambini e anziani, indigeni tojolabales. Tutti sono zapatisti, e sono lì perché il loro villaggio è occupato dalle truppe dell'Esercito federale, al cui comando c'è Vicente Fox. Questa gente dell'EZLN vuole la pace ed è disposta al dialogo. Però non si può dialogare se ci sono detenuti, se i pelones federali espellono la gente dalle loro case ed occupano i loro villaggi. Se ciò che si accorda non si adempie. A me pare che abbiano ragione e sia giusto appoggiarli. Io vedo che questo Fox vuol fare la stessa cosa che ha fatto Madero. Che dopo la dittatura voleva che tutto rimanesse uguale. Ossia, che non cambiasse niente. Madero non ha capito che la gente sì era cambiata e che non era disposta a che tutto continuasse uguale. Al Fox, succede lo stesso".

Alla fine dell'atto, ha preso la parola un reduce dell'Esercito di liberazione del Sud, un uomo di 102 anni d'età. Si è rivolto alla delegazione dell'EZLN e le ha inviato un messaggio di incoraggiamento. Ore prima, il convoglio aveva attraversato le montagne che separano la valle di Toluca dalla valle di Cuernavaca, la zona boscosa di Malinalco e Chalma dove, da maggio a settembre del 1913, l'esercito di Zapata preparò la campagna per Città del Messico, la cui organizzazione era a carico del generale zapatista Angel Barrios, un giovane ingegnere che si iniziò nella lotta con Ricardo Flores Magón.

Circa alle sei del pomeriggio la marcia del colore della terra ha ricominciato il suo passo, direzione la città di Tepoztlán. Al suo arrivo in queste terre rase al suolo dall'esercito federale durante la rivoluzione messicana, la delegazione dell'EZLN è stata ricevuta da migliaia di abitanti del Morelos, che hanno manifestato il loro appoggio con un entusiasmo straripante. Di fronte ai tepoztecos, con alla testa Félix Serrano Nájera, un vecchio militare che appartenne alle file di Rubén Jaramillo, Marcos ha spiegato l'origine del suo nome di battaglia.

Il subcomandante Marcos ha parlato del personaggio: "Marcos non esiste, non c'è, è un'ombra, è la cornice di una finestra. Voi state vedendo che dietro di me ci sono i miei compagni comandanti, i miei capi, allora dovete mettervi dall'altro lato, dal lato delle comunità e rendervi bene conto che li vediamo proprio al contrario, loro sono prima di noi".

Questa finestra, ha detto, "vorremmo che servisse perché voi vi affacciate su ciò che siamo noi, su ciò che c'è dietro di me e dietro i nostri comandanti: i popoli indigeni, e tutta la situazione d'ingiustizia, di povertà, di miseria".

Ha aggiunto: "è anche una finestra perché guardino dall'altro lato le comunità indigene, si affaccino e vedano voi. Perché vedano che la bontà e la malvagità non ha niente a che vedere con la lingua o con il colore dei occhi".

"Tanta visione, o tanta angustia o tanta pressione su ciò che è alla fine un passamontagna vuoto", ha detto, "è semplicemente una cattiva illuminazione della nostra lotta. Però noi vogliamo chiedervi una cosa, pure con una adeguata illuminazione, una cornice di una finestra si può trasformare pure in uno specchio. Sono sicuro che se fissate bene riuscirete a vedere voi stessi. E questo è ciò che vi vogliamo chiedere. Noi siamo voi, io sono tu. Questo è quello di cui vogliamo che vi rendiate conto".

Ha chiesto anche di modificare i libri di testo affinché "questa giornata di lotta appaia con una riga in bianco dove presto questa lotta ha vinto e ha trionfato grazie a:... una riga, e vi chiediamo che ciascuno di voi scriva il suo nome e che così insegnate la storia a vostri figli piccoli e a tutte le generazioni che verranno".

"Il silenzio che siamo coloro che colore della terra siamo, è stato rotto. Sopra i suoi pezzi ci siamo alzati. Non è in gioco la possibilità di tornare ad essere quello che eravamo e non siamo. Neanche quello in cui ci convertiamo. Ciò che è in gioco è se si riconosce o no il posto che già abbiamo e in cui siamo. È la possibilità di essere con tutti e non sotto gli altri. Non importa il piccolo noi che del gran noi siamo, importano tutti, quelli che fanno leggi e quelli che le legittimano, noi, quelli che fanno la storia e quelli che la scrivono".

Prima di cominciare il presidio, un gruppo di donne e anziani hanno acceso delle candele e hanno dato collari di fiori ai delegati. Dopo hanno fatto una cerimonia bruciando copal e con musica antica nahuatl.

Hanno anche parlato altri zapatisti. Il comandante Omar ha difeso l'autonomia indigena e i diritti consacrati nell'iniziativa della Cocopa. Da parte sua, il comandante Isaías ha segnalato che con questo viaggio noi indios ribelli del Chiapas "andiamo a richiedere al Parlamento che applichi i diritti indigeni, non andiamo a chiedere perdono, neppure vogliamo elemosine, ma i nostri diritti come messicani".

[fonte: EZLN al DF - http://www.ezlnaldf.org]


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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