La risposta unanime del tavolo a questa
domanda è sì, dato che nei fatti è già
presente nella lotta zapatista, nella lotta dei produttori indebitati,
degli operai, dei coloni, delle donne, ecc. Da questa domanda
ne derivano altre:
Esiste già un modello alternativo o dobbiamo costruirlo?
Si può dare impulso al progetto alternativo dall'interno dello stato o dall'esterno?
Perché è così necessario recuperare concetti chiave come solidarietà, cooperazione, autogestione, autonomia, ecc. per comprendere la lotta contro il neoliberismo? e...
Come dovremmo dare coesione alle reti di comunicazione, appoggio
e scambio internazionale, interetnico e intersettoriale; qual
è la loro importanza per il progetto alternativo?
1. L'alternativa esiste, ma non ha un'unica forma, non obbedisce a ricette o a modelli rigidi o preconcetti, richiede invece lotte e forme di organizzazione diverse che sono in fase di formazione o che già esistono. Naturalmente l'alternativa dovrebbe basarsi su principi come una giusta distribuzione del benessere, che non promuova il consumismo o il produttivismo del lavoro e che sia rispettoso dell'ambiente, così come di progetti autonomi di produzione, rifiutando qualsiasi tipo di intromissione.
Ci vediamo impegnati a cercare forme multiple che rispondano agli altrettanto vari spazi che il capitalismo domina nella sua tappa neoliberale: lavoro, educazione, alimentazione, salute, cultura e politica sia a livello individuale che locale, regionale, nazionale e mondiale; dato che il capitalismo costituisce un progetto globale, di carattere standardizzante ed escludente che distrugge natura ed umanità in noi stessi, in piccole comunità e in nazioni intere e che genera false opposizioni tra le razze, i sessi, le religioni o le culture.
La diversità della lotta si esprime nei seguenti punti:
a) Una delle forme in cui si è manifestato il capitalismo è, in agricoltura, attraverso la cosiddetta Rivoluzione Verde, che promuove un'utilizzazione intensiva di fertilizzanti, prodotti chimici, macchinari pesanti, ecc. Di fronte agli effetti nocivi che questo pacchetto tecnologico ha provocato all'ecologia, all'economia dei produttori e alla salute, si è reso necessario cercare produzioni alternative (cooperativismo, ritorno ad una economia contadina, agroecologia, riconoscimento delle tradizioni e delle forme produttive delle comunità indigene, ecc.), che hanno portato alla necessità di discutere sulla rendita della piccola proprietà di fronte alla produzione agroindustriale su grande scala. Per alcuni partecipanti la maggiore efficienza della grande proprietà è un mito; anche se offre una maggiore produttività per lavoratore, è molto più inefficiente della piccola proprietà in quanto a superficie coltivata, perché le tecnologie richieste per la produzione in grandi estensioni prosciugano le capacità produttive del suolo. Oggi, per esempio, si necessita una quantità di fertilizzante quindici volte più grande che trenta anni fa per la stessa terra negli Stati Uniti; inoltre grandi estensioni di terra sono lasciate deliberatamente inutilizzate per speculare sul loro prezzo. Un'alternativa potrebbe essere la promozione di alimenti sani, obbligando così alla diminuzione dell'uso dei prodotti chimici; per fare ciò è stato proposto di diffondere, mediante reti di informazione internazionali, campagne contro l'uso e l'abbandono di prodotti e residui tossici e per la confisca di terre inutilizzate.
b) Il debito costituisce un altro dei gravi problemi dell'economia mondiale contemporanea. Il problema non è circoscritto solo alle difficoltà che ciascuna nazione incontra per pagare, ma opprime pure ampi settori della popolazione, che hanno contratto debiti insolvibili con banche, società di crediti. Il debito ha trasformato i debitori in una specie di peones, il cui lavoro appartiene anticipatamente al loro creditore. Esiste attualmente un movimento di produttori indebitati che lotta contro questo spoliazione. Si propone il consolidamento di fronti ampi, democratici, nazionali ed internazionali di debitori e il riconoscimento delle loro organizzazioni, l'eliminazione del debito estero dei paesi del terzo mondo o la sua moratoria.
