Già detto, cominciare è difficile...
Potrei iniziare, per esempio, parlandovi del nostro presente,
dell'esilio nella foresta di centinaia di famiglie indigene ribelli,
del degno colore di esseri umani le cui case sono occupate dalla
più moderna tecnologia militare e da un esercito che è
obbligato a perseguitare e minacciare indigeni messicani, della
dignità che li ha portati su per le montagne a cercare
un luogo, dove vivere non fosse sinonimo di vergogna. Vi parlerei
di questo e, pure, della rapida amnesia di quelli vicini allo
zapatismo rispetto a questo presente eroico e dimenticato degli
abitanti di Guadalupe Tepeyac, simbolo deserto del tradimento
governativo e del disonore militare.
Ed allora vi potrei parlare dell'Heriberto, raccontarvi che ha
avuto una discussione ad alto livello e d'alto rigore teorico
con la Eva. La Eva, che sa fin dove può arrivare con un'abilità
che sconvolgerebbe i Salinas, e che al posto di continuare a discutere
con l'Heriberto, se ne va e mi dice, con noncuranza, che l'Heriberto
non vuole andare a scuola.
La Eva chiama "scuola" un lungo casermone che gli zapatisti
guadalupani, i civili espulsi dall'esercito federale a Guadalupe
Tepeyac, hanno costruito sull'alto di una collina che domina l'ordinata
povertà dell'esilio di questi indigeni oggi dimenticati
da quelli che in quelle terre hanno trovato una tribuna, una piattaforma
politica e una scuola di dignità.
- Allora l'Heriberto non vuole andare a scuola - ripeto, mentre
accendo la pipa e vigilo l'entrata della porta per vedere se appare
il futuro terrorista e il presente delinquente poco comune: l'Heriberto.
La Eva sa sempre fin dove può arrivare, così non
chiede neanche permesso per prendersi un sacchettino di caramelle
ed iniziare a mangiarsele. La Eva sa quello che succederà
quando scarterà la prima caramella e il rumore della carta
si assommerà al cricri ossessivo dei grilli. Ignoro la
reale capacità di convocazione che ha il rumore di una
carta che avvolge una caramella, ciò che è fuor
di dubbio è che, non importa quanto lontano sia o quanto
rumore ci sia intorno, sempre finisce che lì appare, alla
porta, il temuto, lo strillo più rapido del sudest messicano,
lo stato di diritto, pardon, il terrore delle formiche, l'unico
(meno male), l'ineguagliabile (onore a chi onore si merita), lui:
l'Heriberto. Gli occhi grandi e neri dell'Heriberto perlustrano
tutti gli angoli della stanza. Scoprono il sacchetto di caramelle
e la Eva che lo possiede. L'Heriberto cerca di cogliermi di sorpresa
con un non necessario "Sono arrivato Ciup". Io cerco
di fare il serio ed assumo la stessa posizione flessibile che
ha il governo messicano sulla politica economica, cioè,
mi dichiaro disponibile a discutere di tutto, però avvertendo
che non cambierà nulla.
- Perché non vai a scuola? - gli domando, cercando di frenare
la sua avanzata verso il sacchetto di caramelle.
- Perché voglio andare quando so qualcosa, perché
se vado adesso, non so nulla e che succede quando il maestro mi
sgrida perché non so nulla. Prima voglio imparare e poi
vado a scuola - dice l'Heriberto con una caramella che già
gl'impasta la voce e con le tasche già piene della zuccherina
conquista. La Eva era stata disattenta alle caramelle perché,
dimostrando le sue chiare tendenze femministe, stava cercando
quel video di Pedro Infante che si chiama "Dicono che sono
un donnaiolo". Io fumo, sospiro mentre sto pensando che
l'Heriberto potrebbe dar lezioni di logica filosofica e dirigere
la Segreteria per la Pubblica Istruzione con identica corruzione
però con più intelligenza di coloro che si stanno
dimostrando così intolleranti di fronte al crescente movimento
dei maestri.
Potrei raccontarvi questo, però all'improvviso penso che
no, che questa è la solenne chiusura del "Forum Speciale
per la Riforma dello Stato" e che non è conveniente
parlare in questa sede dei fatti delittuosi dell'Heriberto.
