La Jornada – Lunedì 21 gennaio 2008
Le recenti inondazioni hanno danneggiato case e coltivazioni, ma la resistenza “continuerà
Gli indigeni di San Patricio subiscono una doppia minaccia: la penuria ed i paramilitari
Hermann Bellinghausen - Inviato

San Patricio, Chis., 20 gennaio - Il fiume Sabanilla “s’è portato via” tre capi di bestiame, campi di fagioli, milpas e foraggio. Ha danneggiato case e fattorie e distrutto molta terra coltivata. "A causa delle inondazioni per un po' soffriremo la fame, ma andiamo avanti", confidano gli abitanti choles di San Patricio.

Qua sono arrivati gli aiuti raccolti, attraverso la giunta di buon governo di Roberto Barrios, in altri municipi autonomi della zona nord a novembre e dicembre 2007. In un'occasione, tra le altre cose, la giunta ha mandato 700 kg di mais, 85 di fagiolo, 60 di arance, una ventina di caschi di banane ed alcuni sacchi di chayote. Ma essenzialmente sono sopravvissuti con le proprie risorse. Vivono la doppia difficoltà della resistenza e delle conseguenze di un disastro naturale.

La precarietà in San Patricio è evidente, comprese le 12 famiglie filogovernative che hanno ricevuto gli aiuti del governo ("briciole" li considerano gli autonomi) dopo le inondazioni del 28 ottobre scorso. Ma la rinnovata attività contrainsurgente nella zona li ha messi contro i loro fratelli zapatisti.

"Siamo un po' tristi; prima non c'erano priisti, ma il malgoverno ha comprato alcuni di noi con i sussidi e la gente ha cominciato a dividersi", dice il rappresentante della comunità. "Le briciole sono trappole per la gente povera e in lotta. Insieme siamo venuti a recuperare questa terra ed abbiamo concordato di coltivarla in forma comune. Ora i priisti vogliono parcellizzarla per poterla vendere".

Le famiglie che hanno recuperato le fincas Lámpara e Los Ángeles e fondato il villaggio sulle terre basse, provenivano da Unión Hidalgo, sulle alture della serra. A differenza di altre comunità del municipio autonomo La Dignidad, come il capoluogo San Marcos, San Patricio non è il risultato dell'esodo provocato dalla "guerra" militare e paramilitare nel secondo lustro degli anni '90.

In comunità come Jesús Carranza e Moyos, la violenza era molto alta e spogliò le famiglie zapatiste e della "società civile" (definizione allargata dell'epoca per i diversi gruppi filo-zapatisti della zona nord) delle loro case, proprietà ed appezzamenti, con lo stesso schema contrainsurgente che lacerò gli Altos a Chenalhó verso il 1997.

Le donne di San Patricio resistettero con i loro corpi alle incursioni dell’Esercito e lo cacciarono dalle loro case nel 1997 1998; in seguito ci furono furti e saccheggi da parte della Pubblica Sicurezza. Ed ora, con l'escalation generalizzata (di ispirazione governativa) contro la proprietà comunale nelle terre recuperate, ritorna lo spettro della paramilitarizzazione violenta.

La Jornada ha una lista di 35 nomi di membri di Paz y Justicia protagonisti delle nuove sparatorie e minacce. Provengono da Ostilucum, Sabanilla, Unión Hidalgo e San Patricio. Alcuni del primo villaggio hanno già tolto delle vite, come Sergio Díaz Masón, o hanno un lungo curriculum criminale, come i dirigenti Carmelino Díaz e Mario Vázquez Cruz. Appoggiati dal governo municipale, di alleanza PRI-PVEM, vogliono espropriare San Patricio.

Simili minacce pesano su Siquijá e San Marcos, dello stesso municipio autonomo La Dignidad. Ma le basi zapatiste si mostrano fiduciose. Hanno progredito, possiedono una modesta ma dignitosa aula scolastica in cui operano attivamente i promotori di educazione.

Si promuove anche l'agroecologia e la salute, anche se il dispensario medico è privo di medicine e le inondazioni hanno lasciato solo la porta. Le donne si occupano collettivamente di "bestiame" e del "negozio", tra altre cose.

Sebbene partecipano al movimento ribelle da prima del 1994, "la resistenza è stata possibile solo con la formazione dei caracoles", spiegano gli indigeni. Oggi sono 22 famiglie, 139 persone, che in maggioranza sostengono l'autonomia in mezzo alla crescente ostilità.

"Il nostro desiderio è resistere e non lasciare la terra. La difenderemo con l'ultima goccia del nostro sangue" - dichiara il portavoce, che, come d'abitudine, è circondato ed ascoltato da decine di indigeni che fanno da testimoni e supporto. Sono stati convocati dai "rintocchi" che produce una contorta elica di aereo da turismo caduto nella valle molti anni fa.

Il bell’aspetto degli indigeni non riesce a nascondere l'inquietudine e la paura. In una località remota, quasi assediati da comunità ostili e con la forza pubblica contro, le minacce di morte si ripetono. L'ultima, proferita da Samuel Díaz Díaz, di Ostilucum, è solo dell' 8 gennaio scorso.

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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