Da La Jornada del 21 maggio 1998
Kyra Núñez, speciale per La Jornada, Ginevra, 20
maggio ¤
In Cuba si è aiutata molta gente però non Marcos,
e praticamente nessun messicano, dato che col Messico si mantengono
strettamente le regole del rispetto totale perché è
l'unico paese che non si è accodato al blocco né
ci ha fatto la guerra, e perciò "manteniamo questa
regola", ha affermato il presidente cubano Fidel Castro.
"Non raccomando la lotta armata nei tempi attuali da che
il mondo si è globalizzato, ha detto il presidente davanti
ad un gremito Club Suisse della Stampa, nel suo unico incontro
ufficiale con la stampa accreditata, giusto prima di partire
da Ginevra verso Berna, la capitale elvetica.
La guerra armata è stata per i tempi della Rivoluzione
Cubana, ma oggi giorno "la lotta deve essere di carattere
universale e le masse e la coscienza sociale avranno un ruolo
decisivo", ha aggiunto.
Di Marcos - di cui ha letto tutto ciò che è stato
pubblicato ha detto: "lo conosco a distanza, non personalmente"
-, pensa che "è un rivoluzionario che vuole cambiare
una situazione sociale, impegnato in una causa (quella indigena)
in cui crede e che sebbene in una prima tappa di pochi giorni
ha utilizzato il procedimento della lotta armata, poi ha cominciato
una gran battaglia che sta per decidersi".
Ha continuato: "Marcos si è rivelato indiscutibilmente
un gran comunicatore e non è tornato ad usare le armi,
perché l'equilibrio di forze non lo favorisce per niente,
e invece, ha trovato l'arma della comunicazione".
Potere, quello di Clinton...
Ha insistito di fronte ai rappresentanti dei mezzi di comunicazione,
che il mondo si globalizza e non si potrebbe continuare a predicare
quello che per 30 anni si pensava, come il Che, che fosse necessario:
la lotta armata. Ha assicurato che nella misura in cui si sviluppa
la coscienza di giustizia, le masse giocheranno un ruolo decisivo.
"Il tempo delle armi è una tappa che è passata",
ha affermato.
Nelle sue lunghe risposte a non più di una decina
di domande, il lider cubano si è riferito alla sua "magnifica
amicizia con il Che", al fatto che non è contro la
globalizzazione "ma invece proprio contro la globalizzazione
neoliberale, dato che un sistema che non sa che farsene dell'uomo
non ha diritto di esistere", e che il mondo idilliaco di
cui parla il presidente degli Stati Uniti non è reale
(a cura del Comitato Chiapas di Torino)
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