La Jornada - lunedì 2 aprile 2001

"Siamo un poco contenti", dicono di fronte a migliaia di toztziles, choles e tzeltales

Nebbia, musica e coriandoli, al ritorno dei delegati zapatisti a Oventic

23 comandanti e un subcomandante rendono conto della marcia per la dignità

L'incarico è stato compiuto e la voce indigena è arrivata al Parlamento

HERMANN BELLIGHAUSEN INVIATO

Oventic, Chis., 1° aprile - Il mare di volti incappucciati che copre tutta la spianata dell'Aguascalientes II brilla di molti colori per le strisce colorate dei sombrero, per i huipil rossi e viola, per gli scialli blu e azzurri. La musica e i coriandoli sono già pronti quando arrivano i 23 comandanti e un subcomandante, che hanno concluso la marcia della dignità indigena con risultati che li hanno fatti "un poco contenti". La nebbia non riesce a tappare la banda di sette chitarre, due fisarmoniche e una buona quantità di donne che agitano in alto maracas di acacia e riesce ancor meno a occultare il vocio che sta aprendo il passo davanti alla delegazione che ritorna.

Il comandante David è appena arrivato dopo 35 giorni di assenza e sta già dando istruzioni perché si apra il passo alla delegazione e al CNI. Però la festa è già pronta, rimangono solo pochi gli ordini da aggiungere. Sono riuniti a migliaia gli tzotziles di Los Altos, oltre ai choles della zona nord, che risaltano perché non hanno costumi tradizionali e per la loro forte presenza. Ci sono anche gli tzeltales della selva.

Per il subcomandante, devono essere sette anni che non tornava ad Oventic, da dove se n'era partito nel febbraio del 1994 per andare ai dialoghi nella cattedrale, con quel governo a cui l'EZLN aveva dichiarato la guerra alcune settimane prima. In La Ventana, un gruppo di casupole ai piedi di Chamula, si era incontrato con il commissario Manuel Camacho Solís, prima di arrivare alla sede di quel primo dialogo, con gli scarsi risultati che si conoscono. Dopo, Marcos si internò nella Selva Lacandona. Adesso viene di ritorno da un compito che gli avevano dato loro, i "comandanti capi", coloro che incarnano quelle basi d'appoggio che in gran numero lo ricevono questa sera.

Le stesse che lo hanno salutato l'ultima notte del 1993 quando, allora sì, lo avevano mandato in guerra. Un mese fa era partito da La Realidad, il 23 febbraio, con l'incarico di guidare il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno fino alla tribuna del Congresso dell'Unione. Oggi ritorna con l'incarico compiuto. Un paio di ore prima, la delegazione zapatista aveva dato per conclusa la sua marcia di 6 mila chilometri nel suo punto di partenza, San Cristóbal de Las Casas.

Al suo arrivo ad Oventic, i comandanti ed il subcomandante si vedono stanchi, però tra gli abbracci degli tzotziles sembra man mano alleggerirsi il loro passo fino ad entrare nell'auditorio Emiliano Zapata, locale ampio, molto illuminato, dove vari gruppi di indigeni li aspettano. Due donne girano intorno a loro con il copal nei loro bracieri. Le autorità tradizionali con i loro bastoni del comando li proteggono, li conducono ai loro alloggi e permettono loro di riunirsi con il CNI per preparare l'incontro con le basi d'appoggio zapatiste di Los Altos.

In un ambiente festivo, ballando musiche di Cancuc e di San Andrès, li aspetta il comitato sul palco.

Quando finalmente arrivano i comandanti e il subcomandante e quest'ultimo rende conto della missione, gli indigeni ascoltano e applaudono. A decine scorrazzano i bambini che vogliono vedere da vicino i delegati. Molti sono nati dopo la sollevazione del 1994. E per la prima volta in vita loro, tocca loro ricevere delle buone notizie. La pace potrebbe essere vicino. E le loro voci, la loro esistenza, è oggi una priorità nazionale, indipendentemente da quanto faranno.

