ISTRUZIONI PER
CAMBIARE IL MONDO

Il Subcomandante Marcos racconta ...

[traduzione a cura di Stefano Borgogni - dicembre 1996]

INTRODUZIONE

Ecco un altro libro che riproduce documenti provenienti "dalle montagne del sud-est messicano"; non è il primo e non sarà certamente l'ultimo. La produzione di comunicati, poesie, interviste, conferenze stampa, racconti da parte dell'EZLN è, infatti, talmente ricca e variegata che per chi intende fare solidarietà con gli zapatisti c'è solo l'imbarazzo della scelta dei testi da diffondere.

Come la corrente del golfo, che parte dalle coste centroamericane e raggiunge l'Europa, un vero e proprio fiume di parole proveniente dalla Selva Lacandona continua ad inondare il nostro continente e il mondo intero, a riprova della vitalità politica, culturale, artistica di questo movimento assolutamente atipico nella storia dei movimenti rivoluzionari del mondo.

In questo libro intendiamo proporre all'attenzione non dei comunicati politici dell'EZLN (che pure sono sempre interessanti e distanti anni-luce, per impostazione e contenuti, da quelli a cui siamo abituati in Italia), ma alcuni testi con un taglio un po' diverso.

Si comincia con i suggerimenti di Marcos "per cambiare il mondo"; un documento che rispecchia una situazione profondamente diversa dall'attuale (è stato scritto alcuni anni fa), pieno di immagini metaforiche che sfiorano talora l'ermetismo. Seguono poi tre racconti narrati da un personaggio, il "Vecchio Antonio", ormai divenuto familiare a chi segue le vicende del Chiapas, tre favolette con un insegnamento finale (ricordano molto quelle di Esopo e La Fontaine), in cui animali e oggetti, acqua, terra e cielo, uomini e dei si mescolano con estrema naturalezza come protagonisti della narrazione.

La totale compenetrazione tra uomo e natura è, del resto, una caratteristica tipica della visione del mondo degli indios maya, e permea fortemente il movimento zapatista, conferendo ai suoi testi - di qualunque tipo essi siano - una freschezza e una liricità particolari. Anche la concezione del tempo è completamente diversa da quella del nostro mondo, regolato con assoluta precisione dagli orologi: nella selva i confini tra passato remoto, prossimo e presente sono sempre assai sfumati, il che spiega anche i salti temporali dei verbi, così frequenti nei comunicati zapatisti.

Questi sono, forse, gli aspetti che colpiscono e sorprendono maggiormente chi si accosta ai comunicati dell'EZLN, ma siamo convinti che ci siano anche molte altre cose da imparare dagli uomini e dalle donne di questo movimento. "Professionisti della speranza" (la definizione è di Marcos) capaci di imbracciare il fucile nella selva e di inviare comunicati a getto continuo su Internet, idealisti tanto abili nella comunicazione da riuscire a portare in prima pagina un angolo remoto del mondo e a diffondere al di là degli oceani la loro utopia (nel senso più pieno del termine).

Il loro messaggio, tanto semplice quanto rivoluzionario, è un atto di accusa non solo nei confronti del Messico, ma di tutto un mondo in cui l'ottica del profitto capitalistico rappresenta ormai la norma a cui tutti si devono adeguare, un mondo che - in nome del cosiddetto "liberismo" - vede accentuarsi sempre più lo sfruttamento, l'oppressione, il divario tra ricchi e poveri.

Inoltre, è estremamente significativo il fatto che in questo movimento non esista un leader visibile: dietro il soprannome "Marcos" e l'ormai celebre passamontagna può esserci qualunque indio chiapaneco e, più in generale, ogni uomo o donna che lotti - a qualsiasi latitudine - per la giustizia e la dignità dell'uomo.

Come dicono gli zapatisti, "Todos somos Marcos".

Dalle pianure del nord-ovest italiano
S.B.


1 - ISTRUZIONI PER CAMBIARE IL MONDO

Subcomandante ribelle Marcos
17 Novembre, anniversario dell'EZLN

Istruzioni per cambiare il mondo

I
Si costruisca un cielo piuttosto concavo. Lo si dipinga di verde o di caffè, colori belli e terrestri. Lo si spruzzi di nubi a discrezione. Appendi con attenzione una luna piena a occidente, diciamo a tre quarti sull'orizzonte. Verso oriente si levi, lentamente, un sole brillante e potente. Riunisci uomini e donne, parla loro lentamente e con affetto, cominceranno a camminare da soli. Contempla il mare con amore. Riposa il settimo giorno.

II
Riunisci i silenzi necessari. Forgiali con sole e mare e pioggia e polvere e notte. Con pazienza affila uno dei suoi estremi. Scegli un vestito marrone e un fazzoletto rosso. Aspetta l'alba e marcia verso la grande città. A vederti, i tiranni fuggiranno terrorizzati, urtandosi gli uni con gli altri. Ma... non fermarti!... la lotta è appena cominciata.

