LA JORNADA - SABATO ¤ 3 ¤ MARZO ¤ 2001

"Non sono lo stesso e mi aggrada / adesso conosco la dignità", cantico in Acámbaro

Mentre narcotrafficanti e banchieri sono liberi, il governo mette in carcere i pescatori : Marcos

Abitanti di Pátzcuaro, perseguitati dal governatore, chiedono che si dia loro una mano

HERMANN BELLINGHAUSEN INVIATO

Acambaro, Gto., 2 marzo - "La cosa migliore di noi è che siamo milioni che vogliamo cambiare il mondo". Né più né meno, così esordisce, questa mattina, il comandante Zebedeo di fronte alle migliaia che inondano la piazza della "culla di Guanajuato".

"Questa delegazione non porta soluzioni. La soluzione sta nel lavoro e nella organizzazione del popolo povero", prosegue il comandante tzeltal, che aveva iniziato la sua partecipazione in tono burlesco: "Ogni16 di settembre, dai luoghi in cui si progetta la sparizione del Messico, si grida (e Zebedeo si sgola) 'Viva il Messico', 'Viva l'indipendenza'".

Alla sinistra del palco dove la delegazione zapatista condivide lo spazio con i chichimecas che rimangono, otomíes e meticci orgogliosi di esserlo e di avere radici indigene, si può vedere la facciata della chiesa francescana di Acámbaro, dove si cantò il te deum solenne per la nomina a generalissimo della nazione di signor Miguel Hidalgo y Costilla il 22 ottobre del 1810, come segnala una targa nera sulla facciata.

"L'EZLN nello stato di Fox" è un leit-motiv tra gli osservatori, però i guanajuatensi riuniti, a loro volta, proclamano: "Guanajuato non è Fox". Fra tutti, quello di Acámbaro è l'incontro più forte di questa marcia indigena con i meticci messicani.

Questo sarà il luogo dove il subcomandante Marcos parlerà di quel "complesso bilancio di sistemi che è la cultura", in un testo che serve da presentazione e dà risposta alla sublimazione degli indigeni, che imbarazza buona parte del pubblico e alcuni oratori che precedono i delegati zapatisti al microfono.

Però il cammino riservava altre sorprese.

Nelle terre del PRD

Poco dopo, l'EZLN sarà in Michocán, ai cui confini, lungo la strada, lo aspettano il senatore Lázaro Cárdenas Batel e altri dirigenti perredisti, che si uniscono alla carovana nel suo viaggio verso Nurio. In Zinapécuaro, la carovana si ferma per partecipare al primo incontro di benvenuto propriamente perredista da quando è iniziato il viaggio.

Sopra il rimorchio del camion, che funge da palco, c'è così tanto affollamento di fotografi, di molta gente venuta a Zinapécuaro per conoscere il subcomandante Marcos, che si riesce solo ogni tanto a vedere il fumo della sua pipa.

L'oratore locale approfitta per "chiedere a Marcos che dia una mano" ai pescatori del lago di Pátzcuaro, attualmente perseguitati dal governatore Víctor Tinoco, e per affermare, circondato da bandiere gialle del PRD e striscioni in onore dell'EZLN: "Oggi tutti siamo la lotta zapatista".

Proseguendo la loro marcia per il territorio michoacano, gli zapatisti incontrano un altro presidio di benvenuto, che li aspetta dopo mezz'ora di pioggia. Lì, in uno dei momenti più inquietanti del percorso, ai piedi di una monumentale statua del generale Lázaro Cárdenas del Rio, la moglie di Aurelio Guzmán scoppia in lacrime di fronte a Marcos. Aurelio è stato condannato a 20 anni di carcere per aver difeso i diritti dei pescatori.

"Stanno distruggendo la mia famiglia. Lei è l'unica speranza che ci resta", gli dice. Fra il pubblico, qualcuno grida: "Fai qualcosa, Marcos". E la donna, guardandolo con aria supplice un passo sotto la scalinata del monumento, lo chiama: Tata Marcos.

Un po' inquieto, forse a disagio, il subcomandante Marcos saluta i michoacani, "in special modo i nostri fratelli pescatori", e legge un messaggio scritto a mano: "Sappiamo della eroica lotta che state portando avanti". Si riferisce alla "repressione del governo federale di Vicente Fox", che fa vivere nell'incertezza i pescatori purépechas.

Aurelio Guzmán e Leocadio Asunción Amaya sono stati già condannati, con gravi accuse, e si sono trasformati nei primi detenuti politici dell'era foxista.

Marcos approfitta del passaggio nelle terre michoacane per alludere, per la prima volta, al narcotraffico, dato che "mentre i narcotrafficanti e i banchieri sono liberi, il governo ha messo in carcere due pescatori".

Non era un atto programmato, però piuttosto prevedibile qui, nella città dove nacque l'indigenismo messicano intorno al 1940. "Il governo non ammette che voi conosciate il lago meglio di lui" e non può evitare di riconoscersi nel loro problema: "voi siete disposti a dialogare (il problema del veto sul lago) se libererà i detenuti".

Adesso che Vicente Fox "dice di avere le braccia aperte", si commette questa azione ignobile contro gli indigeni. "Non può essere tanto falso. Deve liberare quei detenuti, e allora potrà dire che vuole la pace".

