Don Samuel de los Pobres

di Pierluigi Sullo

25 aprile 1997

E' STATO un incontro breve. Il vescovo di San Cristóbal de Las Casas, Samuel Ruiz, che tutti chiamano popolarmente Don Samuelito, era impegnato in una riunione del Consejo Interreligioso: "Gli evangelici - ha spiegato in ottimo italiano, visto che ha studiato nel nostro paese - non hanno voluto chiamarlo 'ecumenico' per non dare l'impressione di pentirsi". Ce ne sono molti, in Chiapas, di cristiani non cattolici?, abbiamo chiesto. E lui: "I cattolici sono la maggioranza, anche se - ha sorriso - in troppi non si comportano bene". Abbiamo incontrato il subcomandante Marcos... "Siete fortunati - ha interrotto il vescovo - io non lo vedo da tre mesi. Gli zapatisti hanno scelto di non comparire, in questo momento, c'è la campagna elettorale...".

Vescovi e militari

Marcos ci ha fatto intendere che la situazione è molto grave, pericolosa, che l'esercito sta stringendo piano piano un cappio". "E' così, è corretto. Basta pensare che qualche giorno fa abbiamo dovuto annullare una riunione di vescovi, qui in Chiapas, perché l'esercito era, come dire, troppo prossimo".

Fray Gonzalo Ituarte, oltre che frate domenicano e vicario episcopal de justicia y paz della Diocesi di San Cristóbal, oltre ad assomigliare in modo sorprendente a Don Samuel, è il segretario del Conai (Commissione nazionale di interposizione), l'organismo messo su dalla Diocesi nei primi mesi del conflitto chiapaneco, nel '94, ben prima che il parlamento e il governo nominassero loro rappresentanti e mediatori nel dialogo poi interrotto a gennaio di quest'anno, quando l'Ezln ha detto no alla controproposta "razzista" del governo sulla legge sui diritti degli indigeni elaborata dalla Cocopa, appunto la commissione parlamentare. Ituarte è soprattutto un uomo franco: si siede, per parlare con la delegazione italiana capeggiata dal vicesindaco di Venezia, Gianfranco Bettin, e agita la mano per cacciar via una mosca molesta: "Esta mosca - dice sorridendo - parece del gobierno, sembra governativa".

La lettera del Patriarca

A Fray Ituarte Bettin consegna una lettera autografa del Patriarca di Venezia, Marco Cè, indirizzata al vescovo Ruiz. "Un messaggio molto importante", commenterà poi lo stesso Don Samuel. Ituarte, là per là, ringrazia per la enorme solidaridad italiana, in specie nei confronti degli zapatisti, e spiega quale sia il "punto di differenza" tra la Chiesa locale e l'Ezln: "Loro hanno le armi". Ma, aggiunge, "noi stiamo con i poveri anche quando sbagliano".

Del resto, i suoi giudizi sono molto secchi, e non dissimili da quelli dell'Ezln: "In Messico - spiega - non c'è una democrazia, diciamo che c'è una democrazia a bassa intensità", ridacchia, subito torna serio: "In questo momento il sistema è molto duro, usa l'esercito, e abbiamo un presidente, Zedillo, che pensa in inglese. Così, sentiamo la guerra, vediamo i convogli militari, gli elicotteri, i blocchi stradali. Vediamo i gruppi paramilitari di guardias blancas... - riflette - Ora che mi viene in mente: la Conai ha prodotto un video, con testimonianze e immagini, su come la polizia addestra ed è complice delle guardias blancas. Vediamo come la polizia aumenti di effettivi, come l'esercito aumenti di effettivi".

Ed è, questa, una delle richieste che insistentemente i vescovi del Chiapas e messicani fanno al governo: diminuire la pressione militare e il numero di soldati nella regione. Non si sa quanti siano, chi dice 50-60 mila, chi addirittura poco meno della metà del totale dell'esercito federale. Fatto sta che i soldati sono dappertutto e, secondo un libro che in Messico sta avendo molto successo, la soluzione strategica, per così dire, escogitata a Washington, sta nella progressiva integrazione dell'esercito messicano - di leva, tradizionalmente e sostanzialmente fedele alla Costituzione e agli ideali della Rivoluzione di ottant'anni fa - con quello nordamericano. Basta vederli, i militari: hanno tutto il meglio che l'industria bellica Usa può offrire.

