Dalla Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, iniziano
a profilarsi alcune delle caratteristiche della forma con cui
l'EZLN concepisce la lotta per la transizione democratica in Messico.
Sebbene ci sia alla base di tutto una Dichiarazione di Guerra
all'esercito federale, cioè al "massimo supporto"
dell'esecutivo federale, ci sono delle particolarità che
la rendono differente da un proclama rivoluzionario di taglio
classico, intendendo come classici i movimenti rivoluzionari del
secolo XX naturalmente. Per esempio, mentre si dichiara guerra
all'esecutivo, si lancia un appello agli altri poteri della Nazione,
il legislativo e il giudiziario, affinché si assumano le
loro responsabilità e destituiscano l'esecutivo "usurpatore".
E il massimo del paradosso è, che questa azione, chiaramente
di sfida al potere dello Stato, trova il suo fondamento oltretutto
nella storia nazionale, richiamandosi all'articolo 39 costituzionale.
Una rivoluzione che trova la sua legittimità in una Costituzione,
niente di più e niente di meno.
Non è raro allora che a partire da questa prima dichiarazione
salti alla vista una delle particolarità politiche più
importanti dello zapatismo: la sua lotta politico-militare non
è per il potere. E senza dubbio (sempre c'è un senza
dubbio in tutto quello che si dice dello zapatismo), questo non
vuole assumersi il ruolo di avanguardia autoeletta alla conquista
del potere politico. Ci lascia però qualche dubbio leggere
che le forze insorgenti impianteranno nei territori liberati le
leggi rivoluzionarie zapatiste e, al finale della prima dichiarazione,
leggere il classico: "unisciti alle forze insorgenti".
Come se gli zapatisti non si aspettassero molto dall'appello
ai poteri legislativo e giudiziario e ancora una volta si preparavano
per una lotta in cui cercavano d'imporre la loro volontà
per mezzo delle armi.
E ciononostante, quando iniziammo a vedere e ad udire l'attuare
degli zapatisti, incominciammo pure a capire che la Prima Dichiarazione
non spiegava nella sua totalità il movimento. I "potranno
questionare i metodi però giammai le cause", "comandare
obbedendo", "tutto per tutti, niente per noi",
"siamo soldati perché un giorno non siano più
necessari i soldati", così come il rispetto della
tregua a partire dal giorno 12 gennaio, ci mostravano una guerriglia
che usciva fuori da tutti gli stereotipi.
Fu così allora che un esercito popolare, preparato
per combattere "fino ad arrivare alla capitale del paese",
un esercito formato maggioritariamente da indigeni, di non visti
e non ascoltati per secoli e secoli, hanno avuto la capacità
non solo di vedere e di udire ma soprattutto di ascoltare e, curiosamente
per un esercito, di obbedire... ai civili. Il clamore da parte
della società era chiaro: comprendiamo le cause e condividiamo
le richieste, però cercate un'altra via per cercare di
raggiungerle. E la risposta zapatista fu ugualmente chiara: che
le armi lascino il posto alle parole. Fu a partire da questo momento
che si giunse ad una sfida ancor più grande di quella di
affrontare militarmente l'esercito federale: l'entrare in pieno,
di un esercito indigeno, nella lotta politica nazionale.
A partire da questo momento iniziano gli incontri e gli scontri
con la società civile e la società politica. Lo
zapatismo incomincia a costruire alleanze, a tessere la sua relazione
con la società, a cercare di mantenere la sua identità
senza essere assimilato, o divorato, dai gruppi politici, cioè,
a percorrere il lungo cammino che lo vede diluirsi come esercito
ed affermarsi come forza nettamente politica. Questo cambiamento
si nota perfettamente nella Seconda Dichiarazione della
Selva Lacandona. In questa, allo stesso modo che nella Prima Dichiarazione,
di nuovo la storia patria gioca un ruolo importante come elemento
identificatore tra l'EZLN e la società, però ora
il messaggio principale, che dirige l'azione zapatista, non lascia
spazio a dubbi: l'EZLN, mediante la convocazione alla Convenzione
Nazionale Democratica, lascia la battuta della lotta politica
alla società civile. Durante la Convenzione risaltano le
parole zapatiste: "sconfiggeteci, mai sarà tanto dolce
la sconfitta come quella che ci può arrivare da voi",
vale a dire, quando la vittoria politica della società
civile renderà inutili le armi zapatiste. "Dimostrateci
che esiste un altro cammino oltre a quello armato", dicono
gli zapatisti ai convenzionisti che si sono dati appuntamento
nel Aguascalientes selvatico.
Non ci soffermiamo a raccontare ora la storia del perché
non riuscì questo tentativo convenzionista, per far questo
avremmo bisogno di una intera giornata. L'importante per questi
appunti è che nella relazione EZLN-Convenzione, hanno continuato
a pesare più i vecchi vizi di un vecchio modo di fare politica
che le speranze di fare qualcosa di nuovo. Ciò che è
importante far notare è che nonostante che la Convenzione
non riuscisse per intero, lo zapatismo continuava a leggere un
messaggio che non variava: non usate le armi, continuiamo a tentare
la transizione democratica per la via pacifica.
