La Jornada – Mercoledì 9 aprile 2008
Per ritorsione i 12 tzeltales rilasciati perderanno le loro terre
I paramilitari vogliono appropriasi di 151 ettari - Sono stati obbligati a firmare che non sarebbero tornati nella loro comunità
Hermann Bellinghausen - Inviato

Tuxtla Gutiérrez, Chis. 8 aprile - La libertà è costata molto cara ai 12 tzeltales dell'ejido Busiljá (municipio di Ocosingo) scarcerati dal Centro di Reinserimento Sociale (Cereso) 17 di Playas de Catazajá la settimana scorsa, dopo uno sciopero della fame realizzato con una trentina di reclusi nelle prigioni di Cintalapa e San Cristóbal de las Casas. Tutto indica che perderanno le loro terre, perché il governo statale non garantisce la loro sicurezza davanti alle minacce dei membri dell'Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) che, dopo aver assassinato uno del proprio gruppo, li fecero arrestare.

Anche se il governo ha riconosciuto la loro innocenza (erano accusati di sequestro), ha condizionato la loro liberazione. Tavita Sánchez Gómez, portavoce del gruppo di ex detenuti ed oggi profughi, rivela che Juan Jesús Mora e Mora, coordinatore dei Cereso dello stato, "ha fatto firmare loro un documento secondo cui per nessun motivo dovevano ritornare, perché la gente di Busiljá sono paramilitari della Opddic, i quali avevano detto che se fossero tornati avrebbero 'fatto giustizia' per proprio conto".

La donna, che ha firmato questo "accordo" come testimone, chiede "che il governo faccia giustizia, perché non è possibile che i delinquenti della Opddic, soprattutto l'ex deputato Pedro Chulín Jiménez, siano liberi mentre altri innocenti, come i compagni ancora rinchiusi a El Amate e Los Llanos, siano accusati di gravi reati che non hanno commesso".

Aggiunge: "I paramilitari vogliono appropriasi dei 151 ettari che abbiamo nell'ejido. Il governo, per ritorsione, avrebbe liberato i compagni purché non tornassimo più nella nostra terra, ed abbiamo dovuto accettarlo per forza, perché quello che vuole la mia famiglia prima di tutto è la loro liberazione".

Il segretario di Governo, Jorge Antonio Morales Messner, l'ha detto ieri in forma più eufemistica: "Il rispetto della legalità è e continuerà ad essere una delle basi fondamentali per la sana convivenza nello stato". Questo, secondo un comunicato dell'ente, "rivolgendo un invito alle persone liberate di non tornare nelle loro comunità di origine fino a che non esistano le condizioni necessarie".

Davanti alla "presunta minaccia" degli indigeni di Busiljá di "aggredire" gli scarcerati, Morales Messner ha chiesto di "mantenere la calma e non tornare nella propria comunità". La Segreteria di Governo "sta realizzando avvicinamenti affinché, attraverso il dialogo, si risolva questo problema ma invito a non favorire atti che violino la legge". Lo stesso comunicato afferma: "L'incaricato della politica interna del Chiapas ha detto che nessuno può farsi giustizia da sé, in caso contrario si applicherà la legge a chi la infrangerà. Ha sottolineato che la liberazione di più di cento detenuti ha dimostrato la piena volontà del governo di fare giustizia nei confronti di chi era in carcere per reati che non aveva commesso".

Il 2 aprile, a Nazaret (Ocosingo), il governo ha dato molta pubblicità ad una "diserzione" nella Oppdic, dopo una dissociazione light in vista dell'impunità per alcuni militanti. Carlos Moreno Hernández, dirigente dell'organizzazione, annunciò una "Opddic Indipendente" riconoscendo però il suo fondatore e "leader morale" come "compagno di lotta", in un'assemblea realizzata il 28 marzo da circa 200 indigeni (il governo ne contò "mille"), avendo come testimone il vice-delegato di Governo, Germán de la Rosa. Secondo le registrazioni di giornalisti locali, Moreno Hernández disse che Chulín "non è nostro nemico" ma in base agli accordi presi col governo "lui si è separato". In senso stretto, i separati sarebbero i "disertori".

(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)

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