La Jornada – Giovedì 29 maggio 2008
I difensori dei diritti umani deplorano il trattamento crudele riservato ai detenuti politici nel carcere del Amate
Il CDHFBC denuncia la mancanza di volontà del governo del Chiapas di rispettare le garanzie -È stata la struttura guidata da Rodríguez Lozano ad organizzare la “punizione”
Hermann Bellinghausen
Il Centro dei Diritti Umani Humani Fray Bartolomé de Las Casas (CDHFBC) ha deplorato "i trattamenti crudeli ed inumani ed il trasferimento forzato contro i detenuti politici della prigione El Amate, Chiapas", perché la dispersione "è una forma di punizione che viola i diritti dei detenuti".
La misura applicata all'alba di martedì contro i membri della Voz del Amate "contravviene gli impegni presi dal governo ed è un duro colpo all’avvio del processo di ricerca della giustizia".
Secondo il Centro, il cui personale legale segue il processo di questi reclusi, "con lo smantellamento di La Voz del Amate e del 'gruppo di carcerati zapatisti', il governo dello stato dimostra chiaramente la sua mancanza di volontà di rispettare i diritti delle persone private della libertà", contemplati in diversi strumenti internazionali firmati dal Messico.
Il colpo assestato dalle autorità giudiziarie avviene in un momento in cui sta improvvisamente crescendo in diverse regioni la pressione militare, poliziesca, paramilitare e di partito contro le basi di appoggio zapatiste. Anche mentre sale di volume la lotta per il potere nel governo statale, guidata dal Ministro della Giustizia, Amador Rodríguez Lozano, e dal suo predecessore, Mariano Herrán Salvatti (oggi segretario dell’Economia, con sede a Tapachula).
È stata la struttura giudiziaria guidata da Rodríguez Lozano ad orchestrare la "punizione" alla Voz del Amate. Aveva già minacciato giorni prima il direttore delle carceri del Chiapas, Juan Jesús Mora Mora: "Non permetteremo più una denuncia, un movimento od un altro sciopero; saranno trasferiti".
Il comitato Voces Inocentes, formato da ex-carcerati e familiari, ha tenuto un presidio nella capitale chiapaneca ed è stato anche aggredito dalla polizia. Secondo il CDHFBC, "la mancanza di attenzione alle legittime istanze dei detenuti e degli scarcerati provoca l'uso del diritto di protesta, la cui repressione genera nuovi rancori sociali e responsabilità per violazioni dei diritti umani".
L'aggressione ha impedito che i reclusi realizzassero una giornata di digiuno, programmata per martedì, per gli inadempimenti del governo di Juan Sabines che si era impegnato a rivedere 14 casi dopo la liberazione di oltre un centinaio di detenuti il 7 aprile, come effetto di uno sciopero della fame che durava da più di un mese.
Il violento operativo del gruppo Lobo nella prigione di Cintalapa ha significato la dispersione degli imputati che hanno lottato in maniera pacifica per la loro libertà. L'attacco è stato pianificato con l'apparato di corruzione all'interno del penitenziario, la cui collaborazione con le autorità è stata ripetutamente dimostrata. Secondo le testimonianze di altri reclusi, dalla notte di lunedì la popolazione carceraria "era stata rinchiusa nelle celle con i lucchetti, poiché in altre occasioni aveva protetto i detenuti politici dalle aggressioni delle autorità".
La mattina di martedì, sottolinea il CDHFBC, "i presunti rappresentanti de bracci, o 'fedeli', avevano obbligato la popolazione a firmare fogli in bianco, apparentemente col fine di legittimare il trasferimento dietro una petizione degli stessi interni". Questo "indicherebbe la connivenza delle autorità".
La retata e lo sgombero sono avvenuti con violenza, "attentando contro l'integrità fisica dei detenuti; non hanno permesso loro di raccogliere le loro cose, li hanno fatti uscire scalzi e prima di portarli nelle diverse prigioni sono stati concentrati in un luogo sconosciuto di Tuxtla Gutiérrez, dove sono stati picchiati".
(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
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