Documento finale del Tavolo 5A:

La realtà come Barbarie: autoritarismo, genocidio, etnocidio, guerra civile.


Introduzione

I temi di questo sottogruppo sono stati discussi da circa 35 compagni provenienti da Germania, Belgio, Canada, Paesi Baschi, Catalogna, Isole Canarie, Francia, Stati Uniti e Giappone. Per il Messico erano presenti: Consejo Guerrerense 500 Años de Resistencia Indigena y Negra, l'Organizzazione Xi Nich di Palenque Chiapas, il Comitè Civil Zapatista 17 de Noviembre del Distretto Federale, il Comitè Civil para el Dialogo "El Arco, Donato Guerra".

La rappresentanza dell'EZLN era formata dai comandanti Hernan, Daniela, Dionisio e Simon.

Gli interventi danno corpo ad un mosaico di esperienze molto diverse, delle forme con cui la tappa attuale di sviluppo del neoliberismo attua a livello mondiale, legata alla militarizzazione e alla repressione delle diversità culturali ed etniche, delle minoranze e delle dissidenze. Parliamo delle diverse forme che hanno adottato le differenti lotte per resistere all'oppressione, alle disuguaglianze, alle discriminazioni e alla negazione dei diritti dei popoli. Queste lotte hanno avuto molteplici sviluppi nel mondo, dalla lotta fondamentale per la sopravvivenza e la riproduzione fisica e culturale, fino alla lotta per l'autodeterminazione, l'autonomia e la democrazia.

Non abbiamo trattato in modo esteso il tema dell'autoritarismo, anche se è sempre stato implicito nella discussione, ci sono stati molti più interventi sul razzismo. Allo stesso modo abbiamo parlato più del militarismo e della guerra di bassa intensità, che della guerra civile.

A continuazione riportiamo in maniera sintetica le idee espresse su questi problemi:

1) Le facce della barbarie

1.1 Il razzismo

Il razzismo è una delle basi su cui si costruiscono il genocidio e l'etnocidio. L'esperienza ci mostra, che il razzismo si esprime in maniera molto diversa nei vari livelli della società e che i suoi fondamenti più importanti sono le differenze economiche.

Possiamo poi considerare come una delle sue molteplici espressioni la legislazione, che definisce categorie di popolazioni in base alle loro caratteristiche razziali e culturali, in modo da non concedere i medesimi diritti. È questo il caso della "Indians Act" nella Costituzione canadese del 1867, che dava agli indigeni il medesimo status dei bambini e dei malati mentali, quindi negava loro il diritto di voto. Inoltre la legislazione limitava loro le manifestazioni culturali e spirituali, la possibilità di associarsi o separarsi nella proprietà della terra e in qualsiasi altra attività e li confinava in territori chiamati riserve. La legge degli indigeni canadesi è servita come modello per l'apartheid in Sud Africa, che rappresenta l'esempio estremo di legittimazione del razzismo con la segregazione razziale. Grazie al sistema di sviluppo separato, la popolazione nera vive in territori nominalmente indipendenti, che in realtà sono veri inganni coloniali, e costituiscono riserve di manodopera per la minoranza bianca, che domina il paese.

Non succede spesso che una legislazione stabilisca un sistema di discriminazione apertamente razzista, è molto più comune che la legislazione non riconosca le differenze culturali ed etniche, non permetta o non favorisca il diritto all'espressione, alla conservazione e allo sviluppo delle identità dei diversi gruppi che formano gli stati nazionali. Laddove la legislazione è discriminatoria, la lotta per modificarla costituisce un primo passo. Nella maggioranza dei casi, le leggi si basano su principi formali di uguaglianza, apparentemente non contengono elementi di discriminazione e il problema si fonda sulla mancanza di un autentico stato di diritto, grazie al quale tutti gli individui, senza differenze di condizioni razziali, socioeconomiche o etniche, possano essere pienamente cittadini. Il successo di questo compito presupporrebbe di privare il potere di una delle sue armi più efficienti, più dolorose e più inumane. Per ciò che concerne specificatamente il neoliberismo, bisogna segnalare che, sebbene non abbia come movente il razzismo, ma il raggiungimento del massimo guadagno, le disuguaglianze economiche costituiscono la sua base fondamentale. Questa base è la terra fertile su cui si possono seminare le diverse espressioni di razzismo e i conflitti tra le popolazioni. Un fenomeno piuttosto ricorrente nella storia mondiale è la colpevolizzazione di un gruppo con caratteristiche etniche e razziali particolari, quando si verificano periodi di crisi e di insicurezza sociale, economica e politica. I gruppi stigmatizzati possono essere immigrati (come i Magrebini in Francia, i Messicani negli Stati Uniti o i Turchi in Germania...) o di qualsiasi altro tipo.

