La Jornada – Mercoledì 12 marzo 2008
Si uniscono al digiuno 11 detenuti del Cereso 17 e 3 del Amate: in tutto ora sono 36
Si estende la protesta degli indigeni nelle carceri del Chiapas
HERMANN BELLINGHAUSEN

Continua ad estendersi lo sciopero della fame degli indigeni nelle prigioni del Chiapas. Sono già 36 le persone che stanno attuando la protesta estrema per chiedere la loro liberazione. Undici detenuti nel Centro di Recupero Sociale (Cereso) 17, "José Patrocinio González Garrido", nel municipio di Playas de Catazajá, al nord del Chiapas, si sono uniti questa domenica alla protesta che stanno attuando 22 detenuti nel Cereso 14, e 5 di Cintalapa e San Cristóbal de las Casas rispettivamente.

Intanto, altri tre del Amate, a Cintalapa, hanno dichiarato lo sciopero della fame. Si tratta di Rubén Jiménez Pablo, Enrique López Hernández e Pável Vázquez Cruz, del Movimiento Campesinos Regional Independiente (Mocri-CNPA), arrestati dal governo di Pablo Salazar Mendiguchía.

Quelli di Catazajá dicono di essere accusati falsamente di gravi reati quali sequestro, estorsione e, in alcuni casi, omicidio, in quella che sembra essere la vendetta senza alcun fondamento legale da parte di appartenenti al gruppo priista Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) contro le basi di appoggio zapatiste, simpatizzanti e familiari.

I 12 nuovi scioperanti, reclusi nel Cereso 17 di Playas de Catazajá, provengono dalla comunità Busiljá. Almeno uno era stato presente ad un omicidio tra priisti della Opddic; poi gli hanno sparato alla testa ed era stato dato per morto. Nonostante questo è sopravvissuto ma gli ci sono voluti otto mesi per riprendersi. Alla fine è stato arrestato per un omicidio che non ha commesso. Come in molti altri casi, con la complicità dei giudici e del Pubblico Ministero.

Profughi dal 1997, perseguitati e minacciati per anni, ed alla fine catturati da poliziotti di Pubblica Sicurezza e membri di Opddic, questi di Busiljá scontano pene su accuse false, mentre gli assassini dei due priisti (anch'essi priisti) sono liberi ed impuni.

Il primo recluso indigeno a dichiararsi in protesta, Zacario Hernández Hernández, di Tres Cruces (San Juan Chamula), catechista dell'organizzazione Pueblo Creyente, non tocca cibo nel carcere di El Amate da quasi un mese.

Gli indigeni originari di Busiljá reclusi a Catazajá sono Pablo, Timoteo, Fausto, José, Felipe, Esteban, Elías (padre) ed Elías (figlio), tutti di cognome fanno Sánchez Gómez, Pablo Gutiérrez Hernández, Javier Sánchez López e Fidencio Sánchez Gutiérrez. Una donna appartenente a questo stesso gruppo, Amapola Gómez Pérez, si trova nel carcere di San Cristóbal e non si è potuta confermare la sua adesione alla protesta.

Da parte sua, i detenuti politici di La Voz del Amate, aderenti all'altra campagna, accusano le autorità penitenziarie di persecuzione, vessazioni e di "ostacolare" il loro movimento. Si lamentano della "mancanza di rispetto" verso i loro famigliari che vengono in visita. I secondini "vengono dove noi stiamo in sciopero della fame e mangiano davanti a noi, facendoci stare male. Hanno tentato di farci cedere, di proibirci di andare in bagno e di portarci in un altro posto, dove loro incitano allo scontro ed al maltrattamento".

Denunciano aggressioni e "anomalie" nella sezione femminile, dove si trova la loro compagna María Delia Pérez Arizmendi, così come la presenza del corpo speciale Lobo nelle vicinanze del loro presidio nel cortile della prigione. Accusano il direttore ed il governatore Juan Sabines "dell’incessante maltrattamento".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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