Stralci di due conversazioni realizzate a fine luglio del '96 a S.C.L.C. con Mercedes dell'ONG Semilla del Sur, e Victor, maestro volontario a Nueva Guadalupe Tepeyac, con i compagni presenti là del Comitato Chiapas di Torino e del Consolato Ribelle di Brescia.

In Messico la scuola... nelle campagne e nelle montagne, lontane, praticamente non esiste, o esiste solo un fantasma di scuola....

... e i maestri ...

Mercedes:

I maestri pagati dal governo non sono motivati a dire: "Andiamo a lavorare, andiamo a fare questo e quest'altro nella scuola" anche perché ci sono solo alcune strade, ma la maggioranza delle comunità non ha accesso al trasporto e c'è da camminare molte ore. "Per un salario così ridotto, non vado a lavorare in montagna" e così il maestro non ci va... o ci va, al massimo, due giorni o tre alla settimana.

L'insieme della situazione fa sì che l'educazione sia quindi molto trascurata. Inoltre è una educazione adatta a Città del Messico, che non è pensata per le comunità indigene del Chiapas, di Oaxaca, di Guerrero.

Cosa sta succedendo in più adesso?

A partire dal '94, quando c'è stata la sollevazione armata dell'EZLN, alcune comunità di questa regione diventarono comunità in resistenza. Ciò significa che non vogliono nessun maestro della Segreteria della Educazione Pubblica. Loro non vogliono questi maestri, non vogliono medici che siano pagati dal governo. Non vogliono nessuno che sia pagato dal governo.

Così è da circa due anni e mezzo che alcune comunità non hanno maestri, neppure maestri da tre giorni, come prima. Ci sono comunità che secondo la S.E.P. non giustificavano la presenza di più maestri: c'era un solo maestro che doveva occuparsi della prima, della seconda, della terza e della quarta classe. Così se voi andate da quei bambini, vedete che non sanno né leggere, né scrivere. Quelli che sono in quarta non sanno ciò che sta succedendo.

Nel '94 siamo stati lì con appoggi d'emergenza, portando da mangiare e vestiti e, a poco a poco la situazione si normalizzò. A poco a poco le comunità incominciarono a dirci: "Bene, che ne facciamo dei bambini? Tutto il giorno stanno qui, ci aiutano a tagliar legna, ci aiutano a seminare mais, però i più piccoli e la maggioranza non hanno nulla da fare...". E tu ti rendevi conto che i bambini erano molto stressati e passavano tutto il giorno bisticciando. Allora decisero che volevano fare qualcosa per l'educazione.

Nel febbraio del '95, arrivò l'offensiva militare. Si iniziarono ad aprire gli accampamenti civili per la pace, con osservatori nazionali ed internazionali. Le comunità ci dicevano: "Che vengano, che si fermino nel villaggio, non vogliamo che lavorino, solo che stiano attenti che l'esercito non entri. Noi daremo le "tortillas" e loro si possono portar dietro riso e fagioli. Daremo loro uno spazio dove possano cucinare e dove dormire.". Però tu arrivi e poi non puoi passare tutto il tempo così. Ogni tanto passa l'esercito e tu annoti quanti passano, ma per tutto il resto del giorno non fai nulla. E allora abbiamo deciso di lavorare con i bambini.

Si iniziò a fare un progetto con un compagno di Brescia, che è pittore, e che ci disse: "Bene, faremo una scuola di pittura, di arti plastiche, giocheremo con i bambini. All'inizio non giocheremo con i numeri, con le lettere, ma pittureremo, disegneremo affinché i bambini tirino fuori tutto quello che hanno dentro...". E al principio i bambini disegnavano elicotteri, soldati ed aeroplani, come i bambini degli accampamenti dei rifugiati guatemaltechi, quando sono arrivati qui in Chiapas. A poco a poco però cominciarono a cambiare i colori ed a disegnare altre cose. Lì è dove c'è stato il cambiamento e, mentre lui (il pittore) è stato qui, si è costruito il progetto per i bambini di una comunità del municipio di Las Margaritas a cui si è posto il nome "Semillita del Sol" . Questo progetto fu inviato in Italia, con l'avallo del comando dell'EZLN, affinché la gente sentisse fiducia che il progetto era per le comunità di Las Margaritas.

Attualmente si sta lavorando in due comunità: una è quella di San José del Rio e l'altra è una comunità di fuoriusciti. È gente che sta fuori dal proprio villaggio dal febbraio del '95, è gente che non ha potuto ritornare alla propria casa e sta vivendo nella selva. Nella selva non c'era nulla e allora col denaro che abbiamo ricevuto da tutti i comitati, abbiamo potuto costruire la scuola. In quel villaggio di fuoriusciti ora c'è una scuola e tutta la comunità ha dovuto trasportare legna per fare le pareti. Tutti gli uomini hanno trasportato per molte ore: legna, lamine per il tetto, chiodi e tutto quello di cui c'era bisogno. Poi abbiamo mandato a fare le sedie, una sedia per ogni bambino perché nella loro vita non avevano mai avuto una sedia ed un tavolo per lavorare nella scuola... e si sono fatti tavoli di legno grandi, che non servano solo per leggere e per scrivere, ma anche per disegnare.

Molti bambini che non volevano andare a scuola, quando hanno saputo che c'erano sedie e tavoli, ci sono subito andati.

