VERSO UN'INTERNAZIONALE

DELLA SPERANZA

Giulio Girardi - (Filosofo e teologo della liberazione. Membro del Tribunale Permanente dei Popoli e del Coordinamento della Solidarietà con i Popoli Indigeni).

Compagni e compagne del Comando!

Fratelli e sorelle, fratellini e sorelline de La Garrucha!

Fratelli e sorelle dell'Incontro Continentale!

Ritengo molto importante la comprensione del momento storico che i fratelli zapatisti ci hanno chiamato a vivere convocando questo Incontro Intercontinentale. Per fare ciò è necessario situarlo nel contesto di quel movimento indigeno non solo chiapaneco o messicano, bensì continentale e mondiale che, in questa fine di millennio, rappresenta, a mio avviso , un fenomeno centrale e carico di speranze. Un fenomeno che inciderà in maniera determinante sugli avvenimenti del prossimo millennio.

È evidente per tutte le persone coscienti che l'insurrezione zapatista divide in due la storia contemporanea del Messico: prima e dopo il primo gennaio 1994. Io mi chiedo anche se l'esplosione del movimento indigeno continentale e mondiale degli ultimi dieci anni non divida in due la storia del continente americano e forse di tutto il mondo.

Situare il nostro incontro nel contesto della storia del movimento indigeno mondiale vuol dire situarlo nella trama della storia universale. Vuol dire chiedersi qual'è il ruolo dei popoli indigeni nella civiltà che li ha esclusi e nella costruzione di un mondo che contenga tutti i mondi.

I cinque Aguascalientes che oggi ospitano il nostro Incontro, costruiti nelle e dalle comunità indigene con l'appoggio della società civile messicana, sono il simbolo e l'annuncio della nuova storia che comincia oggi. Una storia della quale noi qui riuniti vogliamo essere attori. Per la prima volta, i popoli indigeni progettano e costruiscono autonomamente vasti spazi di riunione e di mobilitazione politica e culturale. Essi ci hanno convocato all'insegna della necessità di forgiare una nuova unità e di costruire una nuova forza storica. I popoli indigeni del Chiapas hanno convocato i popoli del mondo a condannare solennemente la civiltà del mercato e della morte e a costruire una nuova civiltà dove tutti abbiano diritto di vivere, pensare, amare, cantare e sognare.

La risposta massiccia ed entusiasta che ha ricevuto l'appello degli zapatisti significa il riconoscimento dell'autorità morale e politica del movimento ed in particolare dei popoli indigeni che lo costituiscono. Significa il riconoscimento della portata universale del loro movimento e della loro prospettiva storica; significa infine il riconoscimento della loro attuale funzione di coscienza critica dell'umanità. Nel momento in cui l'umanità attraversa grandi incertezze sul piano etico e dei valori morali, i popoli indigeni hanno molto da dire sulla costruzione di una nuova civiltà.

Compiti del nostro tavolo di lavoro

All'interno di questa prospettiva esigente ed esaltante, il nostro tavolo ha un compito fondamentale. A noi non spetta ripetere le cose già dette con grande chiarezza dagli zapatisti e dai loro consulenti ed invitati nelle sessioni di dialogo (I e II) tenute a Sacamch'en (San Andres de los Pobres). E neppure è nostro compito riprendere il dibattito sviluppato con grande serietà dai 135 delegati di 44 organizzazioni indigene e 28 gruppi educativi, sociali e politici riuniti al Foro Nazionale Indigeno Permanente.

È ovvio che dobbiamo muoverci lungo quelle direttrici. Tuttavia, il carattere specifico del nostro lavoro è determinato dalla dinamica dell'Incontro e dai problemi che esso pone per il destino dell'umanità alle soglie del Terzo Millennio. Ritengo nostro compito definire l'apporto dei popoli indigeni alla costruzione di una nuova civiltà.

Ritengo nostro compito approfondire il discorso che nell'epoca della globalizzazione non si può più pensare ad una trasformazione di uno stato che non comporti allo stesso tempo una trasformazione del mondo. Non è più possibile pensare ad una liberazione dei popoli indigeni che non implichi anche la liberazione degli altri popoli oppressi. Da questa tribuna privilegiata dobbiamo spiegare al mondo i problemi posti dalla ribellione zapatista e la necessità di costruire un'alleanza mondiale degli esclusi e dei ribelli costruita intorno ai popoli indigeni insorti.