Le definizioni

IL MARE - È ampio e umido, salato. Si guarda sempre di fronte e per intero. Alla fine uno esce pulito e invincibile. Amare continua ad essere difficile... camminare anche. Nel mare ci sono molte cose, ma soprattutto c'è acqua, acqua, sempre acqua. Ricorda: non c'è sete che se la beva...

IL POETA - I suoi primi poemi sono sempre maledizioni (quelli che seguono pure). Si innamora di continuo e cade con la stessa frequenza. Si solleva lentamente sopra carta e pittura. Per ridere meglio piange. E' in pericolo di estinzione.

IL VENTO - Il vero capitano del mondo. Dirigendo polvere e sentieri si diverte con noi e, si dice, non se la passa tanto male.

Istruzioni per dimenticare e ricordare

Tira fuori lentamente quest'amore che ti duole nel respirare. Scuotilo un po' affinché si svegli. Lavalo con attenzione, che non rimanga la minima impurità. Pulito e odoroso, piegalo tante volte quante sia necessario perché abbia la misura dell'unghia dell'alluce del piede destro. Aspetta che passi una formica, essere nobile e generoso, e passa a lei il pesante carico. Lo porterà al sicuro in qualche profonda caverna. Fatto questo, vai a riempire, per l'ennesima volta, la pipa di tabacco di fronte al mare d'oriente. L'oblio giungerà parallelamente alla fine del tabacco e all'avvicinarsi del mare a te.
Se vuoi recuperare questo amore che adesso dimentichi, basta scrivere una lunga lettera parlando di viaggi sconosciuti, idre, mulini a vento, uffici e altri mostri ugualmente terribili. Al ritorno della posta ritroverai il tuo amore tale e quale lo inviasti, forse con un po' di polvere e sogno sulla copertina...

Istruzioni per andare avanti

Di fronte a un qualsiasi specchio, renditi conto che non si è il meglio di se stessi. Però si può sempre salvare qualcosa: un'unghia per esempio...

Istruzioni per scrivere una canzone

Inizialmente non è obbligatorio sapere le note, le rime e i ritmi; basta cominciare a canticchiare qualche vecchia aria. Ripetila finché non abbia niente a che vedere con l'originale. Le parole sono il meno, poiché ci sono poemi d'avanzo. Però, per i dubbi, fa attenzione che nessuno lo ascolti... ci sono anche critici d'avanzo.

Istruzioni per non piangere

Che finchè rimanga un uomo morto,
nessuno rimanga vivo.
Mettiamoci tutti a morire,
anche se piano piano,
fino a che si ripari
a questa ingiustizia.
Roberto Fernàndez Retamar

Sulla sua morte ci andammo sollevando. Dapprima furono cinque nomi a cadere, uno ad uno e insieme, in nostra memoria. Poi vennero ad aggiungere il loro sangue altri nomi. Già ci stavamo schiantando sulla base del monte e il sangue aggiunto-giusto di altri ci riportò in alto. In tempi distinti unirono con zelo tutto questo sangue con il proprio affinché non si perdesse nel fiume. Continuammo a camminare senza guardare molto lontano e alcuni aprirono il cofanetto di lacca per riaprire la nostra memoria, e ci obbligarono a sollevare la vista con il loro sangue. Sempre ci sollevammo sulla loro morte. E così ognuno va mettendo la propria quota di sangue affinché altri si sollevino, fino a che tutti in piedi metteremo un nuovo sole sopra una terra nuova.

Istruzioni per la mia morte

Quelli che ora dicono "Com'è malvagio", diranno allora "Com'era buono". E io me ne andrò sorridendo, burlandomi sempre di loro, cioè di me.

Istruzioni per innamorarsi

Scegli una donna qualsiasi. Concentra l'attenzione su qualche parte del suo corpo e comincia ad amarla. Aumenta poco a poco il tuo amore fino a completarla. Fatto questo, disinnamorati rapidamente perché l'amore provoca assuefazione.

Istruzioni per provare compassione

Poveri noi, tanto piccoli e con tutta la rivoluzione da fare.

Istruzioni per avere successo

Decidi di scrivere un libro. Metti insieme diversi ricordi (minimo 16). Scrivi un lungo prologo e, nelle poche pagine rimaste, ammucchia i ricordi. L'indice non è necessario. Poi attraversa a nuoto l'Atlantico e conquista l'Europa. Il libro si venderà come il pane caldo.

Istruzioni per accomiatarsi

Non guardare indietro. Di solito basta questo...

Istruzioni per misurare il silenzio

Bastano i sospiri. Ma non li contare, il risultato è solitamente scoraggiante.