Adesso ci sono 110 bambini di questa comunità che stanno andando a scuola, tutti i giorni, dal lunedì al venerdì. I maestri sono 6 persone della stessa comunità, ragazzi giovani che hanno terminato le scuole elementari e da 6 mesi abbiamo una persona, un giovane di Città del Messico, che non sta insegnando ai bambini, ma sta preparando i promotori per l'educazione. Ha già finito i suoi 6 mesi e ora c'è una ragazza. Il periodo è di 6 mesi. Loro devono fermarsi permanentemente per sei mesi, senza andarsene dalla comunità. Non possono uscire dalla comunità per due ragioni: una di sicurezza perché la gente è nascosta e se tu vai e vieni le domande sono: "Dove sei stato? Dove vai?". E l'altra perché la comunità non ha fiducia in qualcuno che va e viene, come facevano prima i maestri del governo.

Questi due ragazzi sono stati prima maestri a San José, adesso sono professori dei promotori nell'altra comunità.

Nella scuola c'è anche una piccola biblioteca, piena di libri. Adesso non sappiamo quanti libri ci sono, però è piena e i ragazzi hanno ricevuto un corso di preparazione su come utilizzare questi libri. Sì, si leggono racconti e da questi racconti si possono tirar fuori molte attività: opere di teatro, disegni, pitture, tutto ciò che vogliono i bambini.

I giovani prima si preparano a Città del Messico e poi vengono a preparare altri promotori a San José o altrimenti altri promotori scendono da vari villaggi e così, a partire da queste due comunità, stiamo cominciando a lavorare in tutta questa zona, come pure in quelle di Ocosingo e Altamirano.

Questa zona di Las Margaritas è la più conosciuta, anche se nel dicembre del 94 gli Zapatisti hanno cambiato il nome a tutti i municipi e adesso si chiama San Pedro Michoacàn. San José del Rìo appartiene a questo municipio.

Questa gente, della comunità dei fuoriusciti, non aveva energia per fare niente. Però quando la scuola è stata costruita, hanno cominciato a dirsi: "Faremo molte cose", e le donne si sono riunite e hanno voluto un laboratorio di ricamo, di tessuti. Il ragazzo di Città del Messico mi chiese "Possiamo aprire il laboratorio?". "Sì, avanti! C'è un po' di denaro, avanti!". Così si sono iscritte 60 donne per ricamare e per tessere, c'è la biblioteca e la scuola diventa un luogo dove la donna può andare a ricamare due ore senza pensare al mangiare, senza pensare al marito, a niente, sta pensando a ricamare. L'importante non è tanto il ricamare, ma la 'terapia' che sta facendo la donna, il parlare con altre donne, con le compagne, con gente di fuori e dopo aver ascoltato un racconto, può essa stessa scegliersi un libro. È un laboratorio molto importante per le donne e ciò che hanno deciso è che, quello che stanno ricamando adesso, lo venderanno all'Incontro e con i soldi che recupereranno compreranno altro materiale per continuare. Può darsi che non sia molto bello ciò che stanno facendo, però è importante per loro perché stanno lavorando in qualcosa.

Si sta pure preparando un laboratorio di creta per fare vasi. Insomma a partire dalla scuola stiamo pensando di costruire vari laboratori.

Con questi giovani di Città del Messico abbiamo lavorato e parlato a lungo. Ci dicevano "Bene, cominciamo da San José". Loro non sono professori, sono studenti, però hanno tanto entusiasmo. Siamo stati circa un anno ad occuparci dei bambini di San José, intrattenendoli, perché non sapevamo come far loro scuola. Ora stiamo lavorando in un'altra comunità in modo più serio, perché stiamo preparando i promotori. Ma come proseguire? Allora ci siamo messi a parlare di nuovo e a pensare che dato che sono solo due le comunità, bisognerebbe fare un centro di specializzazione per promotori per l'educazione, un centro come un collegio, dove si possa mangiare, dormire, ricevere le lezioni, esercitarsi nei laboratori di falegnameria, musica, creta... tutto ciò che le comunità propongono, senza che noi andiamo ad imporre nulla, se non aiutarli in ciò che essi vogliono realizzare. "Vogliamo un laboratorio di questo."

Quindi quello che era nato come un progetto molto piccolo si sta sviluppando e sta diventando un progetto molto grande, che serve alle comunità perché, comunque si evolva la situazione, non debbano star lì ad aspettare che arrivino i maestri dalla città, ma abbiano i loro promotori per l'educazione, in modo da dare continuità alla scuola.

Lo stesso discorso vale per i promotori per la salute. Già ci sono i promotori fissi che vanno in certe regioni e riuniscono i vari promotori delle comunità per un corso di aggiornamento di cinque giorni, più o meno, ogni tre mesi.

Quello che stiamo pensando per la scuola è diverso, non è di impartire dei corsi e basta, ma di aprire una scuola-collegio permanente. Forse stiamo sognando, perché non sappiamo come farlo, né abbiamo il denaro per farlo, però dobbiamo iniziare con le idee a scrivere. Abbiamo parlato con la comunità e ci hanno detto: "Vogliamo altre 4 scuole, ora non abbiamo né le risorse umane né quelle economiche, però in questo momento pensiamo che un centro di preparazione sarebbe la cosa più giusta".

Nell'intervista che segue, Victor, il giovane che ha lavorato in quella comunità, afferma che i maestri migliori sono quelli della comunità perché sanno la lingua, sanno la loro lingua, conoscono i costumi e in più sanno come si può insegnare ai loro bambini compagni.

