La Jornada – Giovedì 28 febbraio 2008
Non odio nessuno, ma mi hanno arrestato ingiustamente, dice l’indigeno chol
ELIO HENRÍQUEZ

Ocosingo, Chis., 27 febbraio - Al chol Diego Arcos Meneses si inumidiscono gli occhi quando dice che non serba odio né rancore verso nessuno per l'anno e dieci giorni in cui è rimasto "ingiustamente" in prigione accusato di omicidio, mentre cercava di aiutare gli abitanti della comunità Viejo Velasco Suárez, situata ai confini della riserva dei Montes Azules, che erano stati attaccati dai priisti.

"In prigione ero triste perché non è poco quello di cui mi accusavano; ho lasciato la mia famiglia ed ho perso "ingiustamente" il mio lavoro, afferma nelle sue prime dichiarazioni alla stampa da quando ha lasciato la prigione del municipio di Playas de Catazajá, lo scorso 4 dicembre, dopo il ritiro dell'azione penale.

Dice che la sua formazione come promotore di religione cattolica - da molti anni - gli ha permesso di affrontare la prigione "con cuore leggero, serenità e buoni sentimenti".

Arcos Meneses era stato arrestato il 14 novembre 2006, un giorno dopo l'attacco perpetrato da circa 300 indigeni della comunità Nuova Palestina contro le famiglie del vicino villaggio Viejo Velasco Suárez, municipio di Ocosingo, per una disputa di terre. Nell'incidente morirono quattro persone.

"Siccome sono promotore di salute, il 14 novembre ero andato con la mia famiglia ed alcuni profughi a vedere se c'erano feriti, perché molte persone mancavano all'appello. Eravamo quasi arrivati quando sono atterrati due elicotteri; mi hanno preso e portarono a Tuxtla Gutiérrez", racconta Diego, risultato negativo alla prova del guanto di paraffina. Afferma di essere stato portato nella finca Piquitos, a Chiapa de Corzo, dove è rimasto tre mesi. "Lì hanno costruito il reato di omicidio, e per questo ho passato un anno e dieci giorni ina prigione".

Racconta che nei nove mesi in prigione - gli altri tre ai domiciliari - ha imparato a fare le amache e le borse colorate che vendono agli intermediari a 10 pesos, "perché non ci danno di più. È per passare il tempo, perché non c'è altro lavoro da fare".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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