Fratelli che vivono negli Stati Uniti ci mettono in all'erta sulla crescita dei gruppi razzisti in questo paese, costituitisi attorno a una ideologia che esalta la supremazia della razza bianca. Questi gruppi hanno acquistato così tanta forza, da avere rappresentanti nel Congresso dell'Unione. Le condizioni di disoccupazione, i sentimenti di sfiducia personale e la mancanza di speranza nel futuro, fanno sì che molti giovani siano facilmente reclutabili da questi gruppi.

1.2) I nazionalismi xenofobi, un pericolo per la pace.

Al nostro tavolo si è anche lanciato un grido di allarme verso i nazionalismi, che vanno acquisendo tinte di intolleranza e xenofobia, convertendosi in un pericolo per la pace. Questi processi sono alimentati da forti gruppi, legati all'industria degli armamenti, interessata a fomentare conflitti per interessi propri. Questo è il caso delle lotte sviluppate in Yugoslavia: sarebbe difficile convincere Serbi, Croati o altri, a uccidere, violentare per far acquisire potere e benefici economici ai loro dirigenti. È necessaria la manipolazione ideologica, che fomenta l'odio per un'altra razza o verso un altro gruppo etnico.

In sintesi razzismo e xenofobia servono al potere come strumenti per mobilitare la popolazione, per renderla esecutrice delle sue politiche genocide. Sono meccanismi utilizzati, in modo ricorrente, nella storia.

1.3) Il genocidio

Sono multiple le forme attraverso cui praticare un genocidio e un etnocidio. Il genocidio aperto viene perpetrato attraverso guerre di sterminio, come quello che hanno subito gli indiani del Nord America e di molte regioni del Sud America. La stessa cosa si può portare avanti più subdolamente, lasciando che i popoli muoiano a causa di povertà, malattie e fame, come capita in Messico. Per uccidere i popoli non sono necessarie le armi, bastano le malattie curabili. A questo si aggiunge l'impossibilità di accesso all'educazione, fatto che obbliga gli indigeni a svolgere solo i lavori peggiori, in qualità di manodopera non qualificata e super sfruttata. Inoltre le risorse naturali delle loro regioni sono sfruttate da compagnie transnazionali, che si portano via il guadagno, lasciando solo il disastro ecologico.

Il Chiapas è un buon esempio di una stato ricco di risorse, con la maggioranza della popolazione impoverita. Genera energia elettrica per il resto del paese, ma nonostante questo, le sue comunità indigene non godono di questo servizio o lo debbono pagare caro. I bacini idroelettrici hanno occupato terre coltivabili che producevano alimenti di base. Qualcosa di simile è capitato in Canada, dove la società crede che esista un autogoverno indigeno, mentre nella realtà il governo centrale favorisce le transnazionali, permettendo che sfruttino il territorio indigeno, estraendo materiali ed impoverendolo.

Per condurre politiche genocide i governi hanno necessità di politiche ideologiche che creano alibi, grazie alle quali la popolazione non direttamente coinvolta mantenga il silenzio e non abbia reazioni. È il caso del Guatemala, dove è stato perpetrato un genocidio, continuo e sistematico, generato da interessi politico-economici statunitensi ed eseguito dal governo guatemalteco, fra l'indifferenza generale.

1.4) L'etnocidio

La distruzione di un gruppo umano si può effettuare anche attraverso la distruzione della sua cultura. L'assassinio culturale di gruppi etnici è stato il processo più frequente nella storia recente dell'umanità. L'etnocidio si definisce come la distruzione sistematica della identità culturale di un gruppo, intesa come disegno politico dello stato e non come processo spontaneo di cambiamento culturale. In questo sottogruppo si sono forniti numerosi esempi di etnocidi, come quelli operati dalla Francia nei confronti di Bretagna, Corsica e Occitania; dal governo franchista contro catalani e baschi; dall'Inghilterra contro gli irlandesi, i gallesi e gli scozzesi; dagli Stati Uniti e dai governi dei paesi latino-americani, contro le rispettive popolazioni indigene.