Victor racconta di quando una lunga fila indiana di bambini ha percorso il sentiero, ciascuno con in testa la sua sedia, quando sono arrivate le sedie... più di cento sedie, una per ogni bambino della comunità... da allora:

...iniziammo a lavorare, a proporre cose alla comunità, perché io lavoravo solo con i maestri, ero un po' come il direttore della scuola, facevamo sempre riunioni con gli altri maestri e pensavamo alle cose nuove da proporre.

Uno dei problemi è che sono molto "fregati", perché sono fuori dalle loro case, non c'è quasi da mangiare, non c'è denaro, non c'è nulla.

Allora la prima cosa che cercammo di risolvere è stato il problema dell'educazione: che per i bambini ci fosse scuola tutti i giorni (prima non c'era), che i maestri avessero i loro corsi di preparazione, che tutto questo fosse costante... manca ancora molto, però si sta avanzando col tempo, tutto è già installato e ogni giorno sta migliorando, di momento in momento.

La gente ha molta volontà, i bambini sono contentissimi di andare a scuola, perché vuol dire stare tranquilli tutto il giorno, non andare a trasportare legna o a fare altri lavori e, a parte questo, la scuola incanta la maggioranza dei bambini.

Al principio arrivavano pochi bambini, ma , a poco a poco, è aumentato il numero fino a che sono arrivati quasi tutti.

Dopo, abbiamo cominciato a parlare ed abbiamo offerto alla comunità di fare scuola alle donne ed agli uomini adulti. Abbiamo iniziato a offrire solo questo, d'insegnare a leggere, a scrivere e a contare.

Le donne sono state quelle che hanno accettato subito con molta volontà.

Abbiamo iniziato con 50 donne, divise in due gruppi: io ne portavo avanti uno e un altro maestro si occupava del secondo, ma ci siamo resi conto che non funzionava. Così alla fine abbiamo fatto 4 gruppi di cinque livelli diversi, di cui l'ultimo è di livello superiore, mentre nel primo si insegna a leggere e scrivere, a sommare e sottrarre.

Sono già tre i giorni della settimana in cui c'è scuola nel pomeriggio per le donne in 4 gruppi separati di 15 donne per gruppo.

Questo ha iniziato a funzionare molto bene e allora - dato che lì la gente è molto 'fregata" come dicevo prima - abbiamo iniziato a pensare di fare un qualche corso o un laboratorio o un non so che, in cui potessero apprendere qualcosa che si potesse riflettere sul benessere della comunità, perché non è molto simpatico andare a scuola se uno ha mangiato molto poco... non ci si può concentrare molto sui libri e sui quaderni, se non hai da mangiare. Allora lì bisogna cercare le due cose... e abbiamo iniziato per esempio con il lavoro di ricamo.

Nessuna di loro aveva mai ricamato e noi iniziammo, ma poi le stesse donne hanno preso il controllo del laboratorio. Loro stesse si sono organizzate, hanno nominato il loro direttivo, le più grandi insegnano a ricamare alle più piccole. Di sera, mentre non c'è scuola, circa 60 donne ricamano tovagliolini, borse, di tutto. All'inizio stavano imparando a ricamare le loro cose, però poi si cominciò a pensare che poteva esserci un vero e proprio laboratorio, che grazie all'appoggio che stava arrivando dall'esterno, si poteva fare un primo blocco di cose. Ed ora la grande speranza è che all'Incontro si possano vendere queste cose e che le donne possano reinvestire questo denaro. Sono loro che in realtà stanno portando avanti le cose, hanno deciso loro che cosa fare...

Con i bambini si sta preparando un orto, che non è terminato, perché - immaginatevi un po' la situazione - la mattina c'è scuola per i bambini, al pomeriggio c'è scuola per gli adulti ed i maestri e, alla fine, non c'è già più luce, è già finito il giorno e non si può più fare nulla. Però va molto bene, tutto va avanti piuttosto bene.

La gente all'inizio era un po' incredula, ...quando noi presentammo il progetto della scuola alla comunità, loro ci dicevano: "Va molto bene, però è difficile che riesca" e quando iniziarono a vedere il lavoro che si stava facendo, che le donne andavano a lavorare, che c'era la scuola, che arrivavano sedie e tavoli, che c'era già la biblioteca, la gente iniziò a convincersi che si stavano facendo le cose seriamente. Così hanno iniziato sempre di più ad appoggiare il lavoro. Adesso hanno recintato bene la scuola... che è proprio diventata un bel centro, con tutti i suoi edifici, le aree per il gioco. La scuola viene sempre ripulita assieme a tutti i bambini , i quali piantano anche fiori, piantine, così che rimanga sempre più bella... in questo le maestre sono molto brave, non hanno bisogno di preparazione.

Bene, in questo modo sono state proposte differenti cose, come ad esempio un forno per il pane che si sta per costruire e questa è un'altra cosa che lo stesso gruppo di donne sta organizzando, per poter mangiare prima di tutto.

