Da LA JORNADA - DOMENICA 1º LUGLIO 2001

A partire da quando l'EZLN ha rotto il contatto con il governo, i casi sono rimasti fermi

Nove zapatisti sono rimasti ad un passo dalla libertà

Manca solo la volontà politica

BLANCHE PETRICH

Lo slancio della marcia zapatista e la necessità del governo federale e delle autorità locali di far buon viso alle richieste dell'EZLN per arrivare alla ripresa del dialogo hanno aperto le porte delle carceri a circa un centinaio di rei che dovevano affrontare processi irregolari, marcati da un "peccato" comune: il fatto che gli imputati erano basi sociali o simpatizzanti dell'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Però con la rottura del contatto tra governo e EZLN, questo slancio s'è interrotto, le diverse istanze ufficiali hanno lasciato da una parte la volontà politica e 11 di questi rei sono rimasti dietro le sbarre. Solo due, dato che avevano terminato le loro condanne o perché le accuse sono cadute da sole, sono usciti liberi. Per i nove restanti nulla da fare.

Per gli avvocati difensori Pilar Noriega e Miguel Angel de Los Santos, questi nove - tre del Tabasco, due di Querétaro e il resto del Chiapas - sono in realtà "ostaggi" dello stato.

"Indipendentemente dai reati di cui sono accusati, per noi sono detenuti politici dal momento in cui l'EZLN ha reclamato la loro liberazione. Sono processi che richiedono volontà politica per la loro soluzione e questo è quello che sta mancando", sostiene Pilar Noriega.

A partire dal momento in cui l'EZLN ha reagito all'approvazione del Parlamento della legge Bartlett-Fernández de Cevallos, dando per concluso il contatto con il governo foxista, il messaggero zapatista Fernando Yáñez è svanito. I difensori allora si sono messi in contatto con l'emissario assegnato dall'Esecutivo per l'analisi dei casi, Ricardo Sepúlveda, dell'Unità di Affari Giuridici della Segreteria di Governo, per analizzare insieme come si potevano risolvere i casi che erano di competenza federale.

Non si è riusciti per niente. "La mia opinione è che né la PGR né la Segreteria di Sicurezza Pubblica abbiano la volontà di risolverli. In realtà, una cosa è quello che dice Fox e un'altra è ciò che fanno i suoi subordinati", dice Noriega.

Di fronte a questa inazione, gli avvocati sono ricorsi ai componenti della Cocopa. Alla riunione, due settimane fa, era presente Pilar Noriega in nome degli altri difensori. La sessione è iniziata male. La senatrice panista Luisa María Calderón ha subito detto che gli zapatisti "dovevano assumere" la rottura annunciata dal comando generale dell'EZLN "con tutte le sue conseguenze". Senza nessun tatto, ha apostrofato Pilar Noriega, nota per la sua difesa dei detenuti politici: "adesso viene mascherata da avvocato".

La risposta della professionale fu tagliente. "Nessuna mascherata. Sono avvocato e punto e basta. I miei colleghi ed io ci siamo interessati conformemente alla legge, i nostri clienti dovrebbero essere liberati, indipendentemente dal fatto che ci sia accordo o no tra il governo e l'EZLN. Per principio, un avvocato deve vegliare sugli interessi del suo difeso e noi stiamo lavorando in questa direzione, senza giochetti politici".

Senza alcun cambiamento

In ogni caso, quell'incontro con la Cocopa non ha smosso nulla. "Loro dicono che l'Esecutivo non può più fare niente per i processi federali pendenti, per l'indipendenza dei poteri. Noi non possiamo accettare questo. La PGR e la Segreteria di Sicurezza Pubblica sono istanze dell'Esecutivo ed hanno facoltà di risolvere questi casi, ma inesplicabilmente non l'hanno fatto".

Quelli di Querétaro

Il panista Ignacio Loyola entrava in carica come governatore di Querétaro ed era l'anfitrione dell'Esecutivo nella cerimonia del Giorno della Costituzione. All'entrata del Palazzo del Parlamento dello stato c'era una manifestazione di protesta del Fronte Indipendente delle Organizzazioni Zapatiste (FIOZ). Conclusasi la cerimonia, il presidente Ernesto Zedillo è salito sul suo autobus ed è passato tra i cordoni che controllavano la comitiva per le strade Angela Peralta e Corregidora Nord.

Il gabinetto legale è salito sul secondo autobus, che doveva andare dietro al primo. Però, secondo dei testimoni, "ha manovrato" per prendere una strada diversa mentre i cordoni venivano sciolti per ordini superiori, benché non si siano mai potuti identificare tali superiori. Così, il veicolo si è infilato giustamente in mezzo ai manifestanti, che immediatamente l'hanno circondato e preso di mira con delle pietre. Più tardi la folla è stata controllata e i funzionari sono stati liberati.

Due giorni dopo, due dirigenti del FIOZ, Anselmo Robles Sánchez e Sergio Jerónimo Sánchez Sáenz, sono stati arrestati, accusati dei reati di spoliazione e amministrazione fraudolenta per l'invasione di alcuni terreni da parte di una organizzazione urbana popolare nel 1996. Nonostante le irregolarità, per quei reati gli arrestati accumulano una sentenza a cinque anni d'arresto. Però retroattivamente, sono stati accusati di essere i mandanti dell'assalto all'autobus ufficiale, anche se loro non erano nemmeno lì al momento dei fatti, ma alle porte del palazzo di governo.