Allora penso che sia meglio parlarvi del Beto, di come vive la
sua disperazione per crescere mentre la sua gente è asfissiata
dalla politica sociale antiguerriglia del governo. Il Beto è
già cresciuto, è già grande, il Beto non
cade già più nel fango. Il Beto gira già
per i campi e lì incontra un bambino di un villaggio vicino.
Quel tale Nabor gli racconta che nel suo villaggio il governo
dà tanti aiuti alle famiglie ad un'unica condizione, quella
che non siano più zapatisti e che denuncino quelli che
continuano ad andare avanti.
Il Nabor non capisce molto, però comprende le cose principali. Raccoglie una pietrina per la sua fionda e dice e chiede al Beto: - La mia famiglia è perseguitata perché non prende quello che il governo dà. Dice il mio papà che è naturale che la dignità provochi la fame. E voi vi arrenderete? -
- No, naturalmente. Ci siamo già messi d'accordo che no.
Che non ci arrendiamo, così ci siamo messi d'accordo -
dice il Beto mentre punta la sua fionda verso un disegno di un
carro armato.
Ma mentre vi sto raccontando questo, mi ricordo di qualche cos'altro
e penso che sia meglio parlarvi de... la Toñita che va
con un piccolo fascio di legna a spalle. Sei anni pesa l'infanzia
sulle spalle della Toñita.
Fra fango e spine del sentiero che scende dalla collina, la Toñita
inizia a curvare le spalle per equilibrare anni e legna. Io rimango
senza parole quando mi rendo conto che la Toñita, quella
del bacio rifiutato perché "pizzica molto", cammina
con il fascio di legna. Non è per la dolorosa immagine
di una bimba schiacciata dalla miseria di un carico di legna,
no, non è per questo o perché la guardi con rancore
perché mi ha rifiutato un bacio. Quello che mi lascia
senza parole e, quindi, mi rende incapace di parlarle è
che, ve lo giuro, la Toñita sta sorridendo. E sta sorridendo
pure l'Olivo. A differenza della Toñita, l'Olivo è
Tojolabal e sta facendo il diavolo a quattro con gli stivali che
gli hanno regalato. Dando calci a pietre, alberi, maiali e porte,
l'Olivo impara ciò che è stato sempre negato a bambini
come lui: che si può giocare ed essere bambini, fino a
che essere adulto non gli ferirà la pelle. L'Olivo non
usa le sue scarpe per camminare. Quando vuole andarsene in giro,
va scalzo. Però quando arriva la breve ora del gioco,
l'Olivo e la sua banda si uniscono e giocano a chi ha le scarpe
e danno calci al suolo e a tutto ciò di animato ed inanimato
che incontrano. Sono un potentissimo gioco le scarpe per l'Olivo
che, mi dicono, ora reclama un pallone affinché il suo
gioco possa arrivare lontano in collettivo.
E, in collettivo, con altre bambine, arrivano la "Yeniper"
e la "Chaga" fino al posto dove sono per vedere se ci
sono ancora o me ne sono andato. E sì, sono lì
e non me ne sono andato, così che la "Yeniper"
mi può far domande mentre un elicottero militare sorvola
il villaggio. La "Yeniper" guarda l'elicottero armato
e mi domanda se i passeri pure si spaventano, come i bambini della
realtà chiapaneca, per il minaccioso rumore delle ali della
morte. L'elicottero si stanca di cercare trasgressori e la "Yeniper"
se ne va a raccogliere legna senza aspettare la mia risposta.
Un passerotto, con le piume vestite di lilla e azzurro, vola
di nuovo a fianco della "Yeniper". Da lontano non si
distingue bene chi dei due cammina e chi vola.
E per finire, dopo averci pensato a lungo, sono arrivato alla
conclusione che non sarebbe serio e rispettoso parlare di bambini
zapatisti in qualcosa di così rispettabile e serio come
questa cerimonia di chiusura del "Forum Speciale per la Riforma
dello Stato".
Ritorno alla pagina del Comitato Chiapas di Torino