Il CNI nell'ora della consulta

da La Jornada del 20 ottobre 1998, di Luis Hernández Navarro

 

Questo 12 ottobre, il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) ha compiuto due anni di vita. Ben poche organizzazioni sociali hanno conquistato in così poco tempo così tanta importanza come questa rete assembleare di organizzazioni regionali e comunitarie. In una situazione politica in cui i grandi coordinamenti di massa, formatisi all'inizio degli anni ottanta, hanno perso gran parte dell'influenza di cui hanno goduto nei primi anni di funzionamento, e le loro lotte e domande hanno smesso di essere riconosciute ed accettate tra i settori sociali, e mentre l'attività politica si è spostata in modo significativo al terreno dei partiti, delle e dei parlamenti, la nascita e lo sviluppo del CNI hanno un significato rilevante. Insieme alle coalizioni cittadine degli inizi degli anni novanta, le organizzazioni dei debitori sorte a partire dal 1995, e l'emergere dello zapatismo, la nuova lotta indigena ha ricostruito il ruolo dei movimenti sociali nella transizione politica.

In fin dei conti, il suo sviluppo evidenzia che la sola democratizzazione del paese non è sufficiente per risolvere i suoi problemi sostanziali. O, detto in altro modo, che non si possono risolvere adeguatamente le questioni ancora in sospeso per arrivare ad una democrazia piena, se non si risolvono, in modo simultaneo, le questioni relative alla giustizia ed alla libertà. Dimostra, in più, lo stretto vincolo che nel Messico di oggi esiste tra la cultura e la politica.

A due anni dalla sua nascita, capitalizzando parzialmente per la sua causa l'impatto della ribellione zapatista (di cui in gran parte è risultato diretto), il movimento indigeno unitosi nel CNI ha ottenuto un incipiente trionfo culturale, di molto maggiore a quello accumulato dalla forza politica.

L'idea secondo cui la soluzione della questione indigena è uno dei punti centrali che non hanno trovato soluzione nell'agenda politica nazionale è condivisa da ampi settori della popolazione. Non si possono più nascondere, né mascherare le condizioni di povertà, esclusione e discriminazione in cui vivono i popoli indigeni. L'assenza di riconoscimento ai loro diritti specifici e la portata ed il contenuto che questi devono avere si trovano al centro del dibattito nazionale.

Una parte del mondo intellettuale nazionale ha partecipato attivamente a questa discussione, al fianco di una vigorosa intellettualità indigena. La polemica ha smesso di essere un tema di specialisti. La stampa nazionale e la radio sono stati i principali strumenti del dibattito. Le notizie sulle questioni indigene sono oggi molto più frequenti di quanto lo fossero cinque anni fa. Gli indigeni si sono resi visibili, non solo come parte del costume, ma come un nuovo attore politico.

Tuttavia, questa nuova importanza sociale non si è ancora trasformata in un incremento significativo della sua forza politica. Gli spazi di rappresentanza popolare che i loro dirigenti occupano non si sono ampliati e le spese preventive destinate a soddisfare le loro necessità non sono cresciute.

Tranne che nello stato di Oaxaca, la maggioranza delle riforme legali in attuazione sono molto lontane dal soddisfare le richieste minime rivendicate dal movimento. Le violazioni ai diritti umani si sono concentrate lì più che in altre frange della popolazione, situazione che si è aggravata ancor più a causa della crescente militarizzazione dei loro territori. La loro capacità di gestione di fronte alle istituzioni governative non si è ampliata, ed ancor meno ha inciso sulle politiche pubbliche che li interessano.

La possibilità di far diminuire la breccia esistente tra il livello diseguale di sviluppo del loro impatto culturale e della loro forza politica potrà risolversi solo generando un gruppo dirigente nazionale radicato effettivamente nelle regioni, ed una concezione della lotta che si allontani da pregiudizi etnicisti ed antintellettuali.

La consulta convocata dall'EZLN è un passo in questa direzione. Per prepararla gli zapatisti hanno proposto la realizzazione di un incontro con la società civile, preparato da una commissione organizzativa plurale, rappresentativa, efficace ed aperta formata da rappresentanti di diversi gruppi. L'organizzazione della consulta, allora, sarà responsabilità non di una forza in particolare, ma dell'insieme dei settori interessati ad essa. Dopo tutto, la soluzione adeguata della questione indigena non è un affare di indigenismo, ma di giustizia.


(tradotto dall'Associazione Ya Basta! Per la dignità dei popoli e contro il neoliberismo - Lombardia)



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