Il tornio: questo è rimasto ancora a mezz'aria per problemi tecnici e di tempo, però con tutti i maestri (sapevo che erano poche le cose di terracotta che avevano) abbiamo già costruito il tornio per fare piccole padelle, che sono quelle con cui si può cucinare, ma non sta ancora funzionando bene, anche se già si sono fatte alcune padelline. L'idea era quella di fare un corso per le donne, ma non si è riusciti ancora a fare un corso proprio regolare, perché non c'è il tempo. In che giorno si potrebbe fare il corso, dato che tutti i giorni sono occupati? E in più non ho avuto modo di occuparmene a fondo, perché bisogna utilizzare l'argilla di lì ed io non m'intendo di argilla. Abbiamo allora fatto molte prove per trovare l'argilla giusta e chiaramente funzionerà, ma bisogna ancora lavorarci. Senz'altro servirà a costruire cose che servono alle donne che sono sempre quelle che lavorano di più e ai bambini pure, che però di questo tipo di cose non si interessano.

Con i bambini abbiamo fatto altri tipi di laboratorio: ad esempio abbiamo costruito giocattoli di legno, uno scaffale di legno per i libri, cose che servono man mano e che escono come idee dalle classi.

Inoltre ci sono laboratori di disegno e di striscioni, più che altro per i ragazzi e le ragazze. Li ho avviati insegnando loro un poco di disegno, non molto perché non sono maestro di disegno. Iniziammo a dipingere striscioni, e quindi per fare esercizio, abbiamo preparato avvisi perché non si beva l'acqua sporca, cose così, che servono alla comunità. E ora, prima che me ne venissi via, stavano preparando un grande striscione per l'Incontro, con il lavoro di tutti i ragazzi e tutte le ragazze della comunità. Loro lo proseguiranno come laboratorio perché così si era organizzato fin dall'inizio, quando avevo detto che io potevo aiutarli e dare un po' di indirizzo ma che poi sarebbe rimasto come laboratorio loro. Così loro sono già organizzati per questo e vanno a lavorare e a produrre i loro cartelli e striscioni.

Domanda: si sa che i bambini aiutano molto, e in particolare le bambine, nell'economia familiare contadina... riescono a venire a scuola? in che percentuale?

Victor:

Tutti, quasi tutti i bambini, vanno a scuola, sono circa 110 , ma, ad esempio, in quarta ci sono solo bambine (12 o 13 bambine), mentre nelle altre classi sono più o meno alla pari con i maschi. In più c'è una specie di mutuo impegno con la comunità, non parlato: da quando hanno visto che si sta lavorando, che la scuola sta funzionando seriamente, mandano tutti i bambini e le bambine. Le madri si addossano più lavoro di prima per permettere alle bambine di andare a scuola. Insomma la comunità ha dato importanza alla scuola, sta liberando i bambini dal lavoro.

Mercedes:

C'è ancora qualcosa da aggiungere. Quando Victor ha detto che la gente non credeva nel progetto, era perché... immaginatevi la sensazione che prova la gente a dover vivere in un posto nuovo, che non è la sua casa, ma è un terreno che le è stato prestato. Allora, non vuoi costruire, perché hai l'illusione di potertene tornare a casa domani. Non è che non si voglia costruire nulla, ma la sensazione, l'atteggiamento psicologico è quello di dire. "Perché mai mi dovrei stabilire qui, se questa non è la mia casa, se io voglio tornare a casa mia." Questo è uno dei problemi in cui ci siamo imbattuti all'inizio del progetto, ma ora ne stiamo uscendo fuori...

Victor:

Ho detto prima che non ne avevano voglia, ma il problema centrale è che la gente non vuole far nulla, perché tutto quello che fanno poi glielo portano via i soldati. Questa è stata la loro esperienza: che tutto il loro lavoro, tutte le loro cose, tutte le loro riserve alimentari, tutte le mucche se li sono portati via i soldati. Quindi perché lavorare quando domani i soldati si mangiano tutto?

La scuola, a questo punto ha rappresentato un'isola nella comunità, che è riuscita a risollevare l'animo, perché è l'unico posto dove si lavora così: non solo per procurarsi il necessario per sopravvivere, ma pensando a un qualcosa di più, proiettandolo come un progetto e ciò ha lasciato un segno nella gente, nelle donne, in tutti. Questo ha dimostrato loro che sì, è possibile costruire qualcosa e ciò è servito a riprendere con più volontà il lavoro perché, dovete capire, che qui era molto complicato, nessuno voleva... era più comodo dire "vediamo cosa succede..." che convincersi che poteva essere una cosa seria, che ci credevamo, che potevamo farla. Io parlo sempre al plurale perché siamo in 8 maestri, io solo vengo da fuori, la maggioranza sono della comunità. Tutto è loro, tutto il lavoro, tutto il progetto, io non sono altro che un appoggio per loro. Posso aiutare un poco i maestri, che essendo ragazzi giovani sono quelli che ne hanno conservato lo spirito, ad esempio organizzano le feste e insieme abbiamo preparato opere teatrali, balli e spettacoli per i bambini. Questa è una delle cose che, qui, può tenere allegra la gente che non ha le marimbe, che non ha nulla. Ciò che si fa è convocare tutti con i bambini ad uno spettacolo che dura mezza giornata. Questo sembra essere molto importante.

La scuola - come dicevo - è stata un'isola in mezzo ad una comunità duramente colpita, scacciata dalla sua terra...