È in questo contesto che appare la Terza Dichiarazione
della Selva, con un formato simile alle due anteriori, vale a
dire, analisi della congiuntura intercalata con l'esempio della
storia nazionale, però con una nuova presa di posizione
da parte dello zapatismo. Se nella Prima il messaggio era di unirsi
alle forze insorgenti e nella Seconda, società civile
organizzati e dimostraci che c'è altra via oltre a quella
armata, nella Terza si riconosce che non si è potuto
avanzare come si sperava e ora l'EZLN cerca un luogo per l'organizzazione
della lotta politica, insieme a ciò che chiama cardenismo
e con la Convenzione. L'idea era:
Cardenismo + CND + EZLN = Movimento di Liberazione Nazionale.
L'EZLN non rimaneva già più in disparte aspettando
che la società civile si organizzasse, ora voleva un luogo,
insieme a quelle che considerava le altre due forze non partitiche
importanti, per riuscire ad avanzare nella costruzione della transizione.
Questa presa di posizione era importante, perché marcava
la decisione dello zapatismo di continuare a costruirsi come forza
politica, vale a dire, non speculava sull'idea della lotta armata
ma invece avanzava nell'organizzazione della società civile,
e di fronte alla lentezza di questo processo s'integrava in pieno
nei compiti politici lasciando totalmente da una parte la via
armata.
Ma nonostante tutto questo neanche questo intento riuscì,
soprattutto per l'offensiva militare che il governo federale lanciò
contro l'EZLN nel febbraio del 1995. Con gli zapatisti ripiegati
fra le montagne del sudest, Convenzione e cardenismo si dedicarono
a ripassare le fratture del passato politico e non riuscirono
a camminare insieme. Lo zapatismo dovette allora ricominciare
quasi da zero, perché per prima cosa dovette aprire l'accerchiamento
politico-militare con cui l'aveva isolato il governo e poi dovette
tornare a filare alleanze, piani, ecc. Era chiaro che la Convenzione
era già affondata, però era pure vero che la società
aveva risposto di fronte all'offensiva governativa di febbraio
nello stesso modo dell'anno prima: ribadendo il suo appoggio allo
zapatismo e imponendo una via d'uscita pacifica, non armata.
Che fare allora, di fronte alla congiuntura di un governo
federale che cerca di distruggerti e una società civile
che insiste a dirti di continuare a lottare però senza
le armi? La via scelta fu molto zapatista: domandare ed ascoltare.
Ed obbedire. Fu allora che gli zapatisti promossero la consulta
in cui chiedevano alla società che cammino dovevano imboccare
da lì in avanti. La risposta maggioritaria fu, continuate
a lottare senza le armi e per questo organizzatevi come forza
politica nuova, senza fondersi con nessuna delle forze od organizzazioni
già esistenti.
E l'EZLN obbedì, e rispose a questa consulta con la
Quarta Dichiarazione della Selva Lacandona, il cui principale
messaggio è chiamare alla costruzione del Fronte Zapatista
di Liberazione Nazionale, vale a dire, ad una opzione politico-organizzativa
nettamente zapatista. Non aspettare più che la società
civile si organizzi e li "sconfigga", ma invece organizzarsi
direttamente con tutti quelli che sono disposti a andare avanti
organicamente con i ribelli del sud. Una forza quindi che incammina
i suoi sforzi ad organizzare i non organizzati e che rispetta
la norma zapatista di non lottare per il potere, ma invece, per
la costruzione, insieme con altre forze politiche e sociali, di
uno spazio veramente democratico che dia un forte impulso alla
transizione democratica. L'interessante di questo appello è
che lo zapatismo mantiene la sua idea che deve costruire, che
deve camminare, insieme con, e non davanti a, la società
civile. Così, non c'è un appello ad integrarsi ad
un Fronte già strutturato, con programma, statuto e o altre
diavolerie partitarie, ma che costruiscano insieme, civili e insorgenti,
questo spazio organizzativo in cui, in un futuro prossimo, gli
zapatisti possano partecipare senza necessità delle armi.
La tradizione storica di lanciare un Piano, un Manifesto o un
Programma in cui inviti gli altri ad aggregarsi ad un progetto
perfettamente delineato e strutturato, rimane ora solo nel passato
dopo la Quarta Dichiarazione. Lo zapatismo insiste così,
non solo sul fatto che non ha tutte le risposte alla problematica
sociale e politica che viviamo, ma pure sul fatto che non le vuole,
né le può avere. Insiste nel restare un esercito
che vuole smettere d'esserlo e vuole che il suo slogan di comandare
obbedendo non sia solamente una meta per il futuro, ma un principio
organizzativo nel presente.
La pratica del "comandare obbedendo" e della "non
presa del potere" come fili direttivi del che fare politico
zapatista, uniti all'analisi congiunturale e storica, hanno permesso
che dalla richiesta di "adesione" del gennaio del '94
(Prima Dichiarazione) si passi al "costruiamo" insieme
del gennaio del '96 (Quarta Dichiarazione), lo zapatismo è
già maturato come forza politica e si è già
guadagnato un posto nella lotta per la democrazia in Messico.
(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)
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