La Jornada – Martedì 17 giugno 2008
Magdalena Gómez
Chiapas: la riposta dei cittadini
I più recenti operativi dell'Esercito e delle diverse polizie nel territorio occupato dalle giunte di buon governo in Chiapas dimostrano la decisione di rompere con lo spazio di governo indigeno che lo zapatismo è riuscito costruire, contrariamente alla politica di Stato che nel 2001 si profilò con la controriforma indigena.
A parte l'aver alterato quanto firmato negli accordi di San Andrés, da allora si è profilata la posizione di rompere nei fatti la possibilità di arrivare alla firma della pace con l'EZLN. Dopo sette anni abbiamo le prove che sta operando una strategia che vuole disarticolare definitivamente il progetto zapatista. Si esprime in ambito agrario promuovendo lo scontro sulle terre occupate dal 1994 e che sarebbero oggetto di regolarizzazione nel contesto del processo di dialogo e riconciliazione. Si è passati anche alla pressione dei cosiddetti programmi sociali, cercando di dividere attraverso l'introduzione di denaro ed è ricorrente il tentativo di mostrare l'EZLN come complice del crimine organizzato.
Dalla sparata di Fox di risolvere il conflitto "in 15 minuti", il calderonismo è passato alla strategia attiva di smantellamento, ma senza annunci spettacolari. Per prima cosa ha ignorato il Coordinamento per il Dialogo, affermando che ci si poteva "avvalere" della Commissione per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (CDI), poi è cominciato a dire che quel coordinamento poteva sparire definitivamente, per poi di nuovo contraddirsi. Se fosse per loro, formalizzerebbero l'abrogazione, che hanno fatto nella pratica, della Legge Per il Dialogo la Conciliazione e la Pace Degna in Chiapas.
In questo contesto sono particolarmente gravi i fatti dello scorso 4 giugno: l'intervento dell'Esercito federale, della Procura Generale della Repubblica e delle polizie statale e municipale a La Garrucha col pretesto di cercare coltivazioni di marijuana. La reazione degli abitanti delle comunità di Hermenegildo Galeana e San Alejandro per respingerli con machete, bastoni e fionde poteva avere conseguenze inimmaginabili. Questa volta gli intrusi non hanno aperto il fuoco, si sono ritirati minacciando di tornare. Chi può fermarli?
Giustamente questa domanda dobbiamo farla dalla società, perché non ci sono spazi di dialogo a nessun livello: il deplorevole governatore del Chiapas arrivato al potere con le sigle del PRD, è alleato col settore più violento dell'ambiente chiapaneco; la presenza di Jorge Constantino Kanter al governo parla da sola. A dispetto di ciò, nega la propria responsabilità nei fatti per voce del segretario di Governo, Jorge Antonio Morales Messner, che con un linguaggio perverso ha spiegato che loro non possono rifiutarsi di collaborare con la polizia quando viene chiesto il loro aiuto per combattere reati federali come quello di traffico di droga o di armi, cosa che, come ha detto, non costituisce un atto di repressione contro gli zapatisti. Poi se n'è"lavato le mani" precisando che l'interlocutore per il dialogo è il governo federale e non quello chiapaneco. Quando conviene loro si riparano dietro alle formalità, ma sappiamo che nella traiettoria del conflitto la posizione del governo statale è stata la chiave per attivare o disattivare le provocazioni.
D'altra parte, la Commissione di Concordia e Pacificazione nel Congresso dell'Unione sembra una reliquia ammuffita. Nel frattempo, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas sta documentando le reiterate violazioni dei diritti umani, l'incremento della presenza militare e le prove che il clima di tensione è in aumento (comunicato dell'11 giugno 2008).
Per quanto riguarda lo zapatismo si è detto che molti di coloro che erano alleati ora si sono allontanati, e qualche ragione esisterà in questa percezione che trova apparente spiegazione nel molto controverso 2006 e nelle posizioni intorno all'allora candidato presidenziale Andrés Manuel López Obrador.
Tuttavia, non c'è giustificazione per incrociare le braccia davanti all'attuale aggressione contro le comunità zapatiste: tutti noi che nel 1994 siamo usciti in strada a chiedere la pace ed abbiamo accompagnato questo processo, dobbiamo rispondere al calderonismo ed esigere che cessi la persecuzione contro le giunte di buon governo.
Sappiamo che l'agenda è molto densa e che tutti i fronti sono importanti, ma abbiamo bisogno di riorganizzarci, è di nuovo tempo di reagire per impedire che si consolidi la strategia di smantellamento e persecuzione delle comunità zapatiste del Chiapas. Non dimentichiamo che sono pronte a difendersi, anche a costo della loro vita, e che l'EZLN ha ribadito, come ha fatto alla fine dell'anno scorso, che non lascerà sole le comunità e che le difenderà con tutto quello che sa e può.
Una volta Luis Villoro mi chiese le ragioni del nostro appoggio ai popoli indigeni in Chiapas: "Perché ce ne occupiamo?", ha detto, e si è risposto da solo: "Perché non possiamo essere complici". Non siamolo.
(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
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