Istruzioni per le lacrime

Forma una conca con le mani, deposita le lacrime una ad una. Riempito la conca, vuotala in un luogo estraneo e forma tanti mari quanti sia necessario. Battezzali con nomi belli e apocalittici. Evita le ovvietà come "Mare Amaro" e "Mare delle Pene e dei Piaceri". "Mare Albero", "Mare Sole", "Mare Cappello" e nomi simili sono i più indicati.

Istruzioni per misurare gli amori

Accendi la pipa e continua a camminare. Raccogli, con attenzione, alcuni dei baci più dimenticati, alcune ciocche di capelli, due o tre sguardi, un ricordo o un altro di pelli bianche e scure, un poema rotto e una suola di scarpa (quest'ultima per dare consistenza al beveraggio). Mescola il tutto e insaporisci a discrezione. Dividi il risultato per due, tante volte quante sia necessario affinché non rimanga niente.

Istruzioni per cadere e sollevarsi

Continua a camminare, quando te ne renderai conto sarai già con le chiappe a terra, in quella posizione scomoda che tengono i pupazzi. Subito dopo comincia una lunga e ostinata riflessione sulla convenienza di restare lì per terra. Ma già si allontanano i compagni e la puntura è lungi dall'apparire un chiaro sentiero, chiaro. Non è neanche in questione l'idea di restare lì tutta la vita, con il fango che riempie l'anima e lo zaino, cosìcché arriva il momento di sollevarsi, situazione difficile e imprevedibile nei suoi risulatati. Forse è meglio continuare a stare a terra e trascinarsi poco a poco ma, oltre ad essere poco estetico, ciò è impraticabile (credetemi, l'ho provato): ci sarà sempre una radice nascosta o una spina a trattenerti, e allora una nuova riflessione sulla comodità di stare seduto nel fango, nonostante le zanzare, le mosche e i mosconi. Già deciso a sollevarsi, il che è sempre la cosa più difficile, viene la complicata operazione che consiste nell'appoggiarsi con le mani e le ginocchia dove capita e cercare di collocare il pesante cappuccio sulla schiena (tanto semplice, e pesante, è portarsi la casa a spalle: giusto un telo di plastica e un'amaca). Ma lo zaino si ostina a portare altre cose assurde: alcuni libri di poesia, qualche vestito, un calzino spaiato, la medicina per il mondo, cibo, un'umida coperta... Il carico nel suo insieme pesa tonnellate (soprattutto dopo le prime ore di camminata) e tende ad infangarsi ogni volta che gli viene voglia, cioè quasi sempre. Ormai tartaruga faccia a terra, segue l'atto di mettere un piede e alzarsi sull'altro, con la conseguente protesta delle ginocchia; l'orizzonte allora si allarga e sarà sempre estraneo. Con lo sguardo a terra si intraprende nuovamente la marcia fino alla prossima caduta, che si verificherà appena pochi passi più avanti. E la storia si ripete...

Istruzioni per misurare i disamori

Basta il rancore e, infine, non ne vale la pena.

Istruzioni per misurare la vita

Si prenda dello spago a discrezione e si cominci ad infilarlo nella tasca destra dei pantaloni fino a che si verifichi una delle due cose:
A) - Che la tasca si riempia di spago.
B) - Che ci si stanchi di infilare spago nella tasca.

Quando si è verificata una delle due cose suindicate, o entrambe, aspetta una sera piovosa. Proprio quando la pioggia comincerà ad essere incerta se cadere o no sulla terra, tira fuori lo spago e lancialo in alto, più in alto possibile, con un elegante gesto da mago e, simultaneamente, mormora le seguenti parole: "Vedo, misuro, esisto, la vita". Se si sono seguite le istruzioni alla lettera, lo spago rimarrà in aria, sospeso per alcuni istanti, prima di tornare a terra in un mazzo di fili. Così hai la misura di un pezzo di vita. Se, pur avendo seguito le istruzioni, la corda non risponde come sopra indicato, non preoccuparti e prova con un'altro spago. Succede che ci sono spaghi che si negano, con sconcertante ostinazione, a misurare la vita (hanno già abbastanza problemi - dicono - a legare stivali, scarpe e altre cose assurde).

Selva Lacandona, Chiapas, Messico
1984-1989

Dalle montagne del sudest messicano
Subcomandante ribelle Marcos


2 - LA STORIA DEL LEONE E DELLA TALPA

Il Vecchio Antonio uccise un leone di montagna (molto simile al puma americano) con il suo vecchio schioppo. Io mi ero burlato della sua arma alcuni giorni prima: "Si usavano queste armi quando Cortés conquistò il Messico" gli avevo detto. Egli si difese: "Sì, ma guarda in mano di chi è adesso".

Stava togliendo gli ultimi pezzi di carne dalla pelle per conciarla.

Mi mostra orgoglioso la pelle. "Non ha alcun foro, solo nell'occhio" mi dice. "È l'unico modo per far sì che la pelle non porti segni di maltrattamento" aggiunge. "E che cosa ci farà con la pelle?" domando.