Dopo aver ricevuto il bastone del comando della nazione purépecha, così come un cappello da pescatore e una ciotola di rame, il subcomandante Marcos consegna alla moglie di Aurelio un messaggio scritto su un foglio di quaderno, che ella piega e conserva nel petto. Gli zapatisti sono arrivati nelle terre fredde e piovose.

Terminato l'atto di Pátzcuaro, a cui partecipano alcune migliaia di persone, la carovana prende la direzione di Paracho e, dopo aver salutato un altro migliaio di persone alla periferia di Uruapan, arriva alla prima delle sue due destinazioni del viaggio: il terzo congresso del CNI, nella comunità purépecha di Nurio.

In Nurio, ad aspettare i 23 comandanti e un subcomandante, c'è già donna Amalia Solórzano de Cárdenas, amica di lunga data degli zapatisti, che li ha accompagnati nei loro tentativi per arrivare alla pace che tanto desiderano.

Arrivo zapatista... il giorno dopo

Prima di immergersi nei lavori della più importante riunione indigena di questi anni e senza dubbio la principale del CNI che si sia fatta fin dalle loro origini, la delegazione zapatista ha incontrato nel cammino, come ricordo singolare, una manifestazione del Messico meticcio in Acámbaro, dove le radici indigene ancora non si sono affievolite.

Le comunità indigene di Amoles e Cortázar condividono lo spiazzo con i barzonisti della Valle di Santiago e con la Unione Contadina Democratica, che proclama un "siamo realisti, chiediamo l'impossibile". Sono presenti anche l'Unione Civica Salamantina e gli indigeni della sierra Gorda.

Questa piazza aveva atteso ieri, ugualmente gremita, gli zapatisti e la folla si era dispersa solo quando era arrivata la notizia dell'incidente in San Juan del Rio, che ha comportato un giorno di ritardo. Quando i comandanti sono arrivati finalmente questa mattina, un uomo ha cantato per il loro ingresso un corrido che dice che, dopo la sollevazione zapatista, "Non sono lo stesso e ne son contento/ Adesso conosco la dignità".

A nome delle organizzazioni civili e del Gruppo Civile di Acámbaro, Rodrigo Ibarra si è pronunciato contro il neoliberismo che distrugge la solidarietà collettiva: "Qui siamo, siamo messicani" e parla sull'identità.

In seguito il signor Aurelio Quevedo, rappresentante della Missione Chichimeca, ha dichiarato della 'direzione': "La domanda - da dove vengo? - è stata elaborata da tutti i popoli del mondo e serve per sapere dove andiamo e dove siamo".

Si riferisce alle origini huamanes (chichimecas), otomíes e purépechas, che sopravvivono nei nomi di queste terre, e quindi al "crogiolo ispanico", fino a dichiarare qualcosa che alcuni anni fa sarebbe suonato insolito: "Non ci vergogniamo di essere meticci".

"Acámbaro ha visto come si distruggono gli indigeni. Non vogliamo vedere lo stesso dalle altre parti del Messico. Gli indigeni mostrano il cammino della generosità e della solidarietà", prosegue per poi concludere: "indigeno non è riconoscere un antenato morto, ma riconoscere l'unità organica del nostro essere messicani".

Il signor Aurelio Quevedo, a nome delle comunità originarie di queste sierre rocciose e secche, ricche di storia, parla di brocche piene di siccità, di pietre grezze e di cielo selvaggio, e nomina la vegetazione di questa dura terra: cazahuates, carambuyos, mezquites e biznagas. "Sono pochi i chichimecas, però grandi" dice "dal Gran Tunal alla Chichimeca".

"Il nostro lavoro è bello. Bisogna vedere e contare quello che ci resta" e si rivolge agli zapatisti: "il più bel regalo al Messico lo avete fatto voi, con i vostri fucili di legno e le vostre bombe di parole".

Il subcomandante Marcos chiude la lista degli oratori condividendo con l'auditorio: "Noi sappiamo perfettamente che Guanajuato non è Vicente Fox" (e un "duro, duro, duro" sale dalla moltitudine). Quindi fa un riconoscimento a Carlos Martínez Pérez, poliziotto federale preventivo che ha perso la vita nell'incidente di San Juan del Rio.

Di fronte a migliaia di guanajuatensi, Marcos parla dei popoli cacciatori, dell'arco e della freccia, che non sono la stessa cosa. "I nostri avi ci hanno insegnato che nella vita del popolo c'è chi si prende l'incarico di procurare il cibo" e la vita in comunità "non era solo all'interno del collettivo umano, ma includeva le cose, le piante e gli animali".

Il subcomandante Marcos afferma che il riconoscimento dell'esistenza indigena passa attraverso la realizzazione di un "mondo dove siamo come siamo" e "siamo sopra le spalle del ieri che siamo stati".

Poco prima, il comandante Zebedeo spiegava il perché di questa carovana della dignità indigena: "Stiamo già lasciando la nostra parola nel cuore dei popoli. La storia del nostro generale Emiliano Zapata è rimasta in sospeso. Messico ha bisogno di noi. Che ci restituiscano l'indipendenza tradita".


(tradotto dal Comitato Chaiapas di Torino)



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