Mi sembra che questa prospettiva universale e mondiale costituisca uno dei tratti distintivi del movimento zapatista. L'attrazione nazionale ed internazionale da esso esercitata non proviene solo da un uso intelligente dei mezzi comunicazione, ma dalla dimostrazione che i problemi di povertà ed emarginazione del Chiapas vanno ben oltre le frontiere locali: coinvolgono le grandi masse oppresse del paese e nascono nel sistema economico e politico che costituisce il nuovo ordine mondiale.

Leggendo gli interessanti documenti prodotti dalle prime e seconde ronde di Sacamch'en e paragonando i punti di vista dell'esercito zapatista a quelli del governo federale, salta agli occhi che uno dei principali elementi di disaccordo è proprio questo: mentre gli zapatisti insistono sul carattere nazionale ed universale dei loro problemi e rivendicazioni, il governo pretende di circoscriverli al Chiapas.

La conseguenza immediata di ciò è che mentre gli zapatisti ritengono di non poter soddisfare le loro richieste se non nel contesto di una profonda trasformazione politica, economica, sociale e culturale di tutto il paese, il governo crede di poter risolvere tutto con qualche concessione settoriale o locale. Allo stesso modo, laddove gli zapatisti pensano ad una nuova costituzione, il governo pensa di cavarsela modificando qualche articolo.

Uno dei meriti storici del movimento zapatista è anche aver messo all'ordine del giorno il tema della convergenza profonda tra le varie sofferenze umane; le rivendicazioni dei popoli indigeni e delle maggioranze emarginate del Messico e del mondo ed aver chiarito che oggi gli emarginati non sono più marginali.

All'inserire la problematica indigena in una dimensione mondiale, sappiamo che non ci stiamo allontanando dalla realtà concreta e quotidiana; al contrario crediamo di avvicinarci alle sue dimensioni più profonde.

Sarebbe un grave errore strategico da parte di coloro che lottano per dei profondi cambiamenti se, in nome della concretezza e della pratica, consegnassimo alle forze imperiali il compito di dirigere il mondo e forgiare il futuro. Il nostro Incontro, in quanto si prefigge di contrastare il neoliberismo, si muove nella direzione di una critica dell'attuale organizzazione del mondo. Ponendoci l'obiettivo di trovare alternative al neoliberismo, ci stiamo dando, come prospettiva concreta, il compito di inventare una nuova organizzazione politica ed economica del mondo.

Il fatalismo contro la speranza

Sappiamo bene che, al porre i problemi in modo globale e radicale non li semplifichiamo ma, al contrario, li rendiamo più complessi. Quando, sulla base di analisi obbiettive, si scoprono le dimensioni immense dei problemi che ci aspettano, viene di pensare che, in fin dei conti, si tratti di problemi senza soluzione. Si scatena in tal mondo in ogni coscienza e nella coscienza universale, un conflitto tra fatalismo e speranza. È, probabilmente, il conflitto più grave e decisivo dei giorni nostri.

La cultura che il neoliberismo cerca di imporre al mondo è la cultura del fatalismo. Il fatalismo e la disperazione si convertono nella sostanza del chiamato "pensiero unico" che domina il mondo di oggi e lo paralizza. Il suo successo più importante e tragico è la convinzione introdotta nella coscienza della gente che non esistano alternative.

È una convinzione che, purtroppo, negli ultimi decenni è penetrata anche nella coscienza di molti militanti o ex militanti che hanno abbandonato gli ideali e la passione politica della gioventù per convertirsi al "realismo" e cadere nello scetticismo.

Perfino la sinistra è contaminata da questa convinzione. Essa ha spesso rinunciato alla propria identità e ragion d'essere vivendo la propria sconfitta finale. Cosa significa oggi, in molti paesi essere di sinistra? Molto poco per non dire quasi niente.

Mi chiedo se la scarsa presenza della sinistra ufficiale in questo incontro non significhi che molte organizzazioni hanno smesso di lottare e sono montate sul carro del vincitore.

Perché gli zapatisti e gli indigeni del mondo si mobilitano?

È in tale contesto internazionale che l'appello a formare una Internazionale della speranza lanciato dagli zapatisti assume un significato profondo. Tuttavia è giusto chiedersi con che diritto essi abbiano lanciato un appello così paradossale ed anacronistico.

Io direi: con il diritto acquisito grazie alla mobilitazione di tanti indigeni contro la dittatura nazionale ed internazionale del mercato. Con diritto acquisito grazie alla mobilitazione dei popoli indigeni di tutto il mondo contro il sistema della morte. Con il diritto acquisito grazie a 504 anni di resistenza contro una civiltà etnocida e genocida.