Il Vecchio Antonio non mi risponde, continua a grattare la pelle del leone con il suo machete. Mi siedo di fianco a lui e, dopo aver riempito la pipa, cerco di preparargli una sigaretta. Gliela tendo senza parole; egli la esamina, la disfa e la prepara di nuovo.

Ci sediamo per partecipare insieme a questa cerimonia del fumare. Tra una tirata e l'altra il Vecchio Antonio va filando la storia:

"Il leone è forte perché gli altri animali sono deboli. Il leone mangia la carne degli altri perché gli altri si lasciano mangiare. Il leone non uccide con gli artigli o con i denti. Il leone uccide con lo sguardo. Prima si avvicina lentamente... in silenzio, poiché ha nubi sulle zampe che eliminano il rumore. Poi salta e dà una sventola alla sua vittima, una botta basata, più che sulla forza, sulla sorpresa.

Poi la resta a guardare. Guarda la sua preda. Così... (e il Vecchio Antonio corruga il volto e mi fissa con i suoi occhi neri) il povero animaletto che sta per morire non vede altro, vede il leone che lo guarda. L'animaletto non vede se stesso, guarda ciò che il leone guarda, guarda la sua immagine nello sguardo del leone, e si vede piccolo e debole.

L'animaletto non pensava di essere piccolo e debole, era un animaletto né grande né piccolo, né forte né debole. Ma adesso guarda nello sguardo del leone, vede la paura; l'animaletto si convince da solo di essere piccolo e debole. E allora l'animaletto non guarda più niente, gli si intorpidiscono le ossa come quando ci coglie l'acqua nella montagna, nella notte, nel freddo. E allora l'animaletto si arrende, semplicemente, si lascia andare e il leone lo divora senza fatica. Così uccide il leone, uccide con lo sguardo.

Ma c'è un animale che non fa così, che quando incontra il leone non gli fa caso e prosegue come se niente fosse, e se il leone lo tocca risponde con un'unghiata delle sue manine, che sono piccole ma fanno uscire il sangue e fanno male. E questo animaletto non è preda del leone poiché non vede che lo guardano... è cieco. Talpe chiamano questi animaletti."

Sembra che il Vecchio Antonio abbia smesso di parlare; io azzardo un "Sì, ma...". Il Vecchio Antonio non mi lascia continuare e prosegue la sua storia mentre si rolla un'altra sigaretta.

"La talpa è rimasta cieca poiché, invece di guardare fuori, si inclinò nel guardarsi dentro, si mise a guardarsi il cuore. E nessuno sa come gli venne in mente di guardarsi dentro. E la talpa, nel guardarsi il cuore, non si preoccupa di forti o deboli, di grandi o piccoli, perché il cuore è il cuore e non si misura come le altre cose o gli animali.

E questa cosa di guardarsi dentro la potevano fare solo gli dei, e allora gli dei punirono la talpa e non la lasciarono più guardare fuori, e inoltre la condannarono a vivere e camminare sotto terra. E la talpa non ne ebbe dispiacere perché continuò a guardarsi dentro. E per questo la talpa non ha paura del leone. E neppure ha paura del leone l'uomo che sa guardarsi il cuore.

Perché l'uomo che sa guardarsi il cuore non vede la forza del leone, vede la forza del suo cuore e allora guarda il leone e il leone vede l'uomo che lo guarda e il leone vede nello sguardo dell'uomo che è solo un leone e ha paura e scappa."

"E lei si guardò il cuore per ammazzare questo leone?" interrompo. Risponde: "Io? No, amico, io guardai il mirino dello schioppo e l'occhio del leone e sparai... del cuore non mi ricordai nemmeno..."

Mi gratto la testa come - secondo quanto ho imparato - si fa da queste parti ogni volta che non si capisce qualcosa.

Il Vecchio Antonio prende la pelle e la esamina con attenzione, poi la arrotola e me la offre. "Prendi" - mi dice - "Te la regalo affinché tu non dimentichi mai che il leone e la paura si vincono se si sa dove guardare...". Il Vecchio Antonio si gira e si infila nella sua capanna; nel suo linguaggio ciò significa "Ho finito, arrivederci".

Questa è la storia del Vecchio Antonio e del leone. Da allora ho portato con me la pelle del leone, in essa tenevamo avvolta la bandiera che offrimmo alla CND. Volete anche la pelle?

Saluti, ancora, saluti e un vetro di quelli che servono per affacciarsi dentro se stessi...

