DALL'ADESIONE ALLA COSTRUZIONE; LO ZAPATISMO A PARTIRE DALLE SUE QUATTRO DICHIARAZIONI DELLA SELVA LACANDONA

Javier Elorriaga Berdegué

Dalla Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, iniziano a profilarsi alcune delle caratteristiche della forma con cui l'EZLN concepisce la lotta per la transizione democratica in Messico. Sebbene ci sia alla base di tutto una Dichiarazione di Guerra all'esercito federale, cioè al "massimo supporto" dell'esecutivo federale, ci sono delle particolarità che la rendono differente da un proclama rivoluzionario di taglio classico, intendendo come classici i movimenti rivoluzionari del secolo XX naturalmente. Per esempio, mentre si dichiara guerra all'esecutivo, si lancia un appello agli altri poteri della Nazione, il legislativo e il giudiziario, affinché si assumano le loro responsabilità e destituiscano l'esecutivo "usurpatore". E il massimo del paradosso è, che questa azione, chiaramente di sfida al potere dello Stato, trova il suo fondamento oltretutto nella storia nazionale, richiamandosi all'articolo 39 costituzionale. Una rivoluzione che trova la sua legittimità in una Costituzione, niente di più e niente di meno.

Non è raro allora che a partire da questa prima dichiarazione salti alla vista una delle particolarità politiche più importanti dello zapatismo: la sua lotta politico-militare non è per il potere. E senza dubbio (sempre c'è un senza dubbio in tutto quello che si dice dello zapatismo), questo non vuole assumersi il ruolo di avanguardia autoeletta alla conquista del potere politico. Ci lascia però qualche dubbio leggere che le forze insorgenti impianteranno nei territori liberati le leggi rivoluzionarie zapatiste e, al finale della prima dichiarazione, leggere il classico: "unisciti alle forze insorgenti". Come se gli zapatisti non si aspettassero molto dall'appello ai poteri legislativo e giudiziario e ancora una volta si preparavano per una lotta in cui cercavano d'imporre la loro volontà per mezzo delle armi.

E ciononostante, quando iniziammo a vedere e ad udire l'attuare degli zapatisti, incominciammo pure a capire che la Prima Dichiarazione non spiegava nella sua totalità il movimento. I "potranno questionare i metodi però giammai le cause", "comandare obbedendo", "tutto per tutti, niente per noi", "siamo soldati perché un giorno non siano più necessari i soldati", così come il rispetto della tregua a partire dal giorno 12 gennaio, ci mostravano una guerriglia che usciva fuori da tutti gli stereotipi.

Fu così allora che un esercito popolare, preparato per combattere "fino ad arrivare alla capitale del paese", un esercito formato maggioritariamente da indigeni, di non visti e non ascoltati per secoli e secoli, hanno avuto la capacità non solo di vedere e di udire ma soprattutto di ascoltare e, curiosamente per un esercito, di obbedire... ai civili. Il clamore da parte della società era chiaro: comprendiamo le cause e condividiamo le richieste, però cercate un'altra via per cercare di raggiungerle. E la risposta zapatista fu ugualmente chiara: che le armi lascino il posto alle parole. Fu a partire da questo momento che si giunse ad una sfida ancor più grande di quella di affrontare militarmente l'esercito federale: l'entrare in pieno, di un esercito indigeno, nella lotta politica nazionale.

A partire da questo momento iniziano gli incontri e gli scontri con la società civile e la società politica. Lo zapatismo incomincia a costruire alleanze, a tessere la sua relazione con la società, a cercare di mantenere la sua identità senza essere assimilato, o divorato, dai gruppi politici, cioè, a percorrere il lungo cammino che lo vede diluirsi come esercito ed affermarsi come forza nettamente politica. Questo cambiamento si nota perfettamente nella Seconda Dichiarazione della Selva Lacandona. In questa, allo stesso modo che nella Prima Dichiarazione, di nuovo la storia patria gioca un ruolo importante come elemento identificatore tra l'EZLN e la società, però ora il messaggio principale, che dirige l'azione zapatista, non lascia spazio a dubbi: l'EZLN, mediante la convocazione alla Convenzione Nazionale Democratica, lascia la battuta della lotta politica alla società civile. Durante la Convenzione risaltano le parole zapatiste: "sconfiggeteci, mai sarà tanto dolce la sconfitta come quella che ci può arrivare da voi", vale a dire, quando la vittoria politica della società civile renderà inutili le armi zapatiste. "Dimostrateci che esiste un altro cammino oltre a quello armato", dicono gli zapatisti ai convenzionisti che si sono dati appuntamento nel Aguascalientes selvatico.

Non ci soffermiamo a raccontare ora la storia del perché non riuscì questo tentativo convenzionista, per far questo avremmo bisogno di una intera giornata. L'importante per questi appunti è che nella relazione EZLN-Convenzione, hanno continuato a pesare più i vecchi vizi di un vecchio modo di fare politica che le speranze di fare qualcosa di nuovo. Ciò che è importante far notare è che nonostante che la Convenzione non riuscisse per intero, lo zapatismo continuava a leggere un messaggio che non variava: non usate le armi, continuiamo a tentare la transizione democratica per la via pacifica.