Ed è più che legittimo chiedersi inoltre come si spieghi che gli zapatisti, perfettamente coscienti dell'enorme complessità dei problemi che pongono, perfettamente coscienti della grande sproporzione esistente tra le loro forze e quelle del nemico principale, il blocco imperiale multinazionale, perfettamente coscienti dell'impossibilità di vincere sul piano militare, hanno il coraggio di mettere in gioco la propria vita in una lotta così impari.

La stessa domanda sorge a proposito di tutte le lotte che i popoli indigeni osano intraprendere nei vari paesi del continente e del mondo. La loro estrema inferiorità politica, militare ed economica è evidente. Tuttavia negli ultimi dieci anni, essi insorgono, si mobilitano, si organizzano, lottano, cadono e si rialzano. Essi, evidentemente, lottano per vincere, lottano perché hanno fiducia in se stessi e nei loro alleati; lottano perché, contro l'evidenza, mantengono la speranza.

Essi pensano, e lo hanno ripetuto all'inaugurazione dell'incontro, che un sistema di oppressione non può essere eterno, che la forza del diritto , della giustizia, della solidarietà e dell'amore finiranno per trionfare sul diritto del più forte, che David (il comandante David!) avrà la meglio su Golia. Essi pensano che se la vittoria militare non è possibile, lo è invece quella morale e politica.

È molto importante, mi sembra, che la nostra solidarietà con l'EZ metta in risalto di fronte all'opinione pubblica mondiale la strategia essenzialmente pacifista e non violenta di questo movimento guerrigliero. Sebbene è vero che gli zapatisti abbiano dovuto prendere le armi per poter prendere la parola, è evidente che per trasformare la società messicana e per costruire un mondo nuovo, essi non puntano tanto sulla forza delle armi quanto su quella del diritto. E, nel nostro incontro intercontinentale, una delle cose che più impressionano è il contrasto fra la povertà dei nostri mezzi e la ricchezza dei nostri ideali. È da ricordare che questa scelta etico-politica non è solo propria dell'esercito zapatista ma è comune alla grande maggioranza delle organizzazioni indigene.

Condividere le speranze zapatiste

La nostra solidarietà con l'EZ ed il movimento indigeno mondiale sarebbe alquanto limitata se ci limitassimo ad appoggiare la lotta senza condividere la speranza. Questo è, mi sembra, il senso profondo dell'appello degli zapatisti a costruire l'internazionale della speranza. Gli zapatisti sanno che il diritto, la giustizia, la solidarietà, l'amore si convertono in forze storiche di trasformazione e liberazione, solo se riescono a penetrare nella coscienza delle grandi masse e a metterla in movimento. Se inoltre queste forze storiche pretendono essere il punto di riferimento per una trasformazione del mondo, allora diventa necessario che esse scuotano le coscienze degli oppressi di tutto il mondo. È necessario che esse riescano a costruire intorno agli zapatisti ed agli indigeni del mondo un nuovo blocco popolare contrapposto al blocco imperiale del Nord. È questo nuovo blocco popolare di portata mondiale il contenuto politico e morale più profondo dell'internazionale della speranza che vogliamo fondare.

Questo incontro avrà realmente importanza per il futuro dell'umanità, se tutti coloro che vi partecipano, sapranno condividere fino in fondo il sogno e la speranza degli zapatisti. Se ce ne andiamo di qui con la convinzione che è possibile un'alternativa al sistema della morte, che sta a noi costruirla, che quest'incontro è una pietra importante nella costruzione di un tale futuro. Se usciamo di qui decisi a diffondere ovunque il messaggio zapatista di speranza, soprattutto tra coloro che, dopo anni di militanza entusiasta, sono caduti preda dello sconforto. Se, infine, ce ne andremo di qui gridando: "siamo tutti zapatisti! Siamo tutti indigeni!"

Molti ci accuseranno di essere fuori dal tempo, diranno che la nostra speranza contraddice il "pensiero unico", cioè il pensiero dell'uomo moderno, dell'uomo normale. Ci diranno che condividere il pensiero zapatista è una follia.

Se è vero che solo i pazzi sono capaci di sperare e di lottare per un mondo che contenga tutti i mondi dove l'esclusione non sia più una cosa normale, allora vogliamo che dal nostro incontro venga fuori una grande congiura di pazzi.

La speranza zapatista e india ci ricorda un messaggio del rivoluzionario russo Bakunin: "Solo scommettendo sull'impossibile si è riusciti nel corso della storia a fare delle scoperte e a realizzare il possibile. E tutti coloro che si sono accontentati del possibile non sono avanzati di un pollice".

Viva l'Internazionale della Speranza!

Viva l'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale!

Indice dell'Incontro Intercontinentale