Mercedes:

L'altra cosa molto importante: cento bambini che non fanno nulla, in un clima molto teso, dove, in più, cominciano i conflitti familiari e la gente litiga perché le case sono troppo vicine le une alle altre, mentre prima c'era molto spazio fra una casa e l'altra con strade che le delimitavano. Ora vivono in uno spazio molto piccolo e quindi la condizione psicologica non è delle migliori. È verissimo quello che dice Victor, dell'isola, che è stata come una salvezza per il villaggio, perché adesso i bambini hanno dove andare a trascorrere tutto il giorno. Lì si possono intrattenere tutti, perché nella biblioteca ci sono anche i giochi, giochi collettivi. Così arrivano: "Maestro, mi presti il rompicapo?"... Maestro mi presti l'automobilina" e tutto questo è un buon pretesto perché vadano in biblioteca e giochino tutti insieme, perché se ogni bambino avesse il proprio giocattolo, i giocherebbe poi da solo a casa sua. Invece, il poter andare a chiedere giocattoli alla biblioteca diventa molto importante perché questa è collettiva..

Stavamo lavorando in una situazione psicologica molto, molto difficile.

A San José, dove è stato pure Victor (che insieme ad Andreina e altri due ragazzi ha fondato l'accampamento di San José) , la situazione era veramente difficile: per fare scuola la comunità gli assegnò un posto senza riparo lungo la riva del fiume, gli diede un bastone in mano , un pezzo di legno per picchiare i bambini. Il clima quindi era molto teso con i bambini; quando si parlava con loro, si coprivano la faccia, non volevano parlare, non volevano alcun contatto con gente estranea.

Per esempio, riguardo al corso di ricamo, dovreste sapere quanti problemi sorgono sempre. Ci sono 60 donne e 5 metri di tessuto, servono quindi molte forbici, filo e aghi. Non so se vi rendete conto di quello che succedeva: perché, alla fine, quello che le donne desideravano, era avere una alternativa, il non dover stare tutto il giorno in casa a pensare al loro esilio, ma poter uscire e andare per un'ora in biblioteca a ricamare e a chiacchierare di "cavolate" con le loro amiche, stare fra donne. Questo psicologicamente le ha aiutate moltissimo e anche se alla fine non avevano ricamato nulla, non era importante. La questione non era quella di ricamare, l'importante era uscire dalle case, lasciare i bambini più grandi a sorvegliare i bambini più piccoli, creando un momento, uno spazio psicologico che aiuta moltissimo.

Victor:

È iniziato con un gruppo di ricamo ed ora le donne stanno facendo di tutto: stanno pensando al forno, fanno borse e altre cose, per di più da sole, non hanno più bisogno di aiuto. C'è stato uno spazio per loro e loro hanno iniziato a lavorare, ad organizzarsi, a fare molte cose. Insomma hanno occupato la scuola come se, al pomeriggio, fosse loro , perché vanno a scuola e a ricamare. Dato che, al pomeriggio, il laboratorio da un lato è pieno di bambini che giocano e chiedono giochi, dall'altro si stanno dipingendo striscioni e cartelloni, poi c'è il 'casino ' di noi che stiamo preparando le lezioni del giorno dopo,... sì, il clima psicologico è cambiato moltissimo. E ogni giorno che passa ci dimentichiamo che non siamo più nelle nostre case.

Mercedes:

Io ho conosciuto la comunità di Guadalupe Tepeyac prima, quando viveva nel suo villaggio, ed aveva organizzato vari gruppi: il collettivo del pane, quello della rivendita, quello della cucina ecc. C'è sempre stata un po' di organizzazione di vita collettiva.

Ora voglio raccontarvi quello che è successo: qualche tempo fa qualcuno ha proposto a varie comunità di fornire il materiale per costruire un forno per il pane, con materiale buono, cemento. Ma la gente della comunità aveva risposto: "non lo vogliamo". Non accettarono il forno, spiegando così il motivo del loro rifiuto: "trasportiamo tutto il materiale, costruiamo il forno e poi ce ne dobbiamo andar via".

E' passato del tempo! Quando iniziò la scuola, si caricarono di energia, perché si resero conto che in effetti poteva servire, si poteva utilizzare, si poteva sfruttare. Poi le donne si organizzarono e dissero a Victor che volevano... un forno.

Avevamo un po' di denaro poiché c'era una lista di cose che stavamo comprando per la scuola, prima di tutto compravamo le cose più importanti. In quel momento ci mancavano 7 lavagne grandi, che venivano a costare un bel gruzzolo perché il loro prezzo è 200 pesos (circa 40.000 lire) l'una. Allora quello che decidemmo fu: teniamoci alcune lavagne vecchie anche se non sono molto belle, che possono essere ancora utilizzate ...e il denaro che avanza lo utilizziamo per comprare il materiale per il forno. Così mandai a dire che si poteva costruire un forno, non bello come quello che gli avevano offerto tempo addietro, ma di fango ecc. , che dovevano farlo loro e che c'era un po' di denaro per comprare il resto del materiale che serviva .

Victor:

L'importante è che le signore cambiarono idea: mentre prima avevano rifiutato il forno, ora quando io risposi loro "se non c'è denaro, non so se riusciamo a farlo", esse mi risposero "non importa, noi trasporteremo le pietre e lo facciamo di fango".

Questo fatto del forno è importante per far vedere come è cambiato lo spirito, dal rifiuto di un forno fatto a regola d'arte, cioè di cemento, sono passati a voler costruire un forno loro, caricandosi di pietre e di legna... un piccolo forno che non avrà nulla a che vedere con quello che avevano rifiutato, anche se era gratis. Insomma , qui è dove si vede che lo spirito della gente è cambiato molto, moltissimo.

