La Jornada sabato 25 aprile 1998

La dignità del silenzio

Luis González Souza

Il governo dice di volere la pace in Chiapas. Senza dubbio, non fa molto per comprendere gli indigeni rappresentati dall'EZLN. E' come una promessa di matrimonio ed amore eterno a qualcuno che neppure si conosce. Ma che in fondo si disprezza. Questione di razzismo, demagogia e avventurismo.

Gli strateghi insistono perché si approvi una legge (Zedillo-PAN) che, mancando del consenso, acuirà il conflitto. Inoltre, senza comprendere l'importanza vitale per gli indigeni dei municipi autonomi, li si attacca poliziescamente. In questo modo è la guerra e non la pace quello che sta venendo avanti. E continuerà a venire avanti mentre la classe governante insiste nell'imporre la sua (sub)cultura su quella dei popoli indios.

Lungi dal comprendere il silenzio degli zapatisti, questo atteggiamento è presentato come un'intransigenza irrazionale, causa della mancata ripresa delle negoziazioni per la pace. Con veemenza e con toni da sommo pontefice, il governo e non pochi depistati si domandano: Cosa aspetta l'EZLN per tornare al tavolo del dialogo? Chi si crede di essere per mantenere in ostaggio la nazione con il suo silenzio? Se non approva le iniziative di legge di Zedillo e del PAN, perché non si siede a discuterle? E non manca la puntualizzazione: Perché si mantiene nella posizione di tutto o niente? Non sa che la politica è negoziazione e che sempre si deve cedere qualche cosa?

Queste domande possono avere molto senso solo nel mondo della cultura non-indigena. In particolare, nella subcultura politica del dialogo come mascheramento del monologo, della consultazione della società come simulazione di sensibilità, dei principi come merce di negoziazione, della negoziazione come trappola, dei valori come cattiva abitudine premoderna, dell'etica come semplice estetica, della dignità come stravaganza degli apolitici, degli impegni come cartacce disprezzabili, del consenso come ostacolo passeggero dell'autoritarismo ed infine, della politica come arte dell'inganno.

Ma abbiamo imparato qualcosa d'altro dalla cultura indigena, grazie all'insurrezione zapatista. Questo tirocinio si dimostra indispensabile per una pace duratura. Inoltre, è assolutamente necessario per arricchire la cultura creola o meticcia e per passare dalla simulazione democratica ad una democrazia autentica. E, naturalmente, per vincere la sfida storica alla base del conflitto chiapaneco: ricostruire il México ma, ora si, come una nazione veramente multiculturale e plurietnica (che è ciò che ordina la nostra Costituzione).

Volendo comprendere ed imparare dalla cultura indigena, non è inspiegabile il silenzio zapatista. La sua lotta non è per "o tutto o niente", ma è per "essere o non essere". E per essere nel mondo indigeno, prima di tutto si deve avere parola e dignità. Se la sua posizione fosse massimalista, l'EZLN non avrebbe mai firmato gli Accordi di San Andrés, perché questi non accolgono completamente le loro richieste. Gli indios messicani lo sanno ed hanno saputo cedere, non solo a San Andrés ma da 500 anni. Quello che non sanno fare è tradire la parola data. Ne va della propria dignità onorare gli impegni presi. E della dignità ne va la vita.

"Non temiamo né il carcere né la morte. Come indigeni degni vogliamo vivere con dignità. Ci difenderemo con le armi della nostra parola sincera, della ragione e della dignità come esseri umani quali siamo".

Così recita il messaggio del popolo di San Pedro Michoacán, come risposta al violento sgombero del municipio autonomo di Taniperlas. Non meno istruttivo è il comunicato degli abitanti del municipio autonomo Ernesto Che Guevara: "Continueremo a resistere, così come ci hanno insegnato i nostri antenati maya. Non permetteremo che distruggano il nostro popolo e la nostra cultura (...) Il mal governo non è altro che bugiardo ed assassino, perché non rispetta la parola data. Il nostro popolo non aspetterà altri 500 anni per essere libero".

In questi valori, basati sulla dignità, radica la forza del movimento zapatista. E per difenderlo senza titubanze, la sua forza già è mondiale. Chiedere all'EZLN che torni a negoziare ciò che ha già firmato a San Andrés, equivale a pretendere la sua autoimmolazione politico-morale (per loro, politica e morale vanno sempre insieme). E questo è quello che giustamente deve evitare qualsiasi serio tentativo di pace.

Il silenzio zapatista si romperà solo quando si presenterà una proposta che non implichi il tradimento della parola data. Non si raggiungerà la pace con burle e rimproveri per questo silenzio. Meglio se impariamo a rispettarlo. E preferibilmente, impariamo ad essere degni anche noi, i non indigeni. Allora, si raggiungerà non solo la pace, ma anche la democrazia e la nuova cultura politica di cui abbiamo urgente bisogno.


(traduzione Comitato "capitana Maribel" - Bergamo)



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