È in questo contesto che appare la Terza Dichiarazione della Selva, con un formato simile alle due anteriori, vale a dire, analisi della congiuntura intercalata con l'esempio della storia nazionale, però con una nuova presa di posizione da parte dello zapatismo. Se nella Prima il messaggio era di unirsi alle forze insorgenti e nella Seconda, società civile organizzati e dimostraci che c'è altra via oltre a quella armata, nella Terza si riconosce che non si è potuto avanzare come si sperava e ora l'EZLN cerca un luogo per l'organizzazione della lotta politica, insieme a ciò che chiama cardenismo e con la Convenzione. L'idea era:

Cardenismo + CND + EZLN = Movimento di Liberazione Nazionale.

L'EZLN non rimaneva già più in disparte aspettando che la società civile si organizzasse, ora voleva un luogo, insieme a quelle che considerava le altre due forze non partitiche importanti, per riuscire ad avanzare nella costruzione della transizione. Questa presa di posizione era importante, perché marcava la decisione dello zapatismo di continuare a costruirsi come forza politica, vale a dire, non speculava sull'idea della lotta armata ma invece avanzava nell'organizzazione della società civile, e di fronte alla lentezza di questo processo s'integrava in pieno nei compiti politici lasciando totalmente da una parte la via armata.

Ma nonostante tutto questo neanche questo intento riuscì, soprattutto per l'offensiva militare che il governo federale lanciò contro l'EZLN nel febbraio del 1995. Con gli zapatisti ripiegati fra le montagne del sudest, Convenzione e cardenismo si dedicarono a ripassare le fratture del passato politico e non riuscirono a camminare insieme. Lo zapatismo dovette allora ricominciare quasi da zero, perché per prima cosa dovette aprire l'accerchiamento politico-militare con cui l'aveva isolato il governo e poi dovette tornare a filare alleanze, piani, ecc. Era chiaro che la Convenzione era già affondata, però era pure vero che la società aveva risposto di fronte all'offensiva governativa di febbraio nello stesso modo dell'anno prima: ribadendo il suo appoggio allo zapatismo e imponendo una via d'uscita pacifica, non armata.

Che fare allora, di fronte alla congiuntura di un governo federale che cerca di distruggerti e una società civile che insiste a dirti di continuare a lottare però senza le armi? La via scelta fu molto zapatista: domandare ed ascoltare. Ed obbedire. Fu allora che gli zapatisti promossero la consulta in cui chiedevano alla società che cammino dovevano imboccare da lì in avanti. La risposta maggioritaria fu, continuate a lottare senza le armi e per questo organizzatevi come forza politica nuova, senza fondersi con nessuna delle forze od organizzazioni già esistenti.

E l'EZLN obbedì, e rispose a questa consulta con la Quarta Dichiarazione della Selva Lacandona, il cui principale messaggio è chiamare alla costruzione del Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale, vale a dire, ad una opzione politico-organizzativa nettamente zapatista. Non aspettare più che la società civile si organizzi e li "sconfigga", ma invece organizzarsi direttamente con tutti quelli che sono disposti a andare avanti organicamente con i ribelli del sud. Una forza quindi che incammina i suoi sforzi ad organizzare i non organizzati e che rispetta la norma zapatista di non lottare per il potere, ma invece, per la costruzione, insieme con altre forze politiche e sociali, di uno spazio veramente democratico che dia un forte impulso alla transizione democratica. L'interessante di questo appello è che lo zapatismo mantiene la sua idea che deve costruire, che deve camminare, insieme con, e non davanti a, la società civile. Così, non c'è un appello ad integrarsi ad un Fronte già strutturato, con programma, statuto e o altre diavolerie partitarie, ma che costruiscano insieme, civili e insorgenti, questo spazio organizzativo in cui, in un futuro prossimo, gli zapatisti possano partecipare senza necessità delle armi. La tradizione storica di lanciare un Piano, un Manifesto o un Programma in cui inviti gli altri ad aggregarsi ad un progetto perfettamente delineato e strutturato, rimane ora solo nel passato dopo la Quarta Dichiarazione. Lo zapatismo insiste così, non solo sul fatto che non ha tutte le risposte alla problematica sociale e politica che viviamo, ma pure sul fatto che non le vuole, né le può avere. Insiste nel restare un esercito che vuole smettere d'esserlo e vuole che il suo slogan di comandare obbedendo non sia solamente una meta per il futuro, ma un principio organizzativo nel presente.

La pratica del "comandare obbedendo" e della "non presa del potere" come fili direttivi del che fare politico zapatista, uniti all'analisi congiunturale e storica, hanno permesso che dalla richiesta di "adesione" del gennaio del '94 (Prima Dichiarazione) si passi al "costruiamo" insieme del gennaio del '96 (Quarta Dichiarazione), lo zapatismo è già maturato come forza politica e si è già guadagnato un posto nella lotta per la democrazia in Messico.

(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)

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