Si è osservato che le società eterogenee per cultura ed etnia, non riconoscono il loro pluralismo. In termini storici, la tendenza è sempre stata la supremazia di un gruppo sopra gli altri, siano questi in maggioranza o minoranza. Quindi il gruppo dominante identifica la nazione con i propri interessi e utilizza concetti come l'interesse nazionale, l'unità e la sicurezza nazionale per reprimere chiunque gli si opponga. La costruzione della nazione, in base all'omogeneità etnica, facilmente assume il razzismo a ideologia nazionale, come è successo nella Germania nazista.

La scuola ha avuto, nella maggioranza dei casi, un ruolo fondamentale nella scomparsa delle identità culturali, proibendo le lingue non ufficiali e reprimendo le espressioni dei differenti aspetti della cultura, come religione, musica e medicina. Un esempio di politica diretta ad eliminare la cultura indigena, attraverso l'educazione, ce lo dà il Canada, con il suo sistema di internati per bambini indigeni, iniziati nel 1965. I bambini erano costretti a lasciare, in tenera età le loro case di origine, per andare a vivere in case-scuola dove non era permesso loro parlare la propria lingua e si insegnava loro un sentimento di vergogna verso la loro "indianità". Non potevano praticare i loro riti e ci furono molti casi di abusi fisici e sessuali. A 18 anni potevano ritornare alle loro comunità, ma già avevano perso la loro cultura. L'istruzione ricevuta, preparava le bambine a diventare domestiche e i bambini a diventare lavoratori delle categorie più basse. La comunità perdeva, così, il costume di allevare ed educare i propri figli. A causa degli abusi ricevuti, molti poi ripetevano questo comportamento. Questo sistema di internato proseguì fino al 1970.

Di fronte alle molteplici evidenze di etnocidi, si è insistito sul fatto che il rispetto dell'identità culturale dei popoli deve essere riconosciuta come diritto attivo, che si traduca in politiche di appoggio effettivo al loro sviluppo culturale e materiale. Ad esempio le scuole dovranno essere luoghi di approfondimento della propria cultura, luoghi di scambio di conoscenze, per evitare il pericolo che una cultura si ripieghi su se stessa, incrementando il proprio isolamento.

1.5 La guerra di bassa intensità

Nella prima sessione il comandante Hernan ha invitato i partecipanti al tavolo a considerare le situazioni di guerra contro i popoli, e ha esposto in particolare le aggressioni che le comunità indigene del Chiapas soffrono. Gli interventi riguardanti questo punto sono giunti alle seguenti conclusioni.

Quando i popoli oppongono resistenza alle politiche che li opprimono e li emarginano, i governi utilizzano tutto il loro potenziale bellico e poliziesco contro di loro. Le nuove modalità di oppressione e persecuzione che mirano al controllo sociale e/o allo sterminio, adottano ora la guerra di bassa intensità. Si tratta della scienza repressiva perfezionata dagli Stati Uniti dopo la guerra del Vietnam, utilizzata contro i popoli del Centro America ed ora applicata a tutti i conflitti. La strategia consiste in una persecuzione costante, con l'obiettivo di intimidire, demoralizzare e destabilizzare le comunità nelle più diverse maniere. Un esempio di questa politica è il caso dei Navajo di Big Mountain, in Arizona: una legge federale ha sottratto loro le terre, in dieci anni, per difendere gli interessi delle industrie del carbone e dell'uranio. I soldati entrano per periodicamente nelle loro terre per uccidere gli agnelli degli indigeni, con la scusa che oltrepassano il numero stabilito e tagliano gli alberi per distruggere l'ambiente. In Messico, come in altri paesi del terzo mondo, il neoliberismo si esprime contro il popolo in maniera selvaggia. Come nel resto del pianeta, non è assolutamente interessato al benessere della popolazione, all'armonia e alla vita umana. Lo stato si sta ritirando dal suo ruolo di benefattore e tutti i servizi, che prima offriva, si stanno privatizzando. Nello stesso tempo in cui l'economia si apre, la politica si richiude e aumenta la repressione, e dato che il sistema non è capace di fare concessioni, allora usa la forza.