Mercedes:

Sono importanti le donne, le mamme, perché se loro stanno bene, parlano con i bambini e con lo sposo e così cambia molto lo spirito di tutti... Ossia non vi veniamo a dire che è una comunità perfetta, ci sono problemi, perché vivere in una simile tensione, in esilio da più di un anno e mezzo, è veramente difficile... in queste condizioni, in cui non c'è acqua, non c'è luce... è molto difficile, davvero.

Un'altra cosa importante è la fiducia che ripone in noi la comunità. Questo è un fatto molto importante perché lì non può andare qualsiasi persona, ma si deve sempre avere l'autorizzazione. La gente commenta sempre: "bene, e questo qui chi è? chi l'ha autorizzato? si può sapere perché sta qui?" ed allora è molto difficile lavorare nella comunità.

Io penso che Victor è stato uno degli elementi importanti per poter far scuola in questa comunità. Victor è arrivato e loro hanno detto "sì, il maestro Victor noi lo rispettiamo perché lui studia".

L'altro problema che abbiamo è quello di formare il centro di preparazione perché i maestri della comunità dicono "noi non siamo rispettati" perché sono giovani del posto, "loro sanno che abbiamo fatto solo le elementari e allora non ci rispettano come maestri, mentre il maestro Victor è rispettato".

All'inizio, quando arrivò Victor, non gli credevano perché è molta la gente che arriva a promettere cose: "faremo questo, costruiremo un pollaio, faremo un allevamento di conigli, di..." e lo fa solo per far bella figura, scatta le foto di rito e poi se ne ritorna a Città del Messico, o da dove è venuta. Invece, quando è arrivato Victor si comprarono le lamine a San Cristobal, cercando il trasporto per portarle fino alla comunità, sono quasi 210 chilometri, in più erano lamine grandi, 3 per 5, che dovevano essere caricate dagli uomini e portate in montagna. Insomma lì è tutto sempre molto complicato perché le condizioni sono difficili, non ci sono le condizioni per fare nulla. Nonostante tutto, fai arrivare Victor e io ne sono ben contenta, anche se Victor penserà: "Chiaro! Mercedes mi ha ficcato laggiù e poi mi ha mollato lì ad arrangiarmi!" però vorrei che la gente sapesse quando legge questo rapporto sulla scuola che non solo sto cercando di ringraziare Victor, ma tutta la gente di fuori, dell'Europa, che sta rendendo possibile il progetto.

Il progetto comprende le due scuole, però a San José non si vede un granché, dato che l'accordo preso con le autorità della comunità ,visto che all'inizio non stava arrivando molto denaro, era di tenerci la scuoletta di San José ancora priva di tavoli e sedie, visto che la gente dell'altra comunità aveva ancora meno, ci dissero "la priorità è la costruzione della scuola", là con i fuoriusciti. Così, a poco a poco, avendo un po' più di denaro disponibile, cominceremo a mettere a posto San José, perché c'è un impegno: si compreranno sedie e tavoli, si farà un po' più grande la scuola, perché - come sanno tutti - quel villaggio è molto festaiolo e amano ballare. Così dato che la scuola è piccola, ne hanno bisogno di una più grande non solo per fare scuola a piccoli ed adulti, ma ...per ballare!

Victor:

Ne abbiamo parlato molte volte con la gente del posto e dicevano che la scuola di base andava bene ma che la gente per poter lavorare e continuare a pensare ha bisogno di un poi, un sogno da raggiungere. Le scuole di base si stanno già costruendo, tutti hanno già cominciato a studiare... a San José manca ancora molto lavoro e molte cose, ma soprattutto manca l'idea di come proseguire altrimenti le cose si fermano lì.

Allora abbiamo pensato che: prima di tutto per poter completare tutto il progetto della scuola di base, della scuola elementare, dobbiamo farlo con uno schema ben preciso, che sia loro, così come i maestri, e che non sia uno schema che funzioni dipendendo dall'esterno , ma funzioni dipendendo solo da loro stessi. Abbiamo bisogno che i maestri siano loro, quindi dobbiamo preparare un poco i maestri, dar loro una mano perché possano insegnare bene, soprattutto per migliorare il loro livello informativo. Quindi abbiamo pensato a dei pacchetti, non so come cavolo chiamarli, per una comunità o un gruppo di comunità, laddove la gente stia terminando la scuola elementare per mettere insieme gente delle comunità e gente che viene da fuori, dei maestri, e costruire un centro. Bisogna trovare studenti, che abbiano molta voglia, maestre che sappiano davvero un po' più le cose, per poter professionalizzare per un periodo il più lungo possibile. Bisogna vedere le condizioni della comunità se questa può permettersi di mandare i maestri anche per un lungo periodo. Questo potrebbe servire a completare il programma della scuola elementare. Se lo schema riguarda gruppi di comunità, la cosa può essere risolta perché i primi avranno la possibilità di aiutare gli altri e, se dalla scuola escono dei maestri ben preparati di 4 o 5 comunità, possono contagiare altre comunità vicine. È molto più facile che dei maestri vadano per un periodo a prestare il loro aiuto in un'altra comunità...