Petrolio e eucalipto

Ora in Chiapas è prevista, grazie alla pressione dei vescovi, la visita di una commissione parlamentare: per verificare quantità e atteggiamento dell'esercito. Ma la posta - il petrolio chiapaneco, il devastante progetto di coltivare 300 mila ettari del sud-est del Messico ad eucalipto, per farci carta, e infine l'idea di creare una via sostitutiva del Canale di Panama attraverso il punto più stretto tra Atlantico e Pacifico, circa 700 chilometri - è talmente alta, questa posta, che per fermare la macchina che sta triturando colloqui di pace, zapatisti e società civile chiapaneca ci vuole ben altro.

"Ci vuole l'Europa - dice Fray Ituarte - che cioè si crei una corrente di opinione in grado di intralciare l'azione del governo messicano e di spingere per la riapertura del dialogo, secondo il metodo di San Andrés: gli zapatisti da una parte, il governo dall'altro, in mezzo la società civile. Anche se per la verità - aggiunge Ituarte, facendo la faccia maliziosa - noi non siamo così imparziali, perché vediamo come ci sia troppa religione e poco Vangelo, e siccome pensiamo che il posto giusto del cielo sia su questa terra, e troviamo che gli zapatisti siano non una guerriglia, ma la espressione politico-militare di un popolo, bene, come già dicevo, e come dice il vescovo Ruiz, noi stiamo con i poveri anche quando sbagliano".

Per fortuna, aggiunge Ituarte, anche nella Chiesa qualcosa si sta muovendo, e in particolare accade che il Nunzio apostolico a Città del Messico, un italiano dal nome programmatico di Girolamo Prigione, un autentico persecutore del vescovo Ruiz, stia per essere sostituito. E pare che il sostituto sia uno spagnolo di nome Mullor, un conservatore legato all'Opus Dei, è vero, ma anche un uomo, dice Ituarte, "che considera la Chiesa come un'espressione della società civile". Inoltre, tra i vescovi del Messico il sostegno attorno a Ruiz sta aumentando, il presidente della Conferenza episcopale Sergio Obeso lo sostiene, e il suo stesso vicario a San Cristóbal, Raul Vera, mandato a San Cristóbal per controllarlo, ora è, se possibile, più radicale di lui.

Pochi giorni fa, infine, la Commissione episcopale per la pace e la riconciliazione in Chiapas ha diffuso un documento in 45 punti, in cui si denuncia appunto la soffocante presenza dell'esercito, la violazione dei diritti umani, gli ostacoli posti alla libera circolazione delle persone, la presenza di gruppi paramilitari: "Ci dicono - scrivono i vescovi, dopo numerosi incontri in giro per lo stato - che ci sono assassinii impuniti, incriminazioni infondate, tortura, pressioni psicologiche".

Ma tutto questo accade, dalla parte della Chiesa, non solo perché la situazione politico-militare è quel che è, e per il fatto che il governo tradisce tutte le promesse, ma per una ragione più profonda. Quando si chiede a Ruiz che atteggiamento abbia la Chiesta, ad esempio, nei confronti dei riti di una comunità come quella Chamula, che mescola cristianesimo alle culture tradizionali, lui risponde in modo complicato, con citazioni in greco e indicazioni del Concilio Vaticano Secondo; per dire, sostanzialmente, che l'evangelizzazione degli indigeni è stata una violenza, una compressione - e Ruiz schiaccia una mano sull'altra - mentre ora si tratta di riaprire le porte alle culture indigene: "Non c'è un Dio occidentale", dice il vescovo di San Cristóbal.

E gli zapatisti, Fray Ituarte, che cosa faranno? "La guerra moderna è impossibile per il popolo, troppe armi e troppo micidiali - risponde lui, serissimo - e gli zapatisti vogliono la pace. Ma - conclude - sono disposti alla guerra".

(Tratto dal Manifesto del 25 aprile 1997)


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