La Jornada – Sabato 5 aprile 2008
Condannati dopo averli torturati due detenuti che ora sono in sciopero della fame in Chiapas
Incita e diabetica, María Delia è stata condannata a 15 anni
L’arresto di Julio César è stato ordinato dal governo, denuncia la CNDH
Hermann Bellinghausen - Inviato
Tuxtla Gutiérrez, Chis., 4 aprile - María Delia Pérez Arizmendi, originaria di Flores Magón (un villaggio di tradizione agrarista nel municipio Venustiano Carranza), di 44 anni, madre di una figlia sposata di 15 anni e di un figlio celibe di 19, è diabetica. E’ stata arrestata senza un mandato agli inizi del 2001 da agenti della Polizia Settoriale che, pur sapendo che era incinta di sette mesi, la insultarono e picchiarono. Accusata di sequestro, senza che fosse accertato (il reato non è mai stato provato), la torturarono affinché firmasse un foglio in bianco, ed il primo marzo 2001 fu internata nel carcere di Cerro Hueco, a Tuxtla Gutiérrez.
Lì, senza assistenza medica, partorì da sola. Trattandosi di una persona diabetica e torturata, la mancata assistenza da parte dell'istituzione fu particolarmente grave. Il suo bambino nacque morto. Non le permisero di dargli degna sepoltura né le fornirono un'adeguata assistenza medica e psicologica. Quando fu inaugurato il Cereso 14 di El Amate, fu trasferita là. Non ebbe mai una buona difesa. Il giudice Francisco Calvo la condannò a 15 anni di prigione; ne sono trascorsi sette.
Appartiene a la Voz de Cerro Hueco ed è da 40 giorni a digiuno e preghiera insieme ad un altro diabetico e sei indigeni che sono in sciopero della fame da altrettanto tempo. Lei chiede la sua liberazione e continua a proclamare la sua innocenza.
"Ci preoccupa lo stato della sua malattia (diabete)", dice questo pomeriggio Ramón Guardaz Cruz, ex detenuto che ha partecipato allo sciopero della fame a El Amate ed è stato rilasciato lunedì scorso, e che ora si è unito al presidio di fronte al palazzo del governo. "Non gli danno le cure", aggiunge. In realtà, non gliele hanno mai date
Guardaz, anche lui di la Voz del Amate, sostiene: "È ingiusta la sua prigionia. Non hanno mai rispettato i suoi diritti". Benché faccia parte della protesta del Cereso 14, i secondini non le permettono di unirsi ai suoi compagni ed ultimamente non le concedono le visite. Durante le proteste "che scuotono i muri delle prigioni del Chiapas", come dice l'organizzazione, aderente all'Altra Campagna, sono state denunciate le vessazioni ed i maltrattamenti che in particolare lei subisce, essendo l'unica donna nella protesta di El Amate.
Julio César Pérez Ruiz, della comunità tzotzil Luis Espinosa, a Bochil, era studente e contadino fino a quando, il 23 gennaio 2004, è stato arrestato dalla Polizia Giudiziale dello Stato ed obbligato sotto tortura a confessare un crimine molto grave: l’omicidio della madrina dell’allora governatore Pablo Salazar Mendiguchía. Julio César aveva 19 anni, aveva appena terminato la scuola preparatoria. Ora ne ha 23. Quattro anni in carcere. Questo sabato saranno 41 giorni di sciopero della fame per chiedere la sua liberazione.
Suo padre, José Pérez Hernández, e suo nonno Lorenzo, indigeni e contadini, membri dell’Altra Campagna, parlano nel presidio che prosegue e che cresce di giorno in giorno, oggi c'erano più 200 persone, quasi tutti indigeni, di fronte al palazzo del governo. Con le lacrime agli occhi, José dice: "Era con me a lavorare nel nostro campo. Perchè sarebbe dovuto andare a Soyaló (un altro municipio). Ma non ci hanno mai dato ascolto". Un avvocato della CNDH dichiara: "Il suo arresto è avvenuto per ordine del governo".
Lorenzo racconta che prima di ogni interrogatorio l'ex procuratore chiapaneco Mariano Herrán Salvatti entrava nella cella dove lo tenevano in isolamento e gli diceva, parola più, parola meno: "Sei fregato. Sei stato tu". Secondo suo nonno, Julio César fu portato in un'altra stanza e torturato. "Confessò" tutto quello che volevano i poliziotti.
Nel caso 26/2004 è accusato di omicidio e furto con violenza. Il suo unico accusatore, "per sentito dire", è il suo vicino di Bochil, Julio Iván Pérez Pérez. I testimoni oculari della fuga di quattro probabili assassini non hanno riconosciuto Julio César. Secondo la Voz del Amate, "né allora, né adesso, le autorità hanno svolto indagini serie". Nonostante le prove a suo favore "non gli permisero di difendersi ed il suo processo è ancora in corso".
(tradotto dal Comitato Chiapas "Maribel" - Bergamo)
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