La Jornada – Giovedì 24 gennaio 2008
I famigliari delle vittime ostacolano la ricostruzione dei fatti - Si presume che siano loro i colpevoli
INTIMIDAZIONI AL GIUDICE AFFINCHÉ NON PROCEDA NEL CASO DEI DUE ZAPATISTI ACCUSATI DI OMICIDIO
Gli indigeni tzeltales sono in carcere da cinque anni - La sentenza definitiva avvrebbe dovuto essere emessa lo scorso 16
Hermann Bellinghausen - Inviato

Ocosingo, Chis., 23 gennaio - È ancora in sospeso la risoluzione giudiziaria del caso dei due contadini tzeltales, identificati come basi di appoggio dell'EZLN, accusati della morte di due persone nella comunità di Banavil, avvenuta nel 2002. La parte accusatoria - i familiari delle vittime, tutti membri dell'Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) - ha fatto ripetutamente ricorso a minacce e falsità per dissuadere le autorità dallo svolgere le procedure processuali, "imponendo" la sua versione dei fatti e l'evoluzione del processo stesso.

Abbondano invece i motivi per assolvere Alfredo Hernández Pérez e Fidelino Ruiz Hernández, rinchiusi nella prigione di Ocosingo da più di cinque anni. Come ha scritto La Jornada lo scorso 14 gennaio, nessuno ha potuto provare che abbiano partecipato ai fatti di cui sono accusati.

Esistono perfino elementi sufficienti per presumere che l'omicidio di José Orlando e José López sia stato commesso dai testimoni, cioè, dalla parte accusatoria, nel febbraio del 2002.

Davanti al cumulo di irregolarità, la sentenza definitiva è stata rimandata molte volte negli ultimi giorni su richiesta del giudice di primo grado.

Lo scorso 18 gennaio, il Centro di Analisi Politica ed Investigazioni Sociali ed Economiche (CAPISE) ha comunicato che la data per l'emissione della sentenza definitiva del giudizio penale (procedimento 025/2002) era stata spostata al giorno 21. Quel giorno, i famigliari di Hernández Pérez e Ruiz Hernández sono andati in tribunale. Come riferisce CAPISE, il giudice aveva ricevuto istruzioni di andare a Tuxtla Gutiérrez, ma non era presente. Invece c'erano i famigliari dei testimoni a carico, membri della Opddic.

"Ci dissero che il giudice di primo grado sarebbe ritornato solo il giorno dopo, ma per quel giorno aveva chiesto un nuovo slittamento di due o tre giorni", aggiunge l'organizzazione.

"Il termine legale per l'emissione della sentenza definitiva era il 16".

Agli inizi del 2007, "la Corte suprema di Giustizia dello Stato, zona 3, ordinò la ripresa del caso rispedendo il procedimento al tribunale di Ocosingo, affinché si ripetessero le udienze dei testimoni a carico e dell'agente ausiliare di Banavil".

CAPISE segnala che in sette occasioni è stato chiesto di effettuare le udienze ordinate dal tribunale. "Sei di queste richieste le abbiamo inoltrate al giudice affinché queste si svolgessero dietro mandato di comparizione (cioè, che elementi della Pubblica Sicurezza portassero in tribunale i testimoni e l'agente ausiliare Silvano Lorenzo, anche con la forza se fosse stato necessario). Non si sono mai presentati né sono stati obbligati a farlo".

Il tempo è così passato. Tra un'udienza e l'altra passava almeno un mese. Cioè, per quasi un anno le autorità non hanno fatto nulla. La relazione della difesa denuncia: "Per due volte abbiamo chiesto un sopralluogo sul luogo dei fatti, così come la ricostruzione dei fatti. Nessuna delle due procedure è stata portata a termine. La prima volta si disse perchè i membri di Opddic dissero che 'gli zapatisti si opponevano alla visita del giudice' sul luogo dei fatti".

Davanti a questa versione, la giunta di buon governo (JBG) del caracol di La Garrucha mando una lettera al giudice di primo grado, "spiegando esattamente il contrario". La JBG era d'accordo che si eseguissero tutte le procedure, e la sua lettera è inserita nel procedimento.

L’aggressività dei membri di Opddic è stata costante, e fino ad ora determinante, nell’ostacolare l’azione della giustizia. “Nemmeno la seconda volta è stata realizzato il sopralluogo, perchè i famigliari dei testimoni erano ad Ocosingo a minacciare il giudice per impedire la ricostruzione dei fatti ed il sopralluogo, perché ‘era pericoloso per lui e per tutte le persone presenti sul luogo’ “, riferisce il CAPISE.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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