Dalle montagne del sud-est messicano
Subcomandante ribelle Marcos


3 - LA STORIA DEI COLORI

Brillino tutti i colori

Rimproverai Heriberto perché, secondo me, stava molestando alcune formiche che spingevano piccole foglie d'arancio. Heriberto cominciò a fare le boccacce e mi disse "Non le 'to molettando, le 'to accarezzando". Si girò e si allontanò dal Comando. A una distanza che ritenne opportuna cominciò a strillare. Ana Marìa lo prese per mano e se lo portò altrove. Poi la vidi tornare. "Ci sarà tempesta", dice Moy e si ritirò prudentemente.

"Perché hai rimproverato Heriberto?" mi attacca Ana Marìa. "Stava dando fastidio alle formiche", mi difendo. "Ci siamo forse sollevati in armi per le formiche?" dice con le mani sui fianchi Ana Marìa.

Accendo la pipa e, guardando il piccolo servizio da tè abbandonato dal cappellaio matto e dalla lepre di marzo, dico: "Non per loro, ma anche per loro". Ana Marìa prosegue: "Perché non ti metti con uno grande come te?". "Grande come me?" domando, orgoglioso della mia abilità di rispondere ad una domanda con un'altra domanda.

Nel frattempo si sta formando un capannello intorno a Heriberto e al suo avvocato, Ana Marìa. Le femmine si raggruppano minacciose, guardando il Sup come si guarderebbe Salinas e coccolando Heriberto che sembra essersi già dimenticato del rimprovero e delle formiche, poiché ha in mano tanti dolci che non sa con quale cominciare.

Come succede sempre nei casi di emergenza, la mia scorta non si trova da nessuna parte. Tacho se ne va con il pretesto di una riunione urgente del comitato. Mi rassegno ad essere fucilato da tanti occhi scuri che mi guardano, e non precisamente con affetto. Spavaldo come sono i suicidi, mi difendo: "Qui chiunque può fare ciò che vuole, meno dar fastidio alle formiche".

La mia argomentazione provoca sconcerto nell'assemblea di donne. Si guardano tra di loro, rumoreggiano e parlano con Heriberto. Io, orgoglioso delle mie doti oratorie, ricarico la pipa. Ana Marìa, dopo aver sentito Heriberto, incalza: "Non le stava molestando, le stava accarezzando". Io, che non mi aspettavo una controreplica, mi difendo ormai debolmente: "Questo le formiche non lo sapevano". Ana Marìa prende per mano Heriberto e se lo porta via. Allontanandosi mi dice: "Tu e le formiche dovreste sapere che la tenerezza a volte fa male".

C'è un mormorio di approvazione tra le femmine che già si disperdono. Io resto con un palmo di naso, che per questo ho naso d'avanzo. Una formichina mi sale per il braccio. "E tu, di che ridi?" le dico. "Io? di niente" credo che risponda la formica, ma è Moy, che stava nascosto dietro la piantagione di caffè.

Poi arriva Eva e si sporge per vedere che cosa sto scrivendo. "Che 'ta facendo lei?" mi domanda. "Sto compiendo il mio castigo" rispondo mentre scrivo per la 248esima volta "Non devo dire parolacce nè rimproverare i presidenti della Convenzione".

Heriberto si affaccia alla porta, ha tanti dolci che ha deciso di dividerli con Eva e con chi ha indirettamente causato un tale felice carico: io medesimo. Stiamo gareggiando per vedere chi fa più rumore succhiando il dolce, quando Heriberto vede che sto scrivendo la frase che devo ripetere 500 volte e si offre di aiutarmi.

Gli passo un foglio e una matita senza dir parola (in realtà non posso perché Eva mi sta battendo nel rumore e io sono il Sup, l'unico, il migliore). Heriberto cerca di copiare le prime parole, si stufa quasi immediatamente e comincia a disegnare anatroccoli che per lui sono più convincenti delle penitenze. Gli disegno un aereo con molti razzi. Eva chiede un racconto. Sospetto che sia una tattica dilatoria visto che il mio rumore è già da campionato.

Heriberto non aspetta la risposta e si siede a lato di Eva e le mostra il suo disegno e le dice che, senza tanti razzi, il suo anatroccolo vola meglio dell'aereo del Sup. Io ho già mezza uniforme piena di dolce e ciononostante accendo la pipa e, dopo le tre boccate di rigore, inizio a raccontare come fece il Vecchio Antonio...

La storia dei colori

Il Vecchio Antonio indica un pappagallo che attraversa la sera. "Guarda", dice. Io guardo quel violento raggio di colori nel quadro grigio di una pioggia che si annuncia. "Sembra impossibile che ci siano tanti colori in un solo uccello" dico raggiungendo la vetta del monte.

Il Vecchio Antonio si siede su un piccolo pendio libero dal fango che invade questo sentiero reale. Recupera la respirazione mentre rolla un'altra sigaretta. Mi rendo conto, appena pochi passi dopo, che è rimasto indietro. Ritorno e mi siedo accanto a lui. "Lei crede che arriveremo al villaggio prima che piova?" gli chiedo mentre accendo la pipa.