c) Le politiche economiche e sociali degli stati nazionali sono state condizionate dal FMI, dalla Banca Mondiale e dalle imprese multinazionali che esigono l'esistenza di governi stabili, duraturi e forti. I trattati economici (Maastricht in Europa o TLC in Nord America), oltre a stabilire meccanismi propriamente economici, implicano stabilità politica per i governi nazionali attraverso repressione e controllo dell'opposizione, generando una divisione nord sud anche in paesi sviluppati come l'Italia, dove il nord industrializzato esiste grazie ad un sud impoverito e affetto dal traffico di droga, di armi e di rifiuti tossici. Questa divisione converge nei paesi poveri e ricchi, come lotta per il miglioramento delle condizioni di vita. Da qui, la lotta zapatista è un esempio di resistenza organizzata contro gli orrori neoliberali.
d) La logica di mercato impone il degrado di tutti gli oggetti di uso quotidiano e produttivo, perché, al di là del fatto di essere prodotti sociali che esprimono la diversità delle culture che li realizzano, la loro produzione è stata monopolizzata a tal punto che la ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico sono sotto il controllo dello 0,01% della popolazione mondiale. Questa monopolizzazione pretende negare al mondo, attraverso l'occultamento: oggetti, tecniche e progetti alternativi. Questo rende indispensabile assumere il controllo sulla qualità degli oggetti che disegniamo e produciamo, riprendendo la storia e le diverse culture, riconoscendo che c'è unità nella diversità.
e) Se intendiamo il neoliberismo unicamente
come politica economica, allora la lotta si potrebbe risolvere
ritornando al modello socialdemocratico (mantenendo l'intervento
statale nell'economia e non riducendo la spesa sociale). Al contrario
la lotta potrebbe essere progettata come lotta anticapitalista
alla ricerca della giusta distribuzione del benessere con l'abolizione
del profitto come asse del processo economico.
2) Si è discusso il ruolo dello stato, nel momento in cui applica le politiche economiche neoliberali; anche se d'altra parte lo stato appare in alcune occasioni come protettore di fronte ai colpi neoliberali. In relazione a questo problema si è discusso sui seguenti punti, senza però arrivare ad un accordo:
a) La dinamica globale colpisce anche nazioni che cercano di portare avanti un progetto alternativo di gestione dell'economia, come ad esempio Cuba. La risposta del governo cubano è stata una riforma economica che permetta l'investimento straniero in associazione con lo stato (ad eccezione dei settori educazione, salute e difesa), la piccola proprietà agricola e il lavoro autonomo (senza la possibilità di contrattare forza lavoro), l'uso di biotecnologia agricola e agricoltura organica, oltre all'autofinanziamento dei servizi, mantenendo la politica e i principi sociali applicati con il consenso e la partecipazione sociale. Dalla domanda se Cuba applichi o no politiche neoliberali per uscire dalla sua crisi, è derivata la necessità di discutere se l'alternativa al neoliberismo si può sviluppare a partire dallo stato o al di là di esso.
La partecipazione dello stato ad un progetto alternativo al neoliberismo potrebbe dipendere dal tipo di stato, in funzione di quali interessi e classi sociali appoggia, perché, paradossalmente, non solo le imprese multinazionali o le istituzioni sovranazionali al loro servizio promuovono l'applicazione di tagli neoliberali. Governi autodenominatisi socialisti o operai, come ad esempio quelli di Spagna e Francia si sono dedicati, negli ultimi anni, a smontare la sicurezza sociale e l'economia di intere regioni. Nei Paesi Baschi, il neoliberismo ha smantellato l'industria siderurgica e navale, basilari per la riproduzione della regione. Dobbiamo identificare oggi nei ministri delle finanze i moderni dittatori, all'interno di ogni governo. La discussione sulla partecipazione statale nel progetto alternativo è un compito rimasto in sospeso.
b) Molti dei modelli statali esistenti (libero mercato capitalista e pianificazione a partire dallo stato) sono falliti, cosa che non necessariamente significa che la pianificazione della produzione non sia necessaria. Questa deve essere condotta senza burocrazia. Superando il concetto della presa del potere dello Stato si afferma l'importanza primaria di costruire una società civile con sufficiente potere per governare dal basso.
c) Le assemblee e i consigli operai e contadini potrebbero essere una forma alternativa al controllo statale sulla produzione e una forma di protezione delle risorse naturali.
d) Le autonomie locali (intese come
la capacità collettiva di nominare, deporre e vigilare
i governanti in un territorio autoamministrato) rappresentano
un contrappeso possibile al potere imposto dallo stato.