La guerra di bassa intensità adotta in Messico il sistema della militarizzazione delle zone indigene, con il pretesto di combattere il narcotraffico o la presunta presenza della guerriglia. Mentre il governo dialoga con l'EZLN, aumenta la sua presenza militare in Chiapas e nelle altre regioni del paese con alta percentuale di popolazione indigena. Aumentano i suoi apparati di investigazione e di addestramento per avviare i giovani verso i gruppi paramilitari, in modo che la presenza di questi gruppi divida le comunità, dopo la partenza dell'esercito. Porta avanti una politica sistematica: di assassinio di dirigenti di organizzazioni civili e dei partiti dell'opposizione, di interventi per dividere le comunità e i villaggi e propiziare conflitti fra i vari gruppi. Il tavolo non ha preso in considerazione il problema del rischio altissimo di guerre civili, che queste strategie portano.

2) Risposte di resistenza e di lotta.

2.1 Resistenza al militarismo

Il militarismo è un'imposizione dei governi ai popoli, che nel suo cammino spesso incontra resistenza da parte dei civili. È il caso del movimento degli obiettori di coscienza in Spagna, che non accettano di fare il servizio militare per ragioni di coscienza. Contrapposti ad una legislazione secondo cui possono essere processati ed andare in carcere, il movimento si è trasformato in disobbedienza alla legge, in disobbedienza civile. Diversi gruppi di appoggio, culturali, giovanili, di padri e di madri si articolano con il movimento di disobbedienza. Il movimento ha avuto successo, ha guadagnato forza, e quindi ha obbligato lo stato a cambiare strategia, applicando una repressione selettiva e poi successive amnistie. Recentemente, il governo ha cercato di modificare la legislazione per privare gli obiettori del diritto al voto ed a svolgere funzioni pubbliche.

2.2 La lotta per il diritto all'autodeterminazione dei popoli

Il concetto di autodeterminazione dei popoli e il diritto di costituirsi in stati indipendenti nasce a partire dalla Prima Guerra Mondiale, ma questo diritto non è riconosciuto da tutti gli stati.

I partecipanti a questo tavolo si sono trovati d'accordo sul fatto che l'autodeterminazione è un diritto umano, fondamentale e collettivo, che dovrebbe proteggere tutte le comunità etniche, tutti i popoli, che siano dotati di organizzazione politica, di stato, o facciano parte di stati sovranazionali. Gli stati, al di là di considerazioni politiche, devono ammettere che, come principio giuridico, il diritto all'autodeterminazione, basato su idee di libertà e democrazia, genera obblighi al resto dei popoli e degli stati. Il riconoscimento di questo diritto dovrebbe essere la base per la costruzione della pace, là dove ci sono conflitti.

Il diritto dei popoli colonizzati a configurarsi in un nuovo stato attraverso l'indipendenza risulta totalmente chiaro, incluso il diritto a prendere le armi per ottenerlo. Una questione molto dibattuta è stata se le regioni culturali e socioeconomiche all'interno gli stati europei debbano cercare il proprio riconoscimento attraverso autonomie, che permettano loro di affermare la propria lingua, un'educazione non repressiva delle loro tradizioni, oppure se debbano cercare la separazione totale. Il dilemma risulta evidente osservando le diverse tendenze nazionaliste, come nel caso dei Paesi Baschi, alcune radicali ed altre moderate.

D'altra parte, ricordiamo il pensiero di Franz Fannon, che segnalava come le guerre di liberazione possano essere seguite da nuove forme di oppressione che conducono a lotte fratricide e a guerre civili. Metteva pure in guardia contro il pericolo della riproduzione del sistema di dominio e sfruttamento all'interno dei nuovi stati, come è accaduto in Algeria, in vari paesi dell'Africa nera, e in tutti i paesi latino-americani, dopo l'indipendenza dall'impero spagnolo.

L'autonomia e l'autodeterminazione dovrebbero intendersi, per tanto, come mezzi per la liberazione dei popoli, e non come dei fini. Di fatto, nessuno di questi progetti ha garantito l'uguaglianza sociale definitiva, per ottenere la quale è necessario un processo di rinnovamento costante delle lotte, dalle resistenze pacifiche fino alla rivoluzione permanente.

