da Liberazione del 21.11.98

CHIAPAS, IL CONVOGLIO DELLA SPERANZA

Alfio Nicotra

San Cristobal de Las Casas, 20.11.98

Sono le quattro della notte quando il convoglio composto da parlamentari della Cocopa, da Croce Rossa Internazionale, giornalisti e membri della società civile lascia l'antica città coloniale di San Cristobal per scortare la delegazione dell'EZLN dalla selva alla città, per riannodare il dialogo con la commissione parlamentare e per partecipare alla tre giorni di confronto tra zapatisti e società civile messicana. Il nostro convoglio ha il compito difficile e faticoso di raggiungere La Realidad, l'Aguascalientes più lontana e la più accerchiata dall'esercito federale. Altri due convogli partiranno nella mattinata per recarsi alla Garrucha e ad Oventic per prelevare i comandanti Zebedeo e David.

La partenza è preceduta da frenetiche telefonate, durate fino all'ultimo, tra il presidente di turno della Cocopa Javier Guerrero ed i rappresentanti del governo federale. I cinque posti di blocco di esercito e polizia migratoria non risultano ancora smobilitati. Si segnalano inoltre movimenti di truppe intorno all'antica roccaforte zapatista (ora trasformata in villaggio fantasma dall'occupazione militare) di Guadalupe Tepeyac. Alla fine viene dato il via libera.

La nebbia ci accompagna fino all'ingresso della strada sterrata che si inoltra nella selva. La pioggia dell'uragano Mitch ed i cingolati dell'esercito l'hanno trasformata in un percorso di guerra, liscio come un formaggio groviera. Il fango in alcune parti sembra inghiottire il convoglio per poi improvvisamente lasciare il passo a sassi di diverse dimensioni che fanno soffrire non poco i pneumatici delle ambulanze della Croce Rossa. I posti di blocco della polizia migratoria sono opportunamente chiusi. Tutto intorno si vedono solamente contadini che, con le prime luci dell'alba, si avviano, machete in mano, al lavoro dei campi. A San José del Rio - dove una clinica è in costruzione grazie anche alla solidarietà italiana - la carovana si ferma per prendere fiato. Il problema è infatti più avanti, a Guadalupe Tepeyac, dove i militari si sono acquartierati in due grossi accampamenti.

L'esercito federale non rinuncia neanche in questa occasione a far pesare il proprio potere autonomo. Al passaggio del convoglio, da due accampamenti è tutto un esplodere di flash "sparati" da macchine fotografiche che i militari impugnano come armi dissuasive. Tiriamo avanti.

Con La Realidad troviamo anche il sole. Miliziani in borghese ci chiedono i documenti. Possiamo passare ad eccezione della troupe della TV Atzeca. Gli indios di questo villaggio non hanno dimenticato che proprio un elicottero di questa televisione, inopinatamente avventuratosi sopra le capanne per riprendere gli stranieri, ritenuti dalla propaganda xenofoba "la mente occulta che ha corrotto gli onesti indigeni", è il responsabile del ferimento di alcuni bambini coinvolti nella distruzione del tetto della scuola. Le pale dell'elicottero hanno mutilato l'edificio scolastico che è ancora lì, ferito come il cuore indigeno della montagna. Dall'Aguascalientes del villaggio arrivano indistinte voci di indios e note di marimba. E' in corso la cerimonia di saluto per i comandanti zapatisti che si recheranno in città. D'improvviso le grandi porte di legno si aprono lasciando passare due fiumi di indios che si pongono ai due lati della strada. Le donne, coloratissime da una parte. Gli uomini, tutti con il paliacate al volto, dall'altra. Una donna scandisce slogan per la pace, la solidarietà internazionale, l'unità con la società civile, che i due torrenti di indios riprendono e scandiscono più forte. La carovana è avvolta da centinaia di volti che gridano il loro evviva a Zapata, al Congresso Nazionale Indigeno, al Messico, ai comandanti dell'EZLN. Pugni alzati nel cielo finalmente sereno della Selva lacandona. Ecco che escono i comandanti e si dirigono verso di noi. Il maggiore Moises - il numero due della struttura militare dell'EZLN - ha il mitra in mano e la cartucciera a tracolla. Il piccolo comandante Tacho ha invece in mano una più innocua borsa nera da impiegato. Dietro di loro una decina di zapatisti incappucciati salgono lentamente sulle ambulanze. E' il rappresentante della Croce Rossa, mentre stringe la mano a Moises, a chiedere all'ufficiale zapatista di lasciare le armi (prontamente consegnate nelle mani di un miliziano).

Ci guardiamo intorno se vediamo Marcos. Vedo solamente, pipa in bocca, Javier Elloriaga, portavoce nazionale del Fronte Zapatista che mi sorride invitandomi a prendere posto nella carovana. Della pipa più famosa, ovvero il subcomandante insurgente, neanche l'ombra. Si saprà dopo che questa è stata una scelta meditata da parte del Comitato Clandestino per segnalare che la situazione rimane drammatica e la militarizzazione asfissiante. Marcos è chissà in quale punto sulla montagna.

La carovana si muove invece verso San Cristobal. A parte l'imboscata di flash che si ripete presso i due accampamenti dell'esercito federale (ci prendiamo una piccola vendetta, immortalando anche noi i "cecchini fotografi"), il viaggio, tra buche e fango scorre via tranquillo. A Las Margaritas una folla festante accoglie la carovana. Più avanti, dai campi, gli indigeni salutano al passaggio. A San Cristobal sono i due cordoni di sicurezza dei volontari della società civile e della Croce Rossa che creano un muro umano invalicabile tra i delegati zapatisti ed il resto della folla.

Oggi, 88esimo anniversario della rivoluzione messicana, cominciano i colloqui con la Cocopa e il meeting con la società civile.


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