Questa è un'idea, ma quello che sogniamo è la scuola, perché la gente dice : "Sì, le elementari, le elementari, però poi...." , perché quando parli con i bambini e noi parliamo molto con loro, nel finire le elementari a dodici anni ti dicono "Vado a lavorare, so già scrivere e leggere un po', so contare, posso apprendere ancora qualcos'altro, però poi..." e lì finisce la speranza di poter imparare altro perché non c'è alcuna alternativa. A noi, sembra importante mantenere alta la speranza o il sogno che si possano fare altre cose. Così ci viene l'idea, che è ancora da analizzare bene e che ci impegnerà molto tempo, di scegliere alcuni tra i bambini dell'ultima classe (in base alle valutazioni, in base al sistema che sia la stessa comunità a scegliere), alcuni bambini che la stessa comunità decida di mandare a vivere, a studiare, a lavorare in questo posto e fare una società collettiva d'educazione. Per i maestri l'intenzione era di trovare quelli che possono insegnare a preparare i promotori per le elementari, trovare quelli che siano disponibili a restare lì per dare anche ad una preparazione extra in modo da arrivare al livello di scuola media, magari all'inizio anche solo a livello della prima classe.

E ogni anno si potrebbe avanzare di una classe...

La nostra idea è quella di creare un luogo autosufficiente, cioè chiedere alla regione un pezzo di terra affinché gli studenti si organizzino, la coltivino, abbiano i loro laboratori, per poter produrre cose diverse e poter così raccogliere fondi per mantenere la scuola. Quindi tentare di renderla autosufficiente mentre ancora riceviamo appoggio da fuori sapendo però che non sarà per sempre.

Quando abbiamo parlato di questo la gente del posto si è molto entusiasmata, ha apprezzato molto l'idea e così ne abbiamo parlato anche con le autorità della comunità e hanno già idea di dove costruire tutto questo, inoltre pensano che ciò che si sta facendo possa essere un ottimo esempio per altre comunità. Infatti membri di altre comunità che hanno visto la scuola e gli spettacoli dei bambini, ne sono rimasti molto impressionati al punto che si sta diffondendo l'idea di questa esperienza in altre comunità che non hanno scuola, né maestri, oppure un maestro bilingue. Quindi è stato un esempio molto forte quello della scuola.

Mercedes:

C'è un'altra cosa importante che ho notato negli anni in cui ho lavorato nelle comunità. La comunità dipende dall'ingegnere, dal medico, dal maestro. Se il maestro non ha voglia d'insegnare, si ferma due giorni nella comunità e poi se ne va. Se al medico non regali galline, uova, tortillas, fagioli, non ti visita. A partire dal gennaio del '94, quando le comunità si sono dichiarate in resistenza ( e questo significa non accettare più nulla dal governo) hanno accettato aiuto solo dalla società civile. Da allora si è concretizzata sempre più l'idea della formazione di promotori. Per esempio, in tutta questa zona ci sono promotori per la salute. Se la comunità è costretta a rifugiarsi in montagna, i promotori per la salute vanno con loro perché sono del villaggio e possono continuare ad essere i medici della comunità, dovunque si vada.

Proprio adesso è arrivato un appoggio per il progetto di agroecologia, così come è in marcia la preparazione di promotori per l'agricoltura. Resta da chiedersi "cosa possiamo insegnargli visto che hanno più di 500 anni d'esperienza nel coltivare queste terre?". E' anche vero però che in passato si è utilizzato troppo fertilizzante chimico e che la terra è molto, molto stanca . La sfida è quella di lavorare con l'organico, cercare di elevare il livello di produzione di mais e fagioli, sperimentare altre coltivazioni che non conoscono nella selva: come grano, zucca, rapa, ecc. Cercare di vedere man mano quello che a loro può piacere, senza imporre nulla: la soia sarebbe la più appropriata per le sue qualità nutritive, ma se la soia ha un sapore terribile... Accadrebbe come quella volta quando si comprarono tonnellate di soia per i rifugiati guatemaltechi, ma nessuno di loro la mangiò.

Per quanto riguarda i promotori per l'educazione, un problema è quello che sono molto giovani, quindi non hanno il rispetto da parte delle comunità e degli alunni poiché alcuni erano loro compagni di scuola ed ora se li ritrovano come maestri. Ma se questo promotore per l'educazione riceve una preparazione e posteriormente gli viene consegnato anche un pezzo di carta che dice che è stato promosso, allora le cose cambierebbero. L'importante è che le comunità abbiano i loro promotori per l'educazione e possibilmente bilingue perché, come dice anche Victor, i maestri del governo sono lì solo per ricevere uno stipendio: l'esperienza delle comunità è che questi arrivano il martedì e se ne vanno il giovedì, o perché hanno la riunione col sindacato, o perché li devono pagare o perché devono compilare dei documenti... quindi i giorni effettivi di lavoro alla settimana sono tre ma con tre giorni non c'è continuità. Per questo Victor si è fermato per tutti i sei mesi senza uscire dalla comunità. Questo era l'accordo, deciso dopo la precedente esperienza, dovuto al fatto che i maestri lavoravano tre giorni e poi sparivano.

Questa nuova esperienza è riuscita bene e la si può vedere a San José, dove ora i bambini sono molto aperti, però all'inizio non era così.

Nella comunità dove è stato Victor la situazione è più dura: essere fuori dal proprio villaggio da più di un anno, aver perso tutto e pensare che l'esercito può tornare in qualsiasi momento e doversene andare di nuovo in fretta. È tutto molto difficile.

Domanda: Che didattica e metodologia si impiegano? Che si conosce delle nuove tecniche educative?
Victor:

Dipende da noi, da cosa siamo in grado di proporre e cosa può venire accettato. Loro, i maestri della comunità, sono molto giovani e aperti a tutto. Noi non siamo stati né molto metodici e neppure quadrati: con i bambini si gioca davvero tanto, ed in ogni caso i maestri di lì sono più aperti dei maestri che ho conosciuto in città. Non so, qui i maestri sono più attivi e di conseguenza l'educazione è più attiva. Rispetto alla città quello che è diverso è la gente, è molto più affettuosa nell'insegnare e quindi anche l'insegnamento è diverso.