Il Vecchio Antonio sembra non ascoltare. Adesso è una covata di tucani ciò che distrae la sua vista. Nella sua mano la sigaretta aspetta il fuoco per iniziare il lento disegno del fumo. Si schiarisce la voce, dà fuoco alla sigaretta e si accomoda, come può, per cominciare lentamente.

Non era così il pappagallo. Non aveva colori, era tutto grigio. Le sue piume erano corte come quelle di una gallina bagnata. Uno tra i tanti uccelli giunti chissà come nel mondo poiché gli dei non sapevano chi e come aveva fatto gli uccelli. Gli dei si svegliarono dopo che la notte aveva detto "Fin qui, non di più" al giorno, e uomini e donne dormivano o si amavano, che è un bel modo di stancarsi per poi dormire.

Gli dei litigavano sempre, questi dei che erano molto litigiosi, non come i primi sette dei che vennero al mondo. Litigavano perché il mondo era assai noioso con due soli colori. Ed era motivata l'ira degli dei poiché solo due colori si alternavano nel mondo: uno era il nero che comandava la notte, l'altro era il bianco che camminava di giorno.

Il terzo non era un colore, era il grigio che dipingeva sere e mattine affinché non si scontrassero troppo duramente il nero e il bianco. E questi dei erano litigiosi ma sapienti. E in una riunione giunsero all'accordo di rendere i colori più lunghi perché fosse allegro il camminare e l'amare di uomini e donne.

Uno degli dei prese a camminare per pensare meglio al suo pensiero e tanto pensava al suo pensiero che sbatté contro una pietra grande così e si ferì alla testa e uscì sangue dalla testa. E il dio, dopo aver strillato per un bel pezzo, guardò il suo sangue e vide che è di un altro colore, diverso dai due colori e andò correndo dove stavano gli altri dei e mostrò loro il nuovo colore e chiamarono "rosso" questo colore, il terzo che nasceva.

Un altro degli dei cercava un colore per dipingere la speranza. Lo trovò dopo un bel pezzo, lo mostrò all'assemblea degli dei e misero il nome "verde" a questo colore, il quarto. Un altro cominciò a grattare forte la terra. "Che fai?" gli chiesero gli altri dei. "Cerco il cuore della terra" rispose rivoltando terra da ogni lato. Dopo un po' trovò il cuore della terra, lo mostrò agli altri dei e chiamarono "caffé" questo quinto colore.

Un altro dio salì in alto. "Vado a guardare il colore del mondo" disse, e si mise a scalare e scalare fino alla cima. Quando arrivò ben in alto, guardo in giù e vide il colore del mondo, ma non sapeva come portarlo fino a dove si trovavano gli altri dei, allora rimase a guardare per un bel po' finché divenne cieco, poiché ormai aveva attaccato agli occhi il colore del mondo. Discese come poté, a tentoni, e andò all'assemblea degli dei e disse loro: "Porto nei miei occhi il colore del mondo", e "azzurro" chiamarono il sesto colore.

Un altro dio stava cercando colori quando sentì che un bambino rideva, si avvicinò con cautela e, appena il bambino si distrasse, gli prese la risata e lo lasciò piangente. Per questo si dice che i bambini improvvisamente ridono e improvvisamente piangono. Il dio portò la risata del bambino e misero nome "giallo" a questo settimo colore.

A quel punto gli dei erano ormai stanchi e andarono a prendere il pozol e a dormire, e lasciarono i colori in una cassetta buttata sotto un albero di ceiba.

La cassetta non era chiusa bene e i colori uscirono e cominciarono a far chiasso e si amarono e vennero fuori nuovi colori e la ceiba vide tutto e li riparò affinché la pioggia non cancellasse i colori e quando tornarono gli dei i colori non erano più sette ma molti di più e guardarono la ceiba e le dissero: "Tu hai partorito i colori, tu avrai cura del mondo e dalla tua chioma dipingeremo il mondo".

E salirono sulla cima della ceiba e da lì cominciarono a lanciare i colori così l'azzurro rimase parte nell'acqua e parte nel cielo, e il verde cadde sugli alberi e sulle piante, e il caffè, che era più pesante, cadde sulla terra, e il giallo, che era una risata di bambino, volò fino a tingere il sole, il rosso giunse sulla bocca degli uomini e degli animali e lo mangiarono e si colorarono di rosso di dentro, e il bianco e il nero già esistevano nel mondo; gli dei lanciavano i colori senza fare attenzione a dove finivano e alcuni colori spruzzarono gli uomini e per questo vi sono uomini di diversi colori e diverse opinioni.

E poi gli dei si stancarono e andarono nuovamente a dormire. Solo dormire volevano questi dei, che non erano i primi, quelli che generarono il mondo.

