La Jornada mercoledì 29 aprile 1998
Ana María Aragonés
Tutte le iniziative intraprese per la ricerca della pace sono
degne di plauso, come la Proposta di Guadalupe. Ciò nonostante
questa non sembra essere un'alternativa percorribile per il ritorno
al dialogo, perché scavalca tutti gli accordi firmati dal
governo di Ernesto Zedillo, che sono stati violati e che sono
all'origine del deterioramento della situazione in Chiapas, e
sono la causa dell'atteggiamento negativo dell'EZLN perché
torni al tavolo dei negoziati.
Che fiducia ci può dare un governo che non rispetta i patti?
Non si pecca di ingenuità pensare che, ora si, il governo
di Zedillo rispetterà quello che ha firmato? E' importante
ricordare che gli impegni non rispettati sono non solo un affronto
per l'EZLN ma lo sono proprio per la società civile che
ha partecipato a tutto il processo di negoziazione. Pertanto,
pretendere il loro rispetto riguarda tutti. E' difficile accettare
un "cancelliamo e rifacciamo tutto" , come si pretende
con la Proposta di Guadalupe, ed assegnare vari compiti ad ogni
settore coinvolto nel conflitto.
L'EZLN deve rispondere alla richiesta della società civile
e "discutere sulla proposta della Cocopa le strade che portino
alla pace ...". La prima domanda è: Che cosa significa
discutere sulla proposta della Cocopa? Che io sappia, e i miei
colleghi devono saperlo, l'iniziativa della Cocopa non può
essere "discussa" può solo essere presentata
alle istanze di delibera nazionale per la sua discussione, cioè
al Congresso dell'Unione. Ci sono cinque condizioni che devono
verificarsi affinché l'EZLN torni al dialogo, presupponendo
la distensione militare e la sicurezza per le parti. Possono gli
zapatisti rischiare quando si sono incrementate le forze militari
e di polizia nella regione, quando il massacro di Acteal continua
ad essere irrisolto, quando continua ad aumentare il numero degli
sfollati? (Paz y Justicia obbliga 500 indigeni choles ad abbandonare
la propria terra sabotando gli accordi agrari firmati tre anni
fa con il governo federale e statale, La Jornada 25 aprile).
L'Esecutivo Federale deve riconoscere l'EZLN come attore principale.
Chiedere questo significa che il governo è obbligato a
riconoscere l'EZLN come interlocutore, ma questo era l'impegno
accettato a sostegno della Legge per il Dialogo, la Conciliazione
e la Pace Degna in Chiapas dell'11 marzo 1995, invece si è
incrementata la pressione militare nella regione, un'ulteriore
violazione alla legge citata ed una chiara provocazione.
Alla Conai si chiede che collabori, però se questo avviene
con tutte le sue forze, è il governo che la boicotta di
continuo. Le parole di Rabasa sono una minaccia per il futuro
della Conai: "si farà una valutazione... e quando
si prenderà una decisione si farà conoscere all'opinione
pubblica (La Jornada 25 aprile). Stessa situazione la sta subendo
la Cocopa. Perché non domandare al governo che si astenga
dall'esercitare pressioni sulle istanze di mediazione affinché
possano svolgere il loro lavoro?
Al Congresso della Unione non si può chiedere che risponda
al mandato del popolo del Messico, lo si deve pretendere perché
è obbligato, o no?
Per quanto riguarda la società civile, totalmente d'accordo
che deve contribuire ad evitare la guerra! Ma, come riusciremo
a mantenere questo spirito quando sappiamo che uno degli strumenti
più generosi che la società messicana ha creato
dal marzo 1995 sono gli accampamenti civili per la pace, la cui
funzione è stata erigere una barriera per evitare scontri,
e che sono stati continuamente osteggiati dal governo? Centinaia
di messicani si sono convertiti in "campamentisti",
dedicando i pochi o tanti giorni del loro tempo libero in maniera
assolutamente disinteressata nel servire come vero cordone di
pace? Che cosa è successo? Domandiamolo agli undici componenti
dell'accampamento internazionale per la pace, che hanno subito
le aggressioni dei corpi della Seguridad Publica, del distaccamento
della PGR, della Polizia Giudiziale dello Stato, dell'Istituto
di Migrazione, il 10 aprile scorso a Taniperlas. A questo livello
di repressione, come saldare il nostro debito con i popoli indigeni?
Perché non dire le cose come sono? Che il governo deve
smetterla di violare gli impegni e rispettare ciò che ha
concordato, affinché tutte le istanze recuperino la fiducia
e si possa quindi riprendere un dialogo che effettivamente tutti
desideriamo e che appoggeremo dalle nostre diverse trincee.
Questo non è un invito alla rottura, al contrario, è
una critica fraterna obbligata dal momento che stiamo vivendo.
Il cammino verso la pace deve partire dal recupero della memoria
storica per "smettere di morire degnamente e riuscire a vivere
degnamente" (Savater).
(traduzione Collettivo "capitana Maribel" - Bergamo)
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