D'altro canto, oltre a calpestare i diritti dei propri gruppi etnici, ci sono Stati, che calpestano il diritto all'autodeterminazione di altri stati. Tale è il caso degli Stati Uniti si arrogano il diritto di emettere risoluzioni che puniscono altri stati in funzione della loro politica rispetto al narcotraffico, o peggio ancora di sancire l'embargo a Cuba. La globalizzazione delle leggi repressive, che permette di passare le frontiere per perseguire individui o gruppi, costituisce un altro esempio ancora.

II.3. L'autonomia, una proposta dei popoli indigeni per costruire la democrazia

L'autonomia, che propongono per i popoli indigeni, organizzazioni come il Consiglio Guerrerense 500 Anni di Resistenza Indigena e Nera, e Xi Nich, discussa e approvata dal Foro Nazionale Indigeno, ha un senso molto differente dal separatismo, dato che cerca di modificare la relazione tra questi popoli e lo stato, in termini di rispetto e di vera democrazia, senza rompere l'unità nazionale.

In Messico non esiste un regime per le autonomie all'interno della costituzione; inoltre, come è accaduto in altri paesi, le riforme costituzionali recenti hanno ottenuto una retrocessione sostanziale riguardo al riconoscimento dei diritti dei lavoratori urbani e rurali. Si deve poi considerare che in Messico le garanzie costituzionali individuali e collettive sono violate quotidianamente e in modo sistematico. Ciò che il governo chiama stato di diritto in realtà è una grande menzogna, quindi, la democrazia effettiva è ancora un'idea sovversiva, un'aspirazione ad una vita con dignità, non ancora raggiunta.

È chiaro che con una simile prospettiva, non può esserci autonomia senza democrazia e l'autonomia è l'apporto indigeno alla democrazia. Gli indigeni messicani non vogliono una balcanizzazione o la creazione di riserve per le popolazioni indigene, ma un nuovo progetto di nazione, che ponga fine all'emarginazione e all'esclusione, che c'è stata fino ad ora, garantendo la rappresentanza indigena a tutti i livelli del governo. Non è necessario avere dei laureati per governare, ma conoscere a fondo i problemi e le necessità dei popoli. Per costruire un regime autonomo, è necessario conoscere altre esperienze, non per imitarle, ma per tenere conto delle condizioni specifiche di ciascuna regione. La maggioranza del popolo messicano è povero: ciò che chiede è una vita degna. La cosa da sottolineare è che, nel processo di autonomia, si assegna alla donna indigena un ruolo fondamentale, perché non si potrà mai avere un regime di autonomia libera se non vengono riconosciuti uguali diritti tra uomo e donna. Si è riconosciuto un pericolo possibile, la possibilità che il governo approfitti dell'autonomia per sbarazzarsi delle sue responsabilità nel campo dell'educazione, della salute, della ridistribuzione delle risorse, attraverso una decentralizzazione; questo ci porta a progettare nuove alternative e strategie di lotta.

Conclusioni

Come lottare contro il neoliberismo, come fermare l'etnocidio e l'autoritarismo, come ottenere la pace.

Il neoliberismo ha globalizzato la barbarie: è fonte di povertà per la maggioranza, di distruzione dell'ambiente, di militarizzazione e di guerra. Ha avuto un grande successo nel recare benessere ad una minoranza, ma il suo progetto non riguarda una gran parte della popolazione, che rimane emarginata, senza lavoro ed esclusa. Fomenta la militarizzazione come problema internazionale e se una popolazione rappresenta un ostacolo sul suo cammino, la elimina. Questo incontro ci ha permesso di constatare che il neoliberismo, non colpisce solo i paesi arretrati, ma che anche nei paesi avanzati, come Giappone, Stati Uniti ed Europa, ci sono gravi problemi di disoccupazione, di oppressione, di disuguaglianza e di non riconoscimento dei diritti delle minoranze etniche. È chiaro che non è possibile raggiungere il rispetto reale dei diritti politici ed umani, se ci sono forti disuguaglianze economiche e sociali.