E allora, per non dimenticarsi dei colori e perché non si perdessero, cercarono un modo per conservarli. E stavando pensando come fare quando videro il pappagallo e allora lo presero e gli attaccarono i colori e gli allungarono le piume affinché ci stessero tutti. E così fu che il pappagallo prese colore e se ne va in giro nel caso che uomini e donne si dimenticassero che molti sono i colori e le opinioni, e che il mondo sarà allegro se tutti i colori e tutte le opinioni avranno il loro spazio.

Saluti, di nuovo. E che tutti i colori brillino nella CND.

Dalle montagne del sud-est messicano
Subcomandante ribelle Marcos


4 - LA STORIA DELLA SPADA, DELL'ALBERO, DELLA PIETRA E DELL'ACQUA

Lezioni di tattica e strategia

Un'alba settembrina di fango e di pioggia ci sorprese quell'anno in cui un altro terremoto distruggeva l'apatia e la chiusura in se stesso di un paese allora chiamato Messico. Il Vecchio Antonio ravvivò il fuoco nella piccola capanna dove eravamo rifugiati. Tentare di asciugarci era inutile, il Vecchio Antonio lo sapeva. Seccandosi, il fango si trasformava in terra ruvida che feriva la pelle ed i ricordi.

Il Vecchio Antonio pensava, come me, non al fango che s'impastava fino ai capelli, ma a disperdere i moscerini e le zanzare che festeggiavano il nostro umido arrivo. Alla cerimonia del fuoco seguì quella del tabacco e, tra il fumo dell'uno e dell'altro, iniziammo una chiacchierata sulla guerra d'indipendenza.

Il Vecchio Antonio ascoltava e assentiva con lo sguardo quando le mie parole portavano a Hidalgo, a Morelos, a Guerrero, a Mina, al Pipila, ai Galeana. Io non ripetevo una storia imparata, nè recitavo una lezione, cercavo di ricostruire la solitudine di questi uomini e donne ed il loro impegno nel continuare ad andare avanti nonostante la persecuzione e le calunnie che subivano.

Non terminai; mentre parlavo della lunga resistenza della guerriglia di Vicente Guerrero nelle montagne messicane, il Vecchio Antonio mi interruppe con uno schiarirsi della voce di quelli con cui annunciava che una nuova meraviglia stava arrivando alle sue labbra, così come gli arrivava il tepore della pipa fumante.

"Questo mi ricorda qualcosa" disse il Vecchio Antonio mentre soffiava per ravvivare il fuoco ed i ricordi.

Così sui rivoluzionari passati e presenti, nell'incontro fra fumo e fuoco, il Vecchio Antonio scaricò, come chi si libera di un pesante ma prezioso carico, parole che contano...

La storia della spada, dell'albero, della pietra e dell'acqua

Mordicchia la pipa il Vecchio Antonio, mordicchia le parole e dà loro forma e significato. Parla il Vecchio Antonio e la pioggia si ferma ad ascoltare, l'acqua e l'oscurità fanno un riposo.

I nostri più grandi avi dovettero affrontare lo straniero che era venuto a conquistare queste terre. Era venuto lo straniero a imporci un'altra parola, un altro credo, altri dei e un'altra giustizia. La sua giustizia era fatta perchè solo lui potesse possedere e depredare noi. Il suo dio era l'oro. Il suo credo era la superiorità. La sua parola era la menzogna. Il suo modo era la crudeltà.

I nostri, i più grandi guerrieri, si batterono con loro, grandi battaglie ci furono tra i nativi di queste terre per difendere la terra dalla mano dello straniero. Ma grande era anche la forza della mano nemica. Grandi e bravi guerrieri caddero combattendo e morirono. Le battaglie continuavano, i guerrieri erano ormai pochi e le donne e i bambini raccoglievano le armi di quelli che erano caduti.

Si riunirono allora i più saggi degli avi e si raccontarono la storia della spada, dell'albero, della pietra e dell'acqua. Si raccontarono che nei tempi più antichi, là nelle montagne si riunirono le cose che gli uomini usavano per lavorare e difendersi.

Gli dei, com'era loro costume, stavano dormendo perchè allora gli dei erano molto pigri, giacchè non erano più gli dei più grandi, quelli che crearono il mondo, i primi.

L'uomo e la donna stavano sciupandosi nel corpo e crescendo nel cuore in un angolo dell'alba. La notte stava in silenzio. Zitta stava, perchè sapeva che le restava molto poco. Allora parlò la spada.

"Una spada così" si interrompe il Vecchio Antonio, e impugna un grande machete a doppio filo. La luce del fuoco strappa alcune scintille, appena per un istante, all'ombra. Continua il Vecchio Antonio: "Allora parlò la spada e disse":

"Io sono la più forte e posso distruggere tutti. La mia lama è tagliente e do potere a chi mi prende in mano e morte a che mi affronta".

"Menzogna!" disse l'albero "Io sono il più forte, ho resistito al vento ed alla più feroce tormenta".

