il manifesto - 29 luglio 2008
PEMEX No!
COMPAGNIA PETROLIFERA IN VENDITA

Il governo neo-liberista di Calderón (e anche il Pri) è deciso a privatizzare Petróleos Mexicanos, pubblica per costituzione - López Obrador mobilita il paese per opporsi a questa manovra - Domenica il primo di tre referendum consultivi: 86% di no. Senza valore legale ma di grande valore politico
Gianni Proiettis - CITTÀ DEL MESSICO

Avversata e denigrata dal governo, è cominciata domenica scorsa la consultazione popolare sul destino degli idrocarburi messicani, la maggiore fonte pubblica di ricchezza del paese.

Indetta dall'oppositore Partido de la Revolución Democrática e dai suoi alleati di centrosinistra - il Partido del Trabajo e Convergencia - la consulta energetica si è svolta in questa prima fase nella capitale e in nove dei 31 stati della repubblica: Tlaxcala, Hidalgo, Baja California Sur, Guerrero, Estado de México, Michoacán, Morelos, San Luis Potosí e Veracruz.

In un esercizio di democrazia che non ha validità legale - il referendum non è ancora riconosciuto dalla legislazione messicana - ma è pur sempre una manifestazione della volontà popolare, più di due milioni di votanti (870mila nella capitale e circa un milione e 200mila nei nove stati) si sono pronunciati sul progetto governativo di privatizzare Pemex, la compagnia petrolifera di stato. E hanno emesso un no prevedibile ma contundente: più dell'86%.

La votazione di domenica, e le due che seguiranno in agosto nei 22 stati restanti, rappresentano un forte ostacolo ai disegni privatizzatori del governo e dei suoi complici-alleati, che già in aprile stavano premendo per un'approvazione fast track della «riforma energetica», un eufemismo per designare lo smantellamento di Pemex e la sua svendita per parti alle grandi compagnie del settore.

È già da tempo che Exxon-Mobil, Halliburton, BP, Repsol, tanto per fare qualche nome, volano intorno a Pemex come avvoltoi in attesa del momento opportuno per lanciarsi sulla preda. In questa prospettiva, si capiscono meglio le premature congratulazioni che George Bush e Rodriguez Zapatero fecero nel 2006 a Felipe Calderón, quando la sua elezione fraudolenta era ancora sub judice. Il business petrolifero ha fretta, ora più che mai.

Ma il saldo dei debiti contratti con i suoi «patrocinatori» - un pagamento che prevede anche laute commissioni - si è rivelato meno facile del previsto.

La nazionalizzazione del petrolio, decretata nel 1938 dal presidente Lázaro Cárdenas e sostenuta dall'intera popolazione, e la successiva creazione di Pemex sono da allora un tratto irrinunciabile dell'identità messicana, patrimonio della nazione consacrato nella Carta magna.

È chiaro che i neo-liberisti del Pan, il partito dell'estrema destra cattolica al governo, se ne infischiano dell'identità e del patrimonio della nazione, considerati miti vuoti e impedimenti anacronistici.

Neanche la considerazione che Pemex fornisce quasi la metà delle risorse al bilancio dello stato, supplendo a un sistema tributario totalmente inefficiente, sembra fermare loro la mano. Neppure il fatto che la tendenza dominante a livello mondiale è attualmente quella di ristatalizzare le compagnie petrolifere.

Incaponito nel voler vendere la gallina dalle uova d'oro, il governo Calderón si è trovato di fronte alcuni scogli imprevisti. In aprile, al primo annuncio della «riforma energetica», Andrés Manuel López Obrador, il maggior oppositore di Felipe Calderón, ha scatenato una vera e propria guerra di resistenza. Sul piano istituzionale, convinse l'intero Frente Amplio Progresista - formato dal Prd e dai suoi alleati - a paralizzare l'attività legislativa occupando per due settimane le tribune di Camera e Senato. La mossa, criticata da Pan e Pri, l'ex partito-stato al potere per più di 70 anni, come un «atto di inciviltà» e un «colpo di stato tecnico», riuscì a frenare l'approvazione dei disegni di legge governativi e obbligò il senato a indire un dibattito sul petrolio, aperto a politici, scienziati e intellettuali.

La discussione, di cui tutti a posteriori hanno riconosciuto l'utilità, è durata più di due mesi, si è conclusa la settimana scorsa e ha registrato interventi di grande importanza, mettendo a nudo la desolante impreparazione della classe politica.

I dati più impressionanti emersi dal dibattito si riferiscono all'esiguità degli investimenti statali nel mantenimento della struttura di Pemex: un modo per poter dire che la barca fa acqua da tutte le parti e che ha quindi urgente bisogno dell'iniezione di capitali privati per poter restare a galla. Un auto-sabotaggio, in poche parole, chiaramente svelato al pubblico.

Un altro punto dolente è quello dell'estrema corruzione del sindacato petrolifero, che assorbe cifre faraoniche per il mantenimento dei privilegi per una ristretta élite e funziona come fondo segreto - ormai non più tanto - per finanziare le campagne politiche del governo. Inoltre, si è rilevato da più parti l'assurdo di esportare petrolio a basso prezzo - la mezcla Maya è meno quotata del Brent e di altri tipi di greggio - per poi importare ad alto prezzo quasi il 40% della benzina necessaria al consumo.

Oltre ad ottenere il dibattito pubblico patrocinato dal senato, il popolarissimo Amlo - acronimo di Andrés Manuel López Obrador - ha mobilitato la base dei suoi sostenitori per pubblicizzare e organizzare la consultazione popolare di domenica.

Malgrado la grave frattura che attraversa il suo partito, il Prd, dopo le elezioni interne del 16 marzo scorso annullate per gravi irregolarità, Amlo è riuscito ad assicurarsene il sostegno in questa occasione. Marcelo Ebrard, il sindaco della capitale, ha dato il suo pieno appoggio, anche economico, alla consultazione. Certo, la metà «collaborazionista» del Prd, che fa capo a Jesús Ortega e muore dalla voglia di sedersi a trattare con Calderón mettendo un prezzo a qualsiasi cosa, perfino al petrolio, non è contenta della svolta «populista» rappresentata dalla consultazione. E il Pri, fiutati i venti contrari, ha presentato una propria iniziativa di «riforma», già definita un «clone edulcorato» di quella governativa, tanto che ha suscitato il plauso sia del Pan che dell'ala collaborazionista del Prd.

I numeri parlamentari per privatizzare Pemex ci sono, ma anche milioni di messicani disposti a mobilitarsi per impedirlo.

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