La Jornada, 30 luglio 1998

"Non ci sono paramilitari in Chiapas"

Andrés Aubry e Angelica Inda

 

Abbiamo invaso otto volte questa colonna per cercare di descrivere e documentare i nuovi preoccupanti soggetti sociali del Chiapas. Li chiamiamo paramilitari, inizialmente con prudenti virgolette, e in seguito senza questa precauzione dopo Acteal. Qualche tempo dopo, il procuratore Madrazo ha dichiarato di aver intercettato una dozzina di questi gruppi. Finalmente, una pubblicazione del Centro per i Diritti Umani Miguel Agustìn, Pro Chiapas, La Guerra in Corso, li ha identificati.

Però voci ufficiali - federali, statali, militari - ne negano con insistenza l'esistenza. Essendo rispettivamente uno storico e un'archivista, il nostro primo pensiero é stato quello di cercare le spiegazioni della risposta negativa. Così abbiamo trovato dei documenti della Scuola delle Americhe che abilita ufficiali della antiguerriglia nel continente. E anche materiale redatto dalla Difesa Nazionale utilizzato per il lavoro nei campi dei militari messicani assegnati da questi ministeri; nei prologhi raccomandano ai lettori di effettuare i cambiamenti ritenuti necessari. Altri suggeriranno: il nostro lavoro consta solamente nel sintetizzare e processare l'informazione.

L'investigazione ha permesso di stabilire la somiglianza tra due documenti rilevanti: un voluminoso mattone intitolato Field Manual Psychological Operations (Washington DC, 1987), redatto dagli istruttori di Fort Bragg, ed il suo adattamento messicano nello scarno volume II^ del Manuale della guerra irregolare (Sedena, gennaio 1995). E' talmente evidente la relazione tra i due che il secondo é a volte la traduzione letterale in spagnolo di frasi testuali del primo. I principali luoghi comuni di entrambi sono gli operativi "sociali e politici" della guerra psicologica, che ha come bersagli principali "la popolazione civile" e i mezzi di comunicazione (stampa, radio, televisione, video, volantini").

Però esistono delle differenze importanti tra i due: "Le mete politiche ben definite" del testo statunitense hanno come scopo cambiare le dinamiche sociali che sono alla radice della guerra, mentre in Messico "le finalità" della guerra irregolare per la "restaurazione dell'ordine" é lo sterminio (N. 532) del nemico. Per tanto, anche se il US-Army consiglia "la distribuzione di armi alla popolazione civile", il manuale messicano attenua o evita le precauzioni statunitensi, che consigliano prudenza quando si tratta delle popolazioni indigene, per il carattere esplosivo della loro cultura se viene repressa "senza il rispetto della giustizia", per esempio con una pesante manipolazione delle "interferenze etniche", così che, " l'uso di armi sulla popolazione civile" (come a El Bosque?) può avere "un effetto psicologico negativo con la conseguente perdita dell'appoggio popolare e l'avvilimento delle forze amiche". Sarà l'ambiguo pressing della signora Albright, che cerca di avvertire che la GBI non si vince senza prendere queste precauzioni?

Un'altra differenza: mentre, dall'altro lato del Rio Bravo, si parla di combattere l'insurrezione, il manuale della Sedena ricorda, al contrario, che in Messico gli insorgenti non hanno diritto a libertà e patria: pertanto, per "il nostro Esercito rivoluzionario", chi destabilizza é un vile "trasgressore della legge" ed è un "traditore della patria" (N. 542).

E nemmeno si può dire che ci siano paramilitari in Messico. L'opzione nazionale non é quella di cambiar l'acqua della popolazione civile, ma quella d'introdurre in essa "pesci più bravi" del pesce guerrigliero "per attaccarlo" (N. 547). Come? Con "unità di personale civile o militarizzato nel proprio terreno (cioè "nativo della regione"), diretto, consigliato e coordinato dal comandante militare dell'area", insomma più precisamente quello che distingue "la guerra irregolare" dall'operazione militare classica (N. 553) e le dà il suo nome, quello che la Sedena preferisce al vocabolo anglosassone di Conflitto a Bassa Intensità (LIC, per la sua sigla in inglese).

Questo personale chiave ha il compito di spargere voci (N. 567, 578), propagare notizie false (N. 580-581), "dividere e disorganizzare" le comunità "inducendo comportamenti per ridurre (vocabolario socializzato dal negoziatore Del Valle in San Andrés) o eliminare i simpatizzanti del nemico" (N. 608) e "causare confusione con un forte impatto psicologico" (N. 654). "All'inizio delle operazioni, le considerazioni politiche, economiche e sociologiche riducono l'uso del potere del fuoco; più avanti, questo potere può essere utilizzato" (N. 619). Il 10 giugno a El Bosque segnerà l'arrivo della fase definita "posteriore"?

Pertanto, il previo addestramento di questi civili (N. 594) é necessario per il loro appoggio militarizzato nelle retrovie (N. 618). In più, devono ostentare le loro "armi e un'uniforme o un distintivo "bello" (Nùm. 537) - quello che "é politico non é legale" (N. 826), conforme alla qualifica "irregolare" di questo tipo di guerra, perché, così identificati, "saranno trattati conformemente agli accordi internazionali come belligeranti". In Chiapas, gli intersettoriali Comitati Municipali di Pubblica Sicurezza, creati dalla SEAPI nel settembre del 1997, si sono incaricati di ricordare questo compito con atti populisti, che i prigionieri di Acteal inalberano come difesa, perché loro hanno solo obbedito a degli ordini.

Dunque, non c'è anarchia paramilitare in Chiapas perché gli attori di questo tipo di guerra "sociale, politica e psicologica" sono, nei testi ufficiali, affidabili civili militarizzati, subordinati a competenti graduati dell'Esercito. "Così è", dicevano i vecchi manoscritti.


(tradotto dal Comitato Chiapas di Torino)



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