Noriega afferma che il processo presenta diverse irregolarità. Tra le più note c'è la testimonianza dei due poliziotti che hanno presentato l'accusa. La PGR non li ha mai presentati, dicendo sempre che "sono in missione".

Il Pubblico Ministero ha annunciato che presenterà un video, registrato da membri del FIOZ e sottratto proprio ad Anselmo, che dimostrerebbe la responsabilità degli accusati. Anni dopo, la difesa ha potuto finalmente vedere questo nastro e ha comprovato che, invece di sostenere l'accusa, è una prova dell'innocenza dei due accusati.

Per i reati dell'ordine locale, i queretani potrebbero già aver avuto accesso ai benefici della preliberazione, però li mantiene agli arresti il processo federale, ancora in fase di istruzione. Secondo Noriega, ciò che dovrebbe fare la PGR, coerentemente con la volontà dell'Esecutivo sarebbe di desistere dall'accusa.

Quelli del Chiapas

Il 12 luglio dell'anno scorso, uomini con passamontagna preparano un'imboscata e ammazzarono sette poliziotti municipali in Las Limas, nel municipio di Simojovel. Due giorni dopo, Salvador López González fu arrestato come uno degli assaltanti. Per incriminarlo e farlo dichiarare contro se stesso, fu torturato. Nel suo morral hanno messo della marijuana e la copia di un passaporto di un cittadino spagnolo. C'è la possibilità che venga condannato a 60 anni di carcere.

Chi lo indentifica è un minorenne sopravvissuto al massacro, Rosemberg Gómez, che nella sua dichiarazione aveva detto che gli assassini portavano il passamontagna, come altri testimoni oculari. In un ampliamento della sua dichiarazione accettata come valida "e indotta da parte del Ministero Pubblico", secondo la difesa, ha identificato Salvador come uno degli attaccanti.

La difesa sostiene che la PGR non ha prove che indichino il loro cliente come omicida, e che le accuse sono stati formulate perché lui è dirigente di una comunità apertamente simpatizzante dell'EZLN.

Altri tre chiapanechi, indigeni tutti e originari di differenti comunità pro-zapatiste, hanno ricevuto la classica marijuana nel morral. È il caso di Rafael Santiz Pérez, Gustavo Estrada e Alejandro Méndez Díaz, arrestati tra il 1995 ed il 1998, e accusati con la sola presenza di avvocati di mestiere e in spagnolo, sono stati condannati a pene varianti tra i sei e i 10 anni per possesso e trasporto di marijuana.

Nei tre casi, i rei potrebbero usufruire dei benefici per la liberazione anticipata per buona condotta. Questa figura giuridica, afferma l'avvocato Miguel de Los Santos, si applica anche ai casi di reati contro la salute quando gli accusati siano "individui con evidente ritardo culturale, isolamento sociale e estremo bisogno economico". L'avvocato afferma che non è che si accetti questa legge discriminatoria, ma che in questo caso la liberazione di questi tre indigeni "corrisponde a un atto di giustizia". Persino l'Istituto Nazionale Indigenista ha già inviato una dichiarazione a favore della liberazione anticipata di uno di loro. L'iter amministrativo, competerebbe alla SSP, che non ha attuato di conseguenza è ciò riflette, secondo l'avvocato, "l'uso politico del governo federale".

Quelli del Tabasco

Per quanto riguarda gli arrestati in Tabasco, due di loro, Francisco Pérez Vázquez e Angel Concepción Pérez Gutiérrez - padre e figlio -, sono originari della zona limitrofa tra Tabasco e Chiapas, Agua Blanca. In questa regione varie comunità sono controllate dal gruppo paramilitare Paz y e Justicia. Dovuto ai rancori fra le famiglie per le terre, nel 1982 e nel 1995 ci sono stati due omicidi che sono rimasti impuniti. I fatti sono successi in un terreno di 370 ettari che sta in disputa tra i due stati.

Gli accusatori di questi due indigeni hanno parenti che sono poliziotti statali in Tabasco, per cui sono stati arrestati in Chiapas e trasportati in Tabasco, dove sono stati processati. Sono stati condannati a 25 anni.

L'avvocato difensore dice che se il presunto reato è avvenuto in territorio chiapaneco e gli accusati sono stati arrestati fuori dai limiti del Tabasco, i detenuti devono essere consegnati alla giustizia chiapaneca. Lì sarebbero automaticamente beneficiati dalla legge di amnistia decretata dal governo di Pablo Salazar.

Un'altra è la situazione del terzo chiapaneco arrestato in Villahermosa, Carrillo Vázquez López. Questo è accusato da parenti di membri di Paz y Justicia di aver violentato una nipote di 20 anni, Delfina Benítez, nell'agosto del 1997.

In una prima dichiarazione, lo stesso Carrillo confessò, secondo gli atti, che "era certa l'imposizione dell'atto carnale", però che fu "una specie di scambio o pagamento per il denaro che Delfina gli doveva". In una dichiarazione posteriore, l'accusato ha ritrattato e ha detto che "era ubriaco" nella prima dichiarazione.

La difesa, a carico dell'avvocato tabasqueño Juan José Galicia, dice che dalle prove presentate "non si deduce violenza fisica o morale negativa contro la vittima dell'atto sessuale", e che "nonostante che ella dica che si dibatteva tenacemente e dava calci per evitare la consumazione del reato, non ci sono dimostrazioni chiare della sua opposizione".

All'appello contro una sentenza di 20 anni, il magistrato ha corretto e condannato ad una di 12 anni, che sta per confermargli nel tribunale della capitale tabasqueña.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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