Io ho sempre appoggiato l'idea che i maestri debbano essere della comunità, perché hanno modalità che funzionano molto bene.

Quello che più manca è l'aspetto informativo, materiale per far conoscere più cose ai maestri. Lì non è solo importante leggere e scrivere, esiste un livello di isolamento che non comprendiamo, dobbiamo spiegare che esistono un mucchio di cose nel mondo di cui loro non immaginano neppure l'esistenza. Questa è una parte molto importante dell'educazione: conoscere il mondo di fuori.

Credo che finora si sia lavorato molto bene, ma quello che ci manca è l'esperienza e più pratica, però loro apprendono con molta facilità, perché sono persone giovani che hanno cambiato la loro maniera di vivere e di insegnare in poco tempo, molto più di quanto noi abbiamo mai fatto nella nostra vita.

Mercedes:

Quando c'è stata l'offensiva nel febbraio del '95, abbiamo cominciato ad aprire vari accampamenti civili per la pace nella zona di Ocosingo e poi in quella di Las Margaritas. Quando sono arrivata a San José, la gente stava ritornando dalla montagna e bisognava aprire un accampamento anche qui. Ma come?

Dovetti poi tornare a San Cristobal e per me fu molto difficile trovare gente disponibile a recarsi nella comunità, era una responsabilità, questa gente poteva correre dei rischi, non si sapeva bene quali. Così ho trovato solo quattro giovani disponibili, di cui Victor era il maggiore.

Dovettero comprarsi da mangiare mentre la comunità avrebbe assicurato loro le tortillas.

Allora non si poteva lavorare né con le donne, né con gli uomini, perché la comunità era in allarme rosso, ma i bambini erano tutti lì, col timore degli elicotteri e dell'esercito.

Allora la comunità ha detto "Benissimo! Occupatevi di loro" e questo è stato il lavoro iniziale. Così quando i compagni furono nell'accampamento, si misero a lavorare nella scuola anche se magari stavano studiando da ingegnere, da medico, da dentista, Poteva darsi che non piacesse loro insegnare, però il loro "karma'" è diventato insegnare. E lo hanno fatto molto bene, perché fortunatamente - ora che possiamo dare una valutazione positiva - non avevano la deformazione delle magistrali.

E' stata proprio una fortuna, perché tutto quello che hanno insegnato è stato con il cuore, cercando di entrare in comunicazione con il sentimento e di abbassare il loro livello per potersi far capire, perché anche se parlano lo spagnolo è uno spagnolo molto differente.

Infatti il papà di Victor, l'ha rivisto ora dopo i sei mesi che ha trascorso nella selva, mi ha detto: "Ho bisogno di un traduttore per comprendere Victor. Non lo capisco più" perché mentre sei lì ti si appiccicano parole e impari a parlare come parla la comunità, che non è una lingua, ma un dialetto spagnolo.

Quello che si è cercato di portare avanti è un insegnamento che fosse il più aperto possibile. Victor ha iniziato a San José a insegnare i numeri con una ranocchia: la ranocchia saltava e i bambini contavano. Quali sono i maestri dello stato, quelli che c'erano prima, che insegnavano giocando? Nessuno, mai! Era "uno più uno due" e "tre per due fa sei" e se uno non imparava erano bastonate. È stata gente giovane come Victor che ha patito tutto il trauma della formazione che quel tipo di maestri dava e che ora si rifiuta di essere come loro...

Victor:

È molto importante anche la questione della lingua. Lì si parla tojolobal, e quando arrivano i maestri, anche se sono di fuori, i bambini chiedono che s'insegni tojolabal. Così quello che stiamo facendo è costruire un vocabolario tojolabal - spagnolo, è un bel lavoro e lo stiamo facendo poco per volta. Hanno molta voglia di recuperare la loro lingua e vogliono parlarla, ma non la sanno. Così vanno dal nonno! Prima non andavano dal nonno, ma adesso sì: "Nonnino, mi hanno dato di compito 30 parole in tojolabal" "Siediti e dimmele" . Il giorno seguente ognuno copia le sue parole tojolabal nel suo vocabolario e tutti insieme stanno costruendo un vocabolario molto grande e imparando. Poi si divertono a parlare tojolabal al maestro, a me, con parole che non avevano nel compito, ma che il nonno ha insegnato loro...

Quando si va nelle comunità bisogna essere disponibili, aperti alla loro mentalità e cultura, che sono molto diverse dalle nostre...

Quando abbiamo fatto il tornio per la ceramica, tutti pensavano che da lì sarebbero uscite subito padelle. Ci mettemmo parecchio a farlo e quando fu pronto, ci domandarono: "E la padella?" perché la padella , secondo loro, doveva già sbucar fuori dal tornio. Corse voce per tutta la comunità che era già stato ultimato il meccanismo per fare padelle e mi sono venuti a dire "Come mai le padelle non arrivano?" "Bene, è che bisogna girare, poi...".

Insomma non ti ascoltano più, perché tu non avevi spiegato loro che dopo aver costruito tutto il meccanismo, bisogna ancora fare altre cose... prima di vedere una padella!

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