La Jornada - OJARASCA - supplemento mensile n. 134 – giugno 2008
Che cosa si porta dietro il governo in Chiapas?

Negli ultimi tempi la parola "guerra" è diventata familiare, triviale, ed anche grave. Non si parli del contesto internazionale, su cui non c'è che dire. Neppure di America Latina, dove quasi dal niente sono sorti probabili scenari di guerre internazionali e di secessione che fino a poco tempo fa nessuno avrebbe detto. No. Basti citare quello che accade in Messico.

Che guerre abbiamo? Ufficialmente due, sanguinose e visibili. Quella che molto pubblicamente ha dichiarato il governo al narcotraffico (o è il contrario?). E quella che hanno scatenato tra loro bande e cartelli; questa ne origina altre, secondo le complicità con i diversi settori dell'ufficialità. Una collezione di guerre alimentate da una corruzione bicefala: quella del crimine organizzato, e quella del potere atomizzato del governo (profitti per gli investitori e governatori).

In Messico si pratica una persecuzione virulenta contro gli immigrati centroamericani (la cui destinazione principale non è il nostro paese), istituzionalizzata e benedetta dalla panista Cecilia Romero, che oltre ad essere una vergogna nazionale è una sorta di guerra. E del tipo più abusato: contro persone povere, isolate e indifese.

Ma la guerra, quella che si dice guerra, è quella che il governo federale scatena contro i popoli indigeni. Nahuas di Zongolica e della Huasteca.

Popoli zapotechi della sierra e della Mixteca oaxaqueña. Mepha'a, mixtechi, nahuas ed amuzgos di Guerrero. Un pugno di guerre non dichiarate e perfino vergognose, ma che costano vite, sgomberi, violenze, prigione, feriti gravi.

Da qualche anno in qua esiste un'effervescenza guerrigliera o insurrezionale dai contorni indefiniti, inscenata nelle azioni e dichiarazioni dell'Esercito Popolare Rivoluzionario, col quale il governo tenta un limitato "negoziato", sull'onda degli attentati dell'EPR contro le installazioni delle industrie petrolifere e con la sparizione violenta di due dei suoi membri, dalla quale le autorità federali si dissociano insistentemente. Per questo, come in altri casi, tale guerra ha dei desaparecidos. La denuncia di questo da parte di Amnesty International alla fine di maggio ha scatenato l’ira di Juan Camilio Mouriño, segretario di Governo, e dei suoi editorialisti di punta.

Tutto questo ha provocato il degrado, a livelli storici, dei diritti umani in Messico. Altra cosa è che c’è, come non mai, vigilanza e solidarietà nazionale ed internazionale.

Ma l'unica guerra dichiarata formalmente, con due forze a confronto in un territorio definito, è quella di tutti i giorni, che non è mai cessata in Chiapas, dal 1994. L'Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale mantiene un atteggiamento pacifico, non belligerante, dal 12 gennaio di quell'anno, appellandosi ad una legge per la pace e la concordia del Congresso dell'Unione. Ciò nonostante, questa guerra non è cessata durante i quattro successivi governi federali, e gli alti comandi delle Forze armate non smettono di scalarla e gestirla a diversa intensità contro le comunità zapatiste in più di 40 municipi autonomi.

Contrainsurgencia economica, educativa, agraria, e con frequenza armata. Vasta militarizzazione delle montagne e della selva. Un dispositivo bellico letale ed intatto, nonostante l'espressa volontà di pace dei popoli in resistenza e del loro esercito indigeno.

Dalla fine del maggio 2008 detto dispositivo, in apparente letargo, si è messo in moto senza altro motivo che la provocazione, grazie a pretesti come la ricerca di marijuana, il furto di legname pregiato o lo spaccio di video pirata. E come succede sempre, le comunità (uomini, donne, bambini ed anziani) escono al passaggio delle truppe che tentano di occupare i loro campi e villaggi, e li obbligano a retrocedere.

Ma, se l'Esercito federale, i poliziotti e gli sdegnosi mezzi di distrazione di massa non lo sapessero, anche la determinazione dei popoli in resistenza è intatta ed ha conquistato una legittimità innegabile, non solo nelle sue rivendicazioni, ma nelle sue azioni di governo (perché hanno creato governi autonomi) e nelle sue iniziative politiche pacifiche.

Ma il governo cerca la guerra. Estrae dalla manica provocazioni e diffamazioni. Perché destabilizzare le difficili zone indigene del Chiapas, dove le giunte di buon governo e le politiche decise ma conciliatrici degli zapatisti garantiscono una governabilità regionale che ci vorrebbe in tutta la Repubblica del dott. Calderón Hinojosa?

Deve essere proprio per questo motivo.

umbral

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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