3) È necessario che costruiamo
insieme l'alternativa, partendo da principi di base che includano
il recupero di concetti come la dignità, la solidarietà,
l'autogestione, la diversità e la cooperazione, con obiettivi
includenti, centrati sulle necessità umane integrali.
Qualsiasi modello alternativo avere come principio orientante
realizzare il para todos todo. Le sedici domande zapatiste
costituiscono, quindi, un punto di partenza obbligato per definire
l'alternativa al neoliberismo. Ma nello stesso tempo, dobbiamo
fare un esercizio di riflessione ed azione che contempli le differenze
economiche, sociali, culturali e politiche che prevalgono in ogni
settore della società aggredito da neoliberismo e così
contribuire alla creazione delle molteplici forme della nostra
alternativa. Anche se si ottenne un consenso rispetto all'importanza
di questi concetti, è necessario precisare i loro significati
per permettere una coordinazione effettiva delle distinte lotte.
4) Il progetto alternativo deve nutrirsi della formazione di reti di comunicazione e informazione credibili che servano da appoggio e interscambio delle esperienze di lotta e resistenza (radio alternative, posta elettronica, ecc.), e che servano nel contempo ad arricchire la discussione e le analisi sul momento storico attuale e che favoriscano la costruzione di un progetto di quelli per cui "ancora non è arrivata la fine della storia".
Il recupero delle esperienze rivoluzionarie passate è necessario, perché da esse possiamo apprendere errori e successi, con il proposito di potenziare i successi senza riprodurre gli errori.
Si propone che un aspetto importante nella lotta debba essere la trasformazione di tutte quelle costituzioni politiche che non difendano gli aneliti più sentiti della democrazia avanzata.
Riprogettare le relazioni campagna-città e promuovere la relazione diretta fra produttori e consumatori, basata sulla responsabilità diretta dei consumatori sulla qualità dei prodotti che richiedono. Questo includerà boicottaggi mondiali al commercio e consumo di prodotti nocivi o di imprese che finanzino la produzione di armamenti o promuovano l'applicazione di politiche neoliberali. Egualmente, si propone di appoggiare progetti di autonomia autosostenibile non solamente in campagna, ma anche nelle città.
Dare impulso a reti di commercio che promuovano, prima della produzione per l'esportazione, l'appoggio alla economia locale e la sua integrazione con la comunità, attraverso l'informazione sui processi di produzione applicati, come i costi e i materiali utilizzati (tecnologie e materie prime non pregiudicanti l'ambiente) e che garantiscano la qualità del prodotto e una remunerazione adeguata ai produttori. A livello di commercio fra paesi, si propone di iniziare una discussione sulla regolamentazione dei trattati commerciali in cui partecipi tutta la società, prendendo come obiettivo, lo sviluppo dei popoli senza danneggiare la natura.
Si propone la generazione di un nuovo concetto di progresso o sviluppo che non sia capitalista-quantitativo, ma che integri le necessità materiali e spirituali e che si basi su nuovi valori umani.
Si propone anche: una dichiarazione mondiale contro il neoliberismo; la diffusione dell'informazione sulle lotte locali; la celebrazione di una giornata mondiale di azione diretta contro il neoliberismo; la promozione di un'Organizzazione Internazionale di Lavoratori e una serrata della società civile in ripudio della politica neoliberale; la proposta del pagamento di una imposta sulla speculazione finanziaria, i cui proventi vengano devoluti a progetti socioecologici contro la povertà.
Al termine i partecipanti al tavolo
considerano che di fronte al disincanto per l'insuccesso dei molti
tentativi passati per dare un'alternativa al sistema dominante,
i nostri fratelli zapatisti ci hanno dimostrato, con la pratica
quotidiana, con la loro vocazione per la pace, con la loro volontà
di dialogo e la loro organizzazione di base, che l'alternativa
continua ad essere qui, che è nostra quando siamo disposti
a ampliarla e mantenerla. Questo Incontro Intercontinentale,
per il solo fatto di essere stato portato a termine, dimostra
che il nostro progetto di costruzione di un mondo nuovo per tutti
ha una speranza.
(Tradotto dal Comitato Internazionalista Che Guevara - Bologna)
Indice dell'Incontro Intercontinentale