Combatterono la spada e l'albero. Forte e duro si irrigidì l'albero ed affrontò la spada. La spada colpì e colpì fino a che tagliò il tronco e abbatté l'albero.

"Io sono la più forte" tornò a ripetere la spada.

"Menzogna!" disse la pietra "Io sono la più forte perchè sono dura ed antica, sono pesante e piena".

E si combatterono la spada e la pietra. Dura e ferma, la pietra affrontò la spada. La spada colpì e colpì e non potè distruggere la pietra, però la ruppe in molti pezzi. La spada rimase senza filo e la pietra tutta spezzettata.

"Pareggio!" dissero la spada e la pietra e piansero sull'inutilità del loro scontro.

Intanto, l'acqua del ruscello stava lì guardando la battaglia e non diceva nulla. La guardò la spada e disse:

"Tu sei la più debole di tutti! Non puoi fare nulla a nessuno. Io sono più forte di te!" e la spada si lanciò con gran forza contro l'acqua del ruscello. Vi fu un gran clamore, si spaventarono i pesci e l'acqua non resistè al colpo della spada.

Poco a poco, senza dire nulla, l'acqua tornò a riprendere la sua forma, avvolgendo la spada, e continuando il suo cammino fino al fiume che l'avrebbe portata alla grande acqua che gli dei fecero per calmare la sete.

Passò il tempo e la spada nell'acqua cominciò a diventare vecchia ed arrugginita, perse il filo e i pesci si avvicinavano senza paura e si burlavano di lei. A stento si ritirò la spada dall'acqua del ruscello. Senza filo e ormai sconfitta, si lamentò: "Sono più forte di lei, però non la posso danneggiare e lei, senza combattere, mi ha vinto!"

Se ne andò l'alba e giunse il sole a far alzare l'uomo e la donna che, insieme, si erano stancati per farsi nuovi.

L'uomo e la donna trovarono la spada in un angolo scuro, la pietra tutta spezzettata, l'albero caduto e l'acqua del ruscello che cantava...

Terminarono gli avi di raccontarsi la storia della spada, dell'albero, della pietra e dell'acqua e si dissero: "Ci sono occasioni in cui dobbiamo lottare come se fossimo spada di fronte all'animale, ci sono occasioni in cui dobbiamo lottare come alberi di fronte alla tormenta, ci sono occasioni in cui dobbiamo lottare come pietre di fronte al tempo.
Però ci sono occasioni in cui dobbiamo lottare come l'acqua di fronte alla spada, all'albero, alla pietra. Questa è l'ora di farci acqua e seguire la nostra strada fino al fiume che ci porterà alla grande acqua dove placano la loro sete i grandi dei, quelli che crearono il mondo, i primi.

"Così fecero i nostri nonni" dice il Vecchio Antonio "Resistettero come l'acqua resiste ai colpi più duri. Arrivò lo straniero con la sua forza, spaventò i deboli, credette di vincere e con il tempo andò facendosi vecchio e arrugginito. Finì lo straniero in un angolo di pena e senza capire perchè, pur avendo vinto, era perduto".

Il Vecchio Antonio torna ad accendere la pipa e la legna del focolare e aggiunge: "Così fu che i nostri più grandi e saggi avi vinsero la guerra con lo straniero. Lo straniero se ne andò. Noi siamo qui, come l'acqua del ruscello continuiamo a camminare fino al fiume che dovrà portarci alla grande acqua dove placano la loro sete i più grandi dei, quelli che crearono il mondo, i primi...".

Se ne andò l'alba e con lei il Vecchio Antonio. Io seguii il percorso del sole, ad occidente, costeggiando un ruscello che serpeggiava fino al fiume. Di fronte allo specchio, fra il sole dell'alba e il sole del tramonto c'è la tenera carezza del sole di mezzanotte. Un sollievo che è ferita, un'acqua che è sete, un incontro che continua ad essere ricerca...

Come la spada del racconto del Vecchio Antonio, l'offensiva governativa di febbraio entrò senza nessuna difficoltà nelle terre zapatiste. Potente, luccicante, con una bella impugnatura, la spada del Potere colpì il territorio zapatista. Come la spada del racconto del Vecchio Antonio, fece un gran clamore; come quella, spaventò alcuni pesci. Come nel racconto del Vecchio Antonio, il suo colpo fu grande, forte... e inutile. Come la spada nel racconto del Vecchio Antonio, continua a stare nell'acqua, si arrugginisce e invecchia.

E l'acqua? Prosegue il suo cammino, avvolge la spada e, senza farle caso, arriva fino al fiume che dovrà portarla alla grande acqua dove placano la loro sete i più grandi dei, quelli che crearono il mondo, i primi...

Saluti, e che l'acqua dia sollievo e sazi.
Il Sup navigando in giù per il ruscello.

Dalle montagne del sud-est messicano
Subcomandante ribelle Marcos