In queste migliaia di famiglie di centinaia di comunità sta l'origine della marcia che il mondo ha terminato adesso di vedere e di ammirare. Perciò il subcomandante Marcos deve rendere conto e restituire il bastone del comando. Il comandante Moisés traduce una per una le sue frasi in tzotzil. Ai chiltak (compagni), winiketik e ansetik (uomini e donne), parla Marcos. Prima, la gente di Jericó gli ha dato una collana di fiori (e hanno incoronato pure la comandante Esther con dei fiori bianchi).

L'atto è pieno di giubilo e allo stesso tempo molto semplice. L'inizio di una nuova tappa. L'ottimismo c'è perché rappresenta un'autentica opportunità per la pace con giustizia e dignità.

Attraverso queste basi d'appoggio, che hanno vissuto nella resistenza, nella guerra "di bassa intensità" per 7 anni, difendendo i loro municipi autonomi e la loro vita di popoli, di popoli indigeni del Messico, sono entrati in una nuova tappa della loro storia. La nebbia si dissipa e i colori illuminano la notte.

Da luoghi come questo nacque la decisione del "già basta", da cui derivò "mai più un Messico senza di noi". Oggi fanno festa perché finalmente sono stati ascoltati. E ne hanno tutti i motivi.


Ha fatto un appello a che quei primi passi non si perdano in scontri

La pace con dignità è un poco più vicina

Chi ci ha offerto l'ascolto e la parola autentica ha ricevuto il nostro rispetto

JESUS RAMIREZ CUEVAS - INVIATO

Oventic, Chis., 1° aprile- "Oggi la guerra è un poco più lontana e la pace con giustizia e dignità è un poco più vicina. Oggi è più vicino il dialogo e più lontano lo scontro", ha affermato il subcomandante Marcos di fronte a migliaia di indigeni zapatisti che si sono riuniti nel forum dell'Aguascalientes, ubicato fra le montagne di Los Altos del Chiapas.

Il portavoce zapatista ha chiarito alla moltitudine riunita in questa comunità indigena: "La pace non è arrivata, questo è certo, però può arrivare ed è questa possibilità quella che dobbiamo proteggere". Riguardo a questo, Marcos ha fatto "un appello a tutti quelli che hanno nel Chiapas la terra e il cielo della loro vita perché siano responsabili e non provochino che questi primi passi si perdano, un'altra volta, con lo scontro, la divisione, la bugia, l'inganno e l'oblio".

I delegati dell'EZLN sono arrivati in questa comunità alle sei e mezza della sera. Circa 10 mila indigeni di diverse regioni li aspettavano con ansia. Con musica, evviva e applausi, tzotziles, tzeltales, choles e tojolabales hanno ricevuto i loro dirigenti.

Presentando un bilancio preliminare dei successi della marcia zapatista, il subcomandante Marcos ha segnalato che uno di questi è stato aver posto il tema indigeno al centro della coscienza nazionale e averlo fatto diventare motivo di dibattito in tutto il paese. È per questo, ha detto nel suo discorso, che a partire dalle mobilitazioni che sono riusciti convocare gli zapatisti, "ora dire indio è dire degno".

Rivolgendosi in seconda persona agli indigeni zapatisti, Marcos li ha informati: "ci dicesti di portare la richiesta del riconoscimento dei nostri diritti e della nostra cultura fino in alto e così abbiamo fatto". Prima aveva detto: "ci desti l'ordine di portare con dignità il nome di zapatisti e con dignità lo abbiamo portato. Il superbo l'abbiamo sfidato e con l'umile siamo stati umili. Chi ci ha offerto ascolto e parola autentica ha ricevuto il nostro rispetto".

Sopra i successi e le conseguenze della marcia zapatista, Marcos ha riferito che "adesso il tempo è buono perché il dolore di quello che siamo come siamo cominci a terminare. Manca molto, però già di meno. Non dovremo mai più chinare la testa davanti a quelli che ci vorranno umiliare. Il nostro colore non sarà mai più motivo di vergogna. Non ci sarà mai più burla per la nostra cultura".

"Già è nel cuore di tutti il posto che volevamo, che necessitavamo e che ci meritavamo, però manca la legge che ci riconosca questo posto. Per ottenerlo adesso abbiamo bisogno dell'appoggio di milioni di messicani e di migliaia in altri paesi", ha insistito.