Solo sforzi globali possono contrastare la globalizzazione neoliberista. Per questo dobbiamo formare comitati di resistenza contro il neoliberismo in ogni luogo, raggiungere una unità internazionale contro la disoccupazione, la disuguaglianza e la militarizzazione, Questo incontro deve poter avere continuità, continuando ad unire forze per la lotta internazionalista. Questo implica la formazione di reti che informino, che facciano conoscere le forme di resistenza e di lotta che esistono, che amplifichino il grido di allarme in caso di repressione e che chiamino ad azioni di solidarietà internazionale, là dove sia necessario.

Perciò:

1) Ci associamo all'appello dell'Ezln per la costruzione un fronte ampio internazionale, l'intercontinentale della speranza. In questo fronte bisogna far entrare il numero più alto possibile di rappresentanti di paesi africani e dell'Asia sudorientale, la cui scarsa presenza a questo incontro è un fatto lamentabile.

2) La formazione di comitati civili di appoggio all'Ezln e di solidarietà internazionalista ad altri popoli oppressi nel mondo, è l'unica maniera di evitare massacri. Dobbiamo imparare dagli zapatisti la capacità di organizzare e mobilitare ampi settori. La solidarietà con queste lotte si converte in una forma di resistenza nei nostri quartieri, nei luoghi di lavoro ed in azioni contro il neoliberismo e la crescente militarizzazione. Ma la solidarietà internazionale non deve limitarsi a quelle zone dove ci sono conflitti in atto, dovrebbe sviluppare meccanismi che permettano di riconoscere e denunciare situazioni di ingiustizia prima che si configuri il conflitto.

3) I mezzi di comunicazione sono un'arma molto potente per controllare le coscienze e costituiscono un campo dove dobbiamo dare battaglia, per distruggere le campagne di menzogna e la mancanza di informazioni. Fino ad ora sono stati controllati da gruppi di potere, che occultano i genocidi e modificano, frequentemente, la storia a loro piacimento; che contribuiscono alla distruzione delle diversità culturali, imponendo un unico modello culturale, in tutto il mondo. Nel caso del Messico i popoli indigeni non fanno notizia, a meno che non si ribellino e/o avvengano fatti di sangue, altrimenti i mezzi di comunicazione sono sordi alle loro voci, alle loro domande e ai loro problemi. Allo stesso tempo dobbiamo esigere che i mezzi di comunicazione ci diano notizie complete e veritiere, dobbiamo cercare di aprire spazi per queste voci finora azzittite, sforzandoci di far arrivare l'informazione alternativa a sempre più gente; dobbiamo costruire le infrastrutture, in modo da farla pervenire negli angoli più bui, utilizzando la tecnologia più avanzata. Questo permetterà di denunciare qualsiasi abuso che venga commesso contro la popolazione e di effettuare rapide reazioni per fermare qualsiasi offensiva repressiva.

4) I compagni delle comunità indigene messicane chiedono che le delegazioni europee a questo incontro comincino a lavorare perché l'Unione Europea apra degli spazi per ascoltare i rappresentanti indigeni di tutto il mondo.

5) Dobbiamo adottare nuove forme di lotta, per migliorare le condizioni economiche dei popoli più poveri, una di queste potrebbe essere quella di non comprare prodotti delle transnazionali. Un'altra potrebbe essere quella di proporre un turismo alternativo, che porti alla conoscenza delle comunità, della loro forme di vita e di pensiero. Nonostante tutto questo, dobbiamo essere consci, che la soluzione reale del problema dello sfruttamento e dell'impoverimento dei popoli passa attraverso un cambiamento radicale delle strutture economiche su scala mondiale.

6) Vogliamo che questo incontro esprima una condanna alla militarizzazione delle zone indigene del Messico e una denuncia al virtuale stato di assedio che si vive in Guerrero e in altri stati. Queste popolazioni soffrono la quotidiana violazione dei loro diritti costituzionali e consideriamo come crimini di guerra i massacri di civili che si sono perpetrati negli ultimi anni, come quello di Aguas Blancas, Guerrero, dove sono stati assassinati 17 campesinos in un'imboscata del governo. Per lo stesso principio esigiamo che terminino i voli radenti in persecuzione del movimento zapatista.

(tradotto dal Consolato Ribelle del Messico - Brescia e dal Collettivo Internazionalista Che Guevara - Bologna)

Indice dell'Incontro Intercontinentale