Il Congresso dell'Unione - ha dichiarato Marcos, - "che fa le leggi, dovrà ascoltare quei milioni e insieme con loro dovrà aprire la porta del dialogo, cioè della pace".

"Un poco contenti"

Ubbidendo agli ordini dei popoli indigeni ribelli che gli hanno dato il benvenuto, il capo militare dell'EZLN ha restituito "bene" i 23 comandanti indigeni di questa organizzazione, che, ha detto, "vengono un poco contenti perché abbiamo svolto il lavoro" di cui li avevano incaricati.

Marcos ha insistito che per poter rispettare il mandato delle comunità "chiediamo l'appoggio di altri fratelli e sorelle indigeni e non indigeni, messicani in maggioranza, e alcuni stranieri. Essi ed esse ci hanno protetto tutto il tempo, neanche un solo momento ci hanno lasciato da soli".

Con al collo una collana di fiori che gli avevano offerto alcune indigene, Marcos ha chiesto un saluto - che qui si fa con gli applausi - alla società civile. Poco prima aveva detto: "quando abbiamo trovato orecchie sorde, essi ed esse hanno aperto con la loro forza l'ascolto del potente. E quando la nostra parola sembrava piccola, l'hanno sollevata molto alto e hanno fatto brillare la parola zapatista, la tua parola". Per questa ragione ha riconosciuto di fronte agli indigeni che "così, te lo dico chiaramente, non sono stato io, ma loro, gli uomini e le donne della società civile, loro che hanno fatto tutto il lavoro e lo hanno fatto molto bene" e ha aggiunto che "lo hanno fatto perché il loro cuore è molto grande e generoso".

77 atti pubblici

Marcos ha informato che prima di uscire dal Chiapas - il 24 febbraio - i delegati dell'EZLN portavano sette bastoni del comando delle comunità in resistenza. Quando sono arrivati a Città del Messico, gli zapatisti avevano 28 bastoni del comando, simbolo di rispetto e della volontà collettiva di un uguale numero di etnie del paese. "I popoli indios di tutto Messico si sono uniti alla nostra lotta", ha sottolineato segnalando che si sono riuniti con rappresentanti di 44 popoli indigeni di tutta la Repubblica.

In una cerimonia di benvenuto che è stata breve, il subcomandante Marcos ha anche riconosciuto l'importanza del lavoro dei mezzi di comunicazione in queste giornate, "perché potessimo andare e tornare bene". Ha ringraziato i giornalisti che li hanno accompagnato in tutto il loro periplo, che è durato 37 giorni e che li ha portati ad attraversare 13 stati.

"Quasi sempre - ha detto sui media - la nostra parola è arrivata, come è giusto, senza trappole né inganni. Solo pochi hanno contorto la nostra parola, però loro d'altra parte hanno già la lingua contorta". E ha esortato: "salutiamo la stampa onesta e che il nostro saluto serva perché sappiano che noi zapatisti riconosciamo il loro lavoro e che desideriamo che il loro spazio rimanga sempre aperto".

Il leader zapatista ha riconosciuto che coloro che compongono l'EZLN hanno imparato una lezione dai popoli indigeni che hanno nelle loro mani la conduzione politica del movimento: la loro "paziente saggezza". Servire queste comunità "è stato il più grande onore" che hanno avuto gli insurgentes e le insurgentas zapatisti, ha detto il subcomandante.

In un atto che definisce il modo di essere zapatista di "comandare obbedendo", Marcos alla fine ha restituito il simbolo che gli avevano consegnato i popoli indigeni: "compagno, compagna, ti restituisco il bastone del comando. Staremo attenti e attente a ciò che tu ordini".

Prima di terminare l'atto, il comandante Moisés, a nome del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, ha riaffermato: "vogliamo ringraziarvi per il lavoro che avete compiuto su mandato dei popoli che vi hanno raccomandato di esigere e di convincere il Congresso dell'Unione affinché approvi l'iniziativa della Cocopa su diritti e cultura indigeni". E prima di concludere ha ringraziato il Congresso Nazionale Indigeno e la società civile per il suo appoggio e l'ha esortata a continuare la lotta per la democrazia, la giustizia